Sulla Cattedra di Pietro il Card. Jorge Mario Bergoglio. Buona occasione, questa, per rammentare a tutti la portata e il valore del sommo Ministero petrino.
Come tutti sanno, il periodo di Sede Vacante della massima autorità della Chiesa, apertosi con la rinuncia di Benedetto XVI a partire dal 28 febbraio u.s., si è concluso con l’elezione, a dir poco imprevista dai mass-media, del cardinal Jorge Mario Bergoglio, già arcivescovo di Buenos Aires, nato in Argentina il 17 dicembre 1936.
Francesco I è il nuovo Vicario di Cristo in terra. Ufficio unico, universale, santissimo, della massima autorevolezza dottrinale e spirituale della terra. Il Codice di Diritto Canonico è molto chiaro in proposito e stabilisce bene il ruolo, la funzione, i limiti e la portata di questo incarico sommo nella Chiesa.
L’articolo 331 autorevolmente recita: «Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è il capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente». Questa è in estrema sintesi la dottrina del Primato del Vescovo di Roma, dottrina già nota nella Tradizione cattolica (si pensi al Dictatus Papae) e definitivamente sancita dal Concilio Vaticano I, nella Costituzione dogmatica Pastor aeternus. Il commento dell’ottima edizione del Codice che noi usiamo (Codice di Diritto Canonico e leggi complementari commentato, a cura di Juan Ignacio Arrieta, Roma 2004) suona così: «A detta potestà [cioè del Romano Pontefice] tutti i Pastori e gli altri fedeli, qualunque siano il loro rito e livello gerarchico, tanto personalmente che nel loro insieme, sono gerarchicamente subordinati e devono obbedienza [non c’è parità tra Papa ed Episcopato], non solo per ciò che riguarda la fede ed i costumi [ovvero la morale], ma anche per quanto attiene alla disciplina ed al governo della Chiesa sparsa su tutta la Chiesa» (p. 276).
Esiste poi un altro ambito di fede strettamente collegato con il Primato di Pietro ed è il dogma dell’Infallibilità dottrinale del Romano Pontefice, dogma anch’esso stabilito dal Concilio Vaticano I, e ripetuto, ovviamente, nei documenti magisteriali successivi, come nella Costituzione dogmatica Lumen gentium del Vaticano II, nella Dichiarazione Mysterium Ecclesiae del 1973, nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 (19972), ecc. Usiamo per comodità e accessibilità la sintesi di taglio pedagogico-didattico che offre il Catechismo in vari suoi punti. Spiega il Catechismo che «la missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell’Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l’autentica fede» (n. 890). Quanto questa «possibilità oggettiva» si è resa di fatto evanescente con la svolta della teologia dopo il Vaticano II è sotto gli occhi di tutti, tranne dei (finti) ciechi che non vogliono vedere, affinché tutto crolli mentre si canta allegramente: Tout va bien Madame la Marquise! Così, per il Catechismo: «Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il popolo di Dio rimanga nella verità che libera». Questa infallibilità della Chiesa trova la sua sintesi, il suo fondamento e il suo acme nell’infallibilità del Papa: «Di questa infallibilità il Romano Pontefice, capo del Collegio dei Vescovi, fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo Pastore e Dottore di tutti i fedeli, che conferma nella fede i suoi fratelli, proclama con atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale» (n. 891).
Un conto sono le opinioni anche teologiche del Pastore, i suoi libri, le sue scelte pastorali contingenti e un conto, dal punto di vista dell’infallibilità, è la dottrina di fede e di morale che, eventualmente, intendesse definire. È ovvio che il Pontefice nulla può, se non l’obbedienza, rispetto a tutti i numerosi Dogmi già solennemente definiti (teologici, cristologici, pneumatologici, biblici, mariologici, appartenenti alla Divina Tradizione della Chiesa, sintetizzati dal Credo ma comprendenti una dottrina molto più ampia del Credo stesso). L’infallibilità del Pastore «si estende tanto quanto il deposito della divina Rivelazione (cf. LG 25); si estende anche a tutti gli elementi di dottrina, ivi compresa la morale, senza i quali le verità salvifiche della fede non possono essere custodite, esposte o osservate» (n. 2035). Non si estende al campo del mutevole, del contingente, del meramente umano, storico e culturale.
La storia della Chiesa completa questo quadro, non perché essa possa essere messa, dal punto di vista orientativo, sullo stesso piano della Teologia, ma perché essa è il luogo e lo spazio ove si mostra e si dimostra la verità teologico-salvifica del Cristianesimo. Ebbene, come ci dicono gli storici e come sappiamo dall’esperienza, la storia della Chiesa ha avuto una minoranza di Papi canonizzati o beatificati, e non sono mancati, purtroppo, vari esempi di Pontefici indegni, deboli e perfino scandalosi. Dio lo ha permesso, a mio modesto avviso, proprio per aiutarci a distinguere meglio tra l’ufficio, in sé e per sé santo, del Papato, e la persona, in tutto e per tutto umana e peccabile, dell’eletto al Pontificato. Cristo è Dio e anche come uomo è impeccabile, la Chiesa è una casta meretrix (sant’Ambrogio): non nel senso eterodosso inteso da Lutero che essa possa fallire il suo scopo di santificare le anime (i 10 Comandamenti, i 4 Vangeli e i 7 Sacramenti infatti non mutano...), ma nel senso che essa è formata da peccatori, a tutti i suoi livelli, e a volte più da peccatori che da santi, il che è come dire più da cristiani la cui fede è morta, che da altri Cristi.
Il Pontificato Romano è glorioso per la funzione unica che ha, per volontà di Cristo, di guidare la Chiesa da un mondo all’altro, e altresì per i carismi e i privilegi di Primazia e di Infallibilità che lo caratterizzano. Ma i Vicari di Cristo, come tutti i Prelati della Chiesa (cardinali, vescovi, patriarchi, parroci, ecc.) restano uomini, non senza gli effetti del peccato originale, e dunque né impeccabili né divinamente assistiti in ogni loro decisione di uomini, di teologi, di esegeti e di Pastori.
Chiediamo a Dio le grazie necessarie al novello Pontefice Francesco, affinché realizzi nel modo migliore quel programma che caratterizzò il Poverello d’Assisi in modo forse unico e irripetibile: la conversione dell’intero genere umano alla verità del Vangelo e la sottomissione di tutti i poteri della terra alla Santa Chiesa di Dio (cf. Lettera ai Reggitori dei Popoli). Noi umili fedeli senza alcuna autorità nella Chiesa accompagniamo il suo arduo cammino con l’orazione, la penitenza, il sacrificio, la mortificazione, l’apostolato e nella consapevolezza che tutti gli uomini passano, sia noi stessi che i grandi del mondo e della Chiesa, e solo Dio resta in eterno!