Il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede di papa Francesco difende l’indissolubilità del Matrimonio cattolico, richiamandosi alla dottrina cattolica del Matrimonio, alla Tradizione dei Padri, al vincolante Magistero della Chiesa: in definitiva alla suprema e immutabile Volontà di Dio.
Sull’Osservatore Romano del 23 ottobre 2013 è stato pubblicato un lungo articolo, in due piene pagine (senza note), in difesa dell’indissolubilità assoluta del Matrimonio cattolico. L’autore dell’importante precisazione dottrinale è mons. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto per la “Congregazione per la dottrina della fede”, la suprema Congregazione della Chiesa, un tempo detta comunemente il Sant’Uffizio (come abbreviazione di Uffizio della Santa Inquisizione).
Il titolo è lo stesso che abbiamo dato noi al nostro pezzo di commento, mentre il sottotitolo suona così: Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i sacramenti.
Diciamo subito che si tratta di un articolo di importante chiarificazione teologica, autorevole, molto solido e senza dubbio assai urgente dopo la diffusione impropria di teorie e prassi contrarie all’indissolubilità del Matrimonio. In alcune Parrocchie cattoliche per esempio, e già da molti anni, certi pastori molto pastorali hanno inventato ex nihilo delle funzioni pseudo-sacramentali per benedire i secondi o i terzi matrimoni di cattolici già validamente sposati (e poi divorziati). Ultimamente poi in varie zone non periferiche della cristianità come la Germania, l’Austria, la Francia e la Svizzera, certi teologi progressisti hanno preteso di allargare la misericordia della Chiesa oltre i limiti stabiliti definitivamente da Cristo e dalla Chiesa.
Ma si sa, in nome della misericordia oggi molto facilmente (e molto tristemente) si offende il Creatore, negandogli quel rispetto e quella santa obbedienza che ogni vero figlio della misericordia dovrebbe invece manifestargli.
Ne presentiamo al lettore i passi dottrinalmente più densi.
Secondo Müller, oggigiorno «i credenti si chiedono molto seriamente: non può la Chiesa consentire, a determinate condizioni, l’accesso ai sacramenti per i fedeli divorziati risposati? Rispetto a tale questione la Chiesa ha le mani legate per sempre?». Non ci convince molto questo tipo di approccio diciamo così dal basso di questioni dottrinali connesse alla fede, ma almeno la risposta data è chiara e senza equivoci: «Tali questioni devono essere trattate [e risolte] in conformità con la dottrina cattolica del matrimonio».
Quest’ultima frase ci tranquillizza un bel po’. Anzitutto perché non è la (eventuale) maggioranza dei fedeli a decidere cosa pensare in fatto di Fede e di Morale, ma sono i fedeli a doversi conformare alle verità del Cattolicesimo. E poi per l’enfasi posta sulla «dottrina cattolica del matrimonio»: con tutta questa pastorale, anche per i divorziati risposati, si poteva credere che neppure esistesse più una «dottrina cattolica del matrimonio». Ma così non è! Si vergognino allora quei pastori che da decenni insegnano ai fedeli di seguire la loro coscienza, senza preoccuparsi della Legge di Dio: seguire la Legge sarebbe infatti segno di fariseismo e di spirito non-evangelico!
Ma come si fonda tale dottrina? Secondo Müller, «dobbiamo procedere a partire dalla Parola di Dio che è contenuta nella Sacra Scrittura, illustrata nella Tradizione della Chiesa e interpretata in maniera vincolante dal Magistero». Molto importante il criterio “triplice” per l’esatta determinazione della Parola di Dio. Essa non coincide con la sola Bibbia, letta dai fedeli comuni e interpretata in modo individuale. Ma la Parola di Dio si trova nella Scrittura, nella Tradizione e altresì nel Sommo Magistero della Chiesa. Invocare la Bibbia, come spesso fanno certi teologi à la page, contro la Tradizione perenne e universale della Chiesa non vale nulla, e neppure si può abolire il valore «vincolante» delle definizioni del Magistero ecclesiastico (anche se queste definizioni risalgono al Concilio di Trento o a quello di Nicea...). Da anni e anni però tale valore vincolante è stato sostituito de facto da una ispirazione puramente pastorale che indica ma non obbliga: sulle questioni decisive di Fede e di Morale però non esiste alcuna libertà soggettiva del fedele contro l’insegnamento autentico della Chiesa.
E così, per ciò che riguarda la Scrittura, secondo Müller, «la Chiesa cattolica, nel suo insegnamento e nella sua prassi, si è costantemente riferita alle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio». E il Matrimonio è stato fondato da Dio e non deriva dall’antropologia dei popoli e dall’evoluzione culturale della storia. Si aggiunge poi, a scanso di equivoci, che «la Chiesa ha riconosciuto che solo il matrimonio tra un uomo e una donna battezzati è sacramento in senso proprio e solo per questi vale l’indissolubilità incondizionata. Il matrimonio dei non battezzati è infatti ordinato all’indissolubilità, ma può comunque essere sciolto in determinate circostanze – a causa di un maggior bene (privilegium Paulinum)». Messa così però, sembra quasi che il privilegio paolino, disciplinato nel CJC ai canoni 1143-1147, sia chiamato in causa per dimostrare che l’indissolubilità riguarderebbe solo il Matrimonio cattolico e non anche il matrimonio naturale. Ma il Matrimonio è in se stesso un istituto di diritto naturale (cf. Suppl. q. 41, art. 1) e anche il matrimonio naturale dei pagani ha la vocazione, stabilita da Dio, all’indissolubilità, come anche alla fedeltà reciproca e alla procreazione. E san Tommaso afferma che «la mancanza di fede non può impedire che il matrimonio tra gli infedeli sia un vero matrimonio» (Suppl. q. 59, art. 2). I privilegi petrino (cf. can. 1148) e paolino, in favore della fede del coniuge cattolico, non cancellano l’indissolubilità naturale di ogni unione coniugale. D’altra parte lo stesso «matrimonio non consumato fra battezzati o tra una parte battezzata e una non battezzata, per una giusta causa, può essere sciolto dal Romano Pontefice» (can. 1142). È bene essere precisi, se si vogliono evitare equivoci.
Dio, che tutto può, sospese l’indissolubilità con la legge di Mosè, e sospese perfino la monogamia, ma ora essa è legge divino-naturale per l’intera umanità, e lo sarà per sempre e per tutti gli uomini, senza eccezioni.
A proposito della Tradizione, si dice che «la Chiesa dei Padri, in obbedienza al Vangelo, ha respinto il divorzio e il secondo matrimonio; rispetto a tale questione la testimonianza dei Padri è inequivocabile». Certo, ma anche su altre questioni i Padri sono unanimi ed inequivocabili, come per esempio sul ruolo dell’uomo come capofamiglia, ma su queste questioni la loro testimonianza è lasciata cadere come superata... Peccato!
Parlando della prassi delle Chiese ortodosse, che ammettono per vari casi il divorzio (e così ritornano dritte dritte al Vecchio Testamento!), Müller coraggiosamente scrive: «Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio». Anzi si giunge a parlare, con linguaggio divenuto raro, di «scisma della Chiesa d’Inghilterra», causato anche dalla questione dell’indissolubilità, attentata dal re apostata Enrico VIII. Si citano a seguire il Concilio di Trento (cf. Denz. 1807) e il Vaticano II che, in Gaudium et spes, afferma: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità» (n. 48). Chi tiene ai figli dovrebbe dunque difendere l’indissolubilità, invece spesso si reclama il divorzio express...
Ampie citazioni dell’esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II (del 1981) confermano i paletti messi dal Magistero cattolico alla mentalità divorzista del mondo moderno. Secondo Giovanni Paolo II, la Comunione ai divorziati risposati non può essere concessa perché «il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia». Passi simili nella Sacramentum caritatis di Benedetto XVI (2007).
Per il Prefetto della Fede di papa Francesco, «la mentalità contemporanea si pone piuttosto in contrasto con la comprensione cristiana del Matrimonio, specialmente rispetto alla sua indissolubilità e all’apertura alla vita». Se però il Matrimonio e la famiglia sono il cardine della società, allora è la mentalità contemporanea che va analizzata, processata e inequivocabilmente condannata. Ma questo succede poco, se si vogliono per forza trovare dei punti che uniscono e tacere quelli che dividono... E così il cristiano comune non sa che pesci pigliare: il catechismo gli dice che è sbagliato divorziare, ma la catechista afferma che non bisogna giudicare male i divorziati della Parrocchia: che fare? Alla fine, nel dubbio, ci si fa avvolgere dalla mentalità contemporanea e si inizia a non giudicare. Così, appare risolto il problema!
Belle certe considerazioni antropologiche offerte dal Prefetto, le quali confutano alla radice la mentalità liquida del mondo secolarizzato occidentale: il Matrimonio indissolubile «sottrae i coniugi dall’arbitrio e dalla tirannia dei sentimenti e degli stati d’animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà personali e a superare le esperienze dolorose; protegge soprattutto i figli, che patiscono la maggior sofferenza dalla rottura dei matrimoni».
E la misericordia a cui mancherebbe la sola Chiesa Cattolica essendo l’unica religione ad ammettere ancora l’indissolubilità (un tempo ammessa da protestanti, calvinisti e ortodossi)? Ebbene «attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare». Quando ho letto questo passaggio ho avvertito un brivido di letizia che mi ha percorso. Dio non può, non deve sempre e solo perdonare, altrimenti le sue leggi sarebbero vuote e senza senso. E poi, contro mezzo secolo di teologia fallace sulla misericordia, si afferma in conclusione che «la misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa».
Ma per evitare che si disgreghino quasi tutti i matrimoni, come accade nei Paesi più avanzati d’Occidente o che nessuno si sposi più in chiesa, come si tende a fare un po’ ovunque, sarebbe bene invitare i parroci a spiegare queste istruzioni a quei fedeli che intendono sposarsi col rito cattolico. Se ci si sofferma più sugli aspetti psicologici e sentimentali dell’amore, e non si dice quasi nulla sulla gravità dell’impegno matrimoniale assunto, la situazione sarà destinata a peggiorare, e ciò con rapidità. Se poi per una malintesa carità verso gli erranti non si dice mai che è peccato mortale tradire il coniuge, convivere prima delle nozze e separarsi per iniziare una nuova storia, si attenuerà nella coscienza del cattolico la serietà di cui sopra. Comprendere i limiti e le bassezze umane, specie di tipo sessuale, d’accordo. Ma dall’altare si dovrebbe tuonare contro la viltà del divorzio e il crimine della sottrazione dei figli al loro legittimo genitore.
Dobbiamo formare sante famiglie armoniose e devote che irradino la fede, l’amore di Dio e l’amore del Matrimonio cristiano, la più bella istituzione del mondo.