SPECIALE IMMACOLATA
L’Immacolata Concezione di Maria: il dogma attraverso l’arte
dal Numero 45 del 4 dicembre 2022
di Padre Ambrogio M. Canavesi

L’evoluzione iconografica ci mostra l’iter teologico riguardo al dogma mariano forse più bello e incantevole, che è quello dell’Immacolata. Come un filo d’oro, seguiamo questo percorso affascinante, tra pennellate, forme e colori.

È noto come la Chiesa sia arrivata solo lentamente alla consapevolezza che il dogma dell’Immacolata Concezione – ovvero che Maria sia stata concepita senza peccato originale e senza alcun altro peccato – faccia parte del deposito della Rivelazione divina. Accanto all’evoluzione teologica, la storia del dogma dell’Immacolata è costituito anche dalle varie espressioni con cui la pietà popolare – in anticipo sulla teologia e il magistero della Chiesa – ha manifestato la sua fede nella santità pura e immacolata di Maria, una santità che si estende sino al momento del concepimento e fino ad escludere ogni ombra di macchia. Espressione colta della devozione popolare è l’arte nelle sue declinazioni pittoriche e scultoree. Trovandosi a dover esprimere l’invisibile e l’astratto con forme visibili e concrete anche l’arte ha dovuto procedere per successivi perfezionamenti al fine di mettere su tela l’inesprimibile privilegio dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima. In altre parole insieme alla ricerca teologica c’è stata anche una ricerca iconografica per rendere possibile ai fedeli di comprendere questo dogma – per certi versi abbastanza irrappresentabile – sotto forme di immagini, colori ed elementi pittorici. Anche questa ricerca ci può permettere però di penetrare e comprendere meglio questo sublime dogma e il collegamento con la nostra vita. 

L’Immacolata delle rocce

Il nome con cui vogliamo iniziare questa nostra modesta ricerca è certamente una sublime e pomposa ouverture: Leonardo da Vinci (1452-1519). 

Come è ben noto nel tardo Medioevo si cominciò a discutere molto a proposito dell’Immacolata Concezione di Maria. Alla fine del XV secolo in seguito ai tre documenti pontifici del papa francescano Sisto IV della Rovere (1414-1484) la verità dell’Immacolato Concepimento di Maria segnò i primi punti a suo favore. Tra i sostenitori di questo vi era soprattutto l’Ordine Francescano che da Duns Scoto (1265-1308) in poi aveva preso le difese di questo sublime privilegio. In quel torno di tempo peraltro erano stati due francescani milanesi – il beato Michele Carcano e il venerabile Bernardino da Bustis – a essere grandi propagatori del culto all’Immacolata, e proprio a Milano, nell’ormai scomparso convento di San Francesco Grande, la confraternita dell’Immacolata Concezione volle celebrare le Bolle pontificie ordinando un dipinto al grande pittore Leonardo. Da questa commessa nacque quel grande e celebrato capolavoro che fu La Vergine delle rocce. In realtà il discorso sarebbe molto complicato in quanto esistono due versioni di questo quadro – quello del Louvre (1483-1485) e quello della National Gallery (1490-1508) – e non è ben chiaro come queste si colleghino alla commessa milanese. Comunque ciò che è certo è che in qualche modo i due quadri debbano avere a che fare con l’Immacolato Concepimento della Vergine Maria ma, in realtà, entrambe le pitture sono molto lontane dall’iconografia dell’Immacolata Concezione che conosciamo oggi. L’incontro tra Gesù Bambino e la Vergine con san Giovanni Battista nel deserto è un episodio apocrifo sfruttato da Leonardo probabilmente solo per soddisfare in parte i committenti.

Va tenuto presente che non esisteva un’iconografia ufficiale dell’Immacolata Concezione e che comunque un genio come Leonardo difficilmente vi si sarebbe adattato senza innovare. In che modo però si potrebbe mai dire che questo quadro celebra l’Immacolata Concezione di Maria? Ciò che è sicuramente comune alle due versioni del quadro è il contrasto tra l’ambientazione e il gruppo dei personaggi in primo piano. Mentre il remoto sfondo di una natura prospera evoca la bontà originaria della creazione, la caverna rocciosa, con acute e minaccianti stalattiti, dà l’idea del mondo sconvolto – persino nei suoi aspetti naturali – dal peccato originale che ha reso la vita umana più dura, in base alla punizione scagliata da Dio sull’umanità: «Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita [...] con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (Gn 3,17-19). A fronte di questa creazione «che geme e soffre» (Rm 8,22) in attesa della Redenzione si staglia, in un immaginario cerchio, simbolo di perfezione, il gruppo di personaggi in cui la Redenzione si è già compiuta: il Verbo Incarnato, che è lo stesso Redentore; san Giovanni Battista, santificato nel grembo; l’angelo, ormai vittorioso nella prova e soprattutto l’Immacolata Vergine Maria, vero centro della composizione pittorica. La sua immacolatezza è letta quindi come forza primordiale redentrice e rigeneratrice dell’intero cosmo, che si staglia contro il dominio del peccato nel mondo. Il suo manto – estensione del suo grembo – copre il san Giovannino, santificato e benedetto da Gesù, ma da esso sembra quasi scaturire una forza che fa fiorire l’arido suolo con erbe e fiori rigogliosi. Eppure Lei – centro della pittura – non fa altro che restare inginocchiata davanti a Gesù Bambino, adorante del frutto del suo grembo. Secondo i recenti studi di un gesuita, padre Andrea dell’Asta, peraltro, nella versione del Louvre l’angelo – che sembra indicare con la mano san Giovanni Battista – in realtà indica il grembo di Maria, che sarebbe il centro della composizione. Maria è Immacolata, ma è Immacolata in quanto Madre di Gesù, in quanto destinata ad essere Madre di Dio. Il grembo di Maria, che ha ospitato il Verbo Incarnato e in cui tutta l’umanità deve rinascere alla grazia, è quindi quasi un contraltare fecondo di quella sterile grotta in cui è rinchiusa l’umanità dopo il peccato originale.

La concezione celeste

Secondo gli studiosi, nel Medioevo e nel primo Umanesimo un modo indiretto per rappresentare l’astratta verità dell’Immacolata Concezione era quello di dipingere il concepimento di Maria da parte dei genitori, san Gioacchino e sant’Anna. Secondo i vangeli apocrifi infatti i due avrebbero generato Maria Santissima verginalmente – con un casto bacio presso la Porta d’Oro di Gerusalemme – e questa sarebbe la causa della sua Immacolata Concezione. In realtà, anche grazie alle visioni di santa Brigida, questa opinione – basata sull’idea che il peccato originale si trasmettesse con l’atto sessuale – perse poi gradualmente terreno: Maria fu concepita in modo del tutto naturale, ma preservata da Dio dalla contaminazione del peccato originale. Questo però mise in difficoltà i pittori che nel “casto bacio” dei genitori di Maria Santissima trovavano una semplice espressione pittorica. 

Nel XV secolo si fece spazio la rappresentazione di sant’Anna con la Vergine Maria e il Bambino, che talora assumeva una caratteristica iconografia: sant’Anna porta in grembo Maria Santissima, che a sua volta porta in grembo Gesù. La crisi della suddetta opinione portò comunque a staccare il culto di sant’Anna da quello dell’Immacolata. A questo punto dalla concezione terrena – del tutto naturale – si passò a una sorta di concezione celeste: prima di essere concepita nel grembo di sant’Anna, l’Immacolata fu concepita nella mente di Dio, il quale dall’eternità l’aveva pensata e predestinata ad essere la Madre di Dio e l’Immacolata Concezione. Il Concepimento Immacolato di Maria non è visto come realtà storica, ma piuttosto nel suo valore teologico ed eterno, nella sua Predestinazione, nella mente di Dio. Così Maria Santissima viene sottratta alla terra, posta tra le dimore celesti – spesso al cospetto degli angeli festanti e sospesa su una nuvola – sotto lo sguardo di Dio che con la sua parola eterna “concepisce” una creatura perfetta, priva di alcuna macchia di peccato. Spesso – nella mancanza di elementi figurativi peculiari – ciò viene rappresentato come una incoronazione (si veda la Disputa dell’Immacolata Concezione, del 1503, di Vincenzo Frediani a Lucca), ma più originale e più incisivo nella storia dell’Immacolata sarà quello di rappresentarla in una “mandorla solare”, segno della gloria celeste. È questo il caso del dipinto custodito a Stoccolma e risalente al primo decennio del XVI secolo che viene attribuito al Pinturicchio (Bernardino di Betto Betti, 1452-1512) – noto pittore dell’età precedente a Raffaello, al servizio di molti papi dell’epoca – o alla sua scuola. Così come nelle precedenti rappresentazioni la Madonna con in seno Gesù stava nel grembo di sant’Anna, così ora è qui rappresentata nella mandorla solare della gloria di Dio, che la avvolge quasi fino a farla propria, come a voler sottolineare che Dio ha avvolto una creatura umana della sua perfezione divina, affinché Lei rivestisse con la sua carne il Dio fatto uomo. La rappresentazione di Maria in una mandorla solare divenne a partire da quel momento una delle iconografie più usate per l’Immacolata Concezione.

La Tota Pulchra

Mentre si diffondeva la devozione all’Immacolata Concezione, la teologia doveva andare alla ricerca di fondamenti scritturali e patristici su cui appoggiare le proprie convinzioni. Una delle fonti scritturali più usate fu quella veterotestamentaria del Cantico dei Cantici. Questo libro di stile poetico abbonda di lodi che l’amato rivolge all’amata sotto forma di immagini naturalistiche, e queste citazioni potevano essere facilmente attribuite anche all’Immacolata Concezione e alla sua perfetta bellezza spirituale. Accanto ad esso anche le citazioni rivolte alle donne della Bibbia – come Debora, Giuditta o Ester – non potevano mancare: le donne dell’Antico Testamento divengono così prefigurazioni della Donna per eccellenza, Maria. Non a caso anche le varie composizioni litaniche che sorgono in questi secoli – di cui le più celebri sono le Litanie lauretane – abbondano di immagini tratte dal Cantico dei Cantici o citazioni scritturali, o quanto meno di simile ispirazione, spesso riprese anche dai Padri della Chiesa, come sant’Andrea di Creta e san Germano di Costantinopoli. 

A partire dai primi decenni del ’500 l’Immacolata Concezione nella gloria di Dio viene attorniata da cartigli in cui il suo splendore spirituale è descritto con frasi poetiche e scritturali, tra le quali non può mancare il celebre Tota Pulchra – ovvero: “Sei tutta bella” – tratto dal Cantico dei Cantici (cf Ct 4,7). Questa particolare iconografia si sviluppò in senso simbolico: ben presto scomparvero gli artificiosi cartigli e gli artisti preferirono rappresentare in un ideale paesaggio retrostante la torre d’avorio, lo specchio di perfezione, il giardino chiuso e ogni altro attributo che si potesse rivolgere per descrivere la bellezza spirituale dell’Immacolata Concezione. Il canone di questa iconografia nella sua forma più matura è ritenuta la stampa che il vescovo svedese Olaus Magnus fece includere nella versione del 1556 delle Rivelazioni di santa Brigida da lui curate: l’Immacolata nella mandorla della gloria celeste e con i capelli sciolti rimane in preghiera e con gli occhi rivolti verso l’alto, mentre elementi simbolici o scritte cantano le sue perfezioni. Questo tipo di iconografia – detto giustamente della Tota Pulchra (o in Spagna, dove si diffuse particolarmente, della Purissima) – divenne un dato acquisito degli autori successivi. Più tardi si abbandonarono gli elementi simbolici e i paesaggi quasi fiabeschi, ma rimase l’Immacolata con i capelli sciolti, le mani giunte in preghiera e gli occhi rivolti verso l’alto. Se di questi ultimi due elementi si comprende il significato, la rappresentazione di Maria con i capelli sciolti (biondi o rossicci) è strettamente legata al Cantico dei Cantici, in cui si cantano i capelli dell’amata – la sulamita – «come un gregge di capre che pascolano sul monte di Galaad» (Ct 4,1). 

La Donna dell’Apocalisse

Accanto all’iconografia della Tota Pulchra, nei primi decenni del Cinquecento i pittori dell’Immacolata trovarono un altro modo per rappresentare questo insigne privilegio, rifacendosi, questa volta, al celebre capitolo 12 dell’Apocalisse. È noto che gli stessi autori patristici non riconoscevano con unanimità Maria Santissima nella “donna” dell’Apocalisse, vedendovi piuttosto una figura della Chiesa, ed è noto anche come questi versetti per molti dimostrerebbero piuttosto l’Assunzione di Maria. 

Come l’intero libro, anche questo capitolo dell’Apocalisse è di difficile interpretazione ma senza ombra di dubbio «la donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» (Ap 12,1), ha molto a che vedere con l’Immacolato Concepimento di Maria. L’Immacolata è dunque “il grande segno” che nell’Apocalisse è dato a contemplare all’umanità come segno della vittoria del bene sul male: sicuramente la lotta tra la donna e il dragone rappresenta la lotta tra il bene e il male, e la Donna portata in salvo dal dragone rappresenta l’esenzione dal peccato originale. Maria Santissima, in quanto Madre di Dio, è preservata immacolata dal peccato proprio perché anche il Figlio fosse sotto ogni aspetto esente dalla sozzura del peccato: in tal modo la fuga della Donna dal dragone narrata nell’Apocalisse è una singolare celebrazione del dogma dell’Immacolata Concezione. Maria è nata senza peccato originale per essere la Madre del Figlio di Dio, in quanto sarebbe stato indegno che la seconda Persona della Santissima Trinità uscisse da un grembo macchiato dal peccato. L’influsso di questa scena biblica fu talmente ampio nell’iconografia dell’Immacolata Concezione che almeno tre elementi divennero imprescindibili: il vestito di sole, spesso associato con la mandorla della gloria di cui abbiamo parlato prima; la luna sotto i piedi, intera oppure almeno parziale; e la corona di dodici stelle, presto simbolicamente assunta per significare i dodici privilegi della Madonna (anche se nel testo biblico il riferimento era alle dodici tribù di Israele e ai dodici Apostoli). A questo aggiungiamo anche il dragone che ben presto si fuse con l’iconografia del serpente di cui parleremo al paragrafo successivo. 

Se non possiamo essere sicuri che la Vergine dell’Apocalisse di Dürer del 1492 fosse un’Immacolata, va detto che la sua figura è straordinariamente simile alla stampa dedicata espressamente all’Immacolata del 1516. Ad ogni modo la tematica diviene comune sia nella pittura che nella scultura: esempi ne sono l’Immacolata con san Francesco di Severo Ierace, dipinta nel 1539 per la chiesa di San Gennaro dei Poveri a Napoli, o quella del Cigoli nella cappella Paolina. Nel contesto genovese Andrea Semino e Bernardo Castello nelle pale di Santa Maria della Vittoria e San Pietro in Banchi accostano il tema della Donna vestita di sole e della sua opposizione al drago con quello della Tota Pulchra.

Uno degli esempi più maturi della rappresentazione dell’Immacolata come “Donna vestita di sole” è all’inizio del XVII secolo la statua dell’artista ticinese Francesco Silva nella cappella dell’Immacolata Concezione progettata dal Bernascone all’inizio della salita del Sacro Monte di Varese e sede di un intero programma iconografico dedicato all’Immacolato Concepimento di Maria.

La Donna della Genesi

Sempre nel XVI secolo un altro passo scritturale attrasse l’attenzione degli autori che volevano rappresentare l’Immacolata Concezione. Se il contenuto del dogma si riferisce direttamente all’esenzione dal peccato originale, allora la Madonna può essere rappresentata in opposizione a coloro che il peccato originale lo hanno commesso, i progenitori Adamo ed Eva. La Madonna diviene così, secondo l’espressione già usata dai Padri, la nuova Eva. 

Attorno al 1521 Luca e Francesco Signorelli per la cattedrale di Cortona dipingono una Immacolata Concezione, nella quale la Madonna – sotto lo sguardo di Dio Padre e attorniata da angeli – emerge in mezzo a sei personaggi dell’Antico Testamento. Curioso è però che la Madonna non poggi i suoi piedi su una nuvola bensì su un supporto frondoso, che a sua volta si sviluppa dal biblico albero della conoscenza del bene e del male, vicino al quale Adamo ed Eva consumano il loro peccato. Tale opposizione viene inasprita ancor di più dall’Allegoria dell’Immacolata Concezione del Vasari (1511-1574), dipinta nel 1541 per la chiesa dei Santi Apostoli di Firenze. Mentre i Progenitori nudi alla base del quadro si contorcono convulsamente nell’angustia del peccato, legati insieme ad altri personaggi veterotestamentari al nodoso e rinsecchito albero genesiaco, Maria si libra elegantemente nel cielo attorniata da una schiera di angeli, come a dimostrare la sua totale libertà dalla schiavitù e dall’oppressione del peccato. Ciò che nei cartigli circostanti si può leggere («Ciò che Eva con il suo peccato condannò, Maria lo liberò») viene rappresentato visualmente con dei raggi che dal corpo di Maria raggiungono i santi dell’Antico Testamento, che guardano a Lei come segno di speranza per giungere al Regno dei cieli. 

Nella pala che il Bronzino (1503-1572) qualche decennio più tardi dedicò all’Immacolata per la chiesa della Beata Vergine Maria della Pace, il contrasto tra l’Immacolata e i Progenitori si gioca piuttosto sul contrasto tra vita e morte: il pittore dipinge la coppia dei Progenitori quasi come se fossero morenti, mentre su di loro si staglia uno squallido scheletro, come a segnalare che a causa del peccato la morte è entrata nel mondo e domina sull’umanità. Maria però a sua volta vince sul peccato e sulla morte, conquistando la vita della grazia e del Paradiso. 

Ancora più completa dal punto di vista teologico e iconografico la composizione che l’autore fiammingo Maerten de Vos (1532-1602) dipinse per la chiesa di San Francesco a Ripa a Roma. Mentre sulla destra si scorgono i Progenitori commettere il peccato originale, sulla sinistra uno scheletro ricorda l’impero della morte sul mondo, mentre nella parte inferiore del quadro si spalancano le profondità dell’inferno popolate da demoni e da dannati, esito più drammatico del peccato originale. Ma su tutto questo si staglia vittoriosamente l’Immacolata con Gesù Bambino in braccio, che schiaccia la testa al serpente infernale. Già nel quadro del Vasari infatti il riferimento alla Genesi non si limita all’opposizione tra i Progenitori e la Santissima Madre di Dio, ma nella sempre migliore comprensione che il mistero dell’Immacolata Concezione sia collegato al cosiddetto Protovangelo della Genesi. In Genesi 3,15 infatti leggiamo: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Al di là di alcune questioni filologiche, il senso è evidente: la Vergine Maria (o la sua stirpe) schiaccia con il suo calcagno il serpente e la sua stirpe. Ora, la stirpe della Madonna è evidentemente Gesù, per cui questo testo della Genesi è la prima profezia biblica sull’avvento del Redentore (per cui parliamo di Protovangelo). Al contempo – ed è quello che più interessa – questo testo indica la perenne guerra esistente tra la Madonna e satana, una guerra in cui la Vergine Maria non può mai essere stata sottomessa a satana, ovvero non può mai essersi trovata nella condizione di peccato: per questo, per schiacciare veramente la testa al serpente Lei deve essere stata l’Immacolata. Il serpente della Genesi, ad ogni modo, non è altro che la stessa bestia dell’Apocalisse, per cui non è strano che in uno dei quadri dedicati all’Immacolata Concezione da Camillo Procaccini (1561-1629) – collaboratore di Federico Borromeo nel contesto della Controriforma a Milano e particolarmente vicino ai cappuccini – il serpente sia diventato un vero e proprio dragone bestiale, come quello descritto nel capitolo 12 dell’Apocalisse. 

La Purissima della pittura barocca spagnola

In realtà quest’ultima non è che una delle tante contaminazioni tra le diverse iconografie dell’Immacolata che si realizzano tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII e che porteranno poi all’elaborazione di una iconografia ufficiale, quasi universalmente rispettata in seguito e consacrata da Francisco Pacheco nella sua Arte della pittura (1649). Dall’iconografia della concezione celeste si prende la mandorla di gloria, l’ambiente paradisiaco, con Dio Padre o la Santissima Trinità e la corona di angeli; dalla Tota Pulchra l’atteggiamento della Vergine senza il Bambino in braccio, in preghiera, con gli occhi rivolti verso l’alto, le mani giunte e i capelli sciolti; dall’iconografia apocalittica il vestito di sole, la luna sotto i piedi e la corona di dodici stelle; infine dalla donna di Gn 3,15 – la nuova Eva – la parte più celebre di questa iconografia: il serpente che si divincola sotto il tallone di Maria, mentre solitamente si avvolge attorno a un globo terrestre. Questo modello di rappresentazione dell’Immacolata Concezione diventerà quello classico dei pittori del Siglo de Oro del barocco spagnolo, in particolare dei quattro maestri Jusepe de Ribera (1591-1652), Diego Velázquez (1599-1660), Francisco de Zurbarán (1598-1664) e, soprattutto, il “pittore dell’Immacolata”, Bartolomé Esteban Murillo (1618-1682). Se lo Zurbarán e il Ribera precedettero nel tempo il Murillo nella realizzazione di Immacolate, quest’ultimo fu autore di circa due dozzine di pitture sul tema. Dalla prima opera, la cosiddetta Immacolata Concezione Squillace (tra 1645 e il 1655) – dal nome del committente – ora conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, all’ultima Immacolata Concezione di Los Venerables (1678) – realizzata per i francescani di Siviglia – passano poco più di 20 anni, ma non molte differenze si possono notare nelle scelte dell’artista. Nel frattempo poi l’iconografia si diffondeva anche nel resto d’Europa, in particolare nei domini spagnoli e in quelli collegati alla Spagna, come anche il Ducato di Milano, dove nel clima della Controriforma la committenza del card. Federico Borromeo dava vita a molte di queste opere. 

Nel corso del secolo la pittura immacolatista tese a conformarsi a questo modello iconografico di successo, in cui l’elemento che forse è più evidente è quello della scelta di rivestire la Vergine di una lunga tunica bianca con un mantello azzurro lapislazzulo. Il significato simbolico dei colori è evidente: il bianco indica la purezza di Maria Santissima, una purezza che non riguarda solo il corpo (verginità), ma anche l’anima (Concepimento Immacolato); il mantello azzurro indica che la Madonna è una creatura della terra, ma viene ricoperta della grazia celeste, della vita divina. Potremmo pensare che gli autori – a partire dai pittori spagnoli della Controriforma – abbiano scelto questi colori per il loro significato simbolico, ma in realtà la prevalenza della veste bianca con mantello azzurro su altre soluzioni cromatiche è legato a una vicenda molto più interessante. Nel 1484 una dama di corte di Isabella di Portogallo, Beatrice da Silva (1424-1492), lasciò la corte per iniziare a condurre una nuova forma di vita religiosa: da lì a breve a Toledo fondò l’Ordine delle Concezioniste, esplicitamente dedicate al culto dell’Immacolata Concezione e all’imitazione della vita di Maria Santissima. La scelta di dedicare il suo Ordine all’Immacolata non era casuale, dato che il fratello di Beatrice, il beato Amedeo da Silva (1420-1482), era stato il confessore di Sisto IV e il probabile ispiratore dei suoi interventi a favore del culto dell’Immacolata. Così come il fratello, santa Beatrice ebbe diverse visioni dell’Immacolata, la quale, in una di queste, rivelò quale avrebbe dovuto essere l’abito indossato nel suo Ordine: un saio bianco con mantello e velo azzurri. Le Concezioniste ben presto si legarono all’Ordine Francescano e divennero il centro spirituale del movimento di promozione del culto all’Immacolata Concezione e così proprio la veste rivelata dalla Madonna a Beatrice da Silva fu adottato, già nel corso del XVI secolo, da alcuni pittori spagnoli come veste dell’Immacolata; anzi, spesso sulla veste comparve anche un cordone francescano, come nella Purissima di Juan de Juanes del 1540. Con i pittori barocchi spagnoli la veste delle Concezioniste divenne definitivamente la veste che indicava l’Immacolata Concezione, elemento rispettato con fedeltà dai successivi autori (con poche eccezioni) fino alla definitiva consacrazione con le apparizioni di Lourdes. 

Lo sguardo e la luna

Il successo dell’iconografia spagnola della Purissima è ben spiegabile dal ruolo che la Corona spagnola – a cui erano strettamente legati i pittori del Siglo de Oro – rivestì nella promozione della causa dell’Immacolata: come è ben noto nel corso di diversi secoli i re spagnoli profusero fatiche e ricchezze perché i papi riconoscessero dogmaticamente la verità dell’Immacolato Concepimento di Maria. Più volte anzi crearono in seno alla loro amministrazione una sorta di ministero – la Junta de l’Imaculada – che doveva occuparsi esplicitamente di questo. Pertanto non è difficile spiegare che potenza di irradiazione in tutta Europa ebbero le Immacolate del Murillo, del Ribera e del Zurbarán. 

Certo che all’interno di alcuni elementi ormai piuttosto fissi, c’era spazio anche per qualche piccolo cambiamento e reinterpretazione. È il caso dello sguardo della Madonna Immacolata, per esempio: dato che l’iconografia dell’Immacolata era ormai indistinguibile da quella dell’Assunta – tranne, a volte, per il colore delle vesti –, alcuni autori presero la consuetudine di rappresentare la Madonna Assunta con lo sguardo rivolto verso il Cielo e l’Immacolata che punta gli occhi verso la terra, a cui è stata destinata da Dio per compiere la sua missione. Tale piccolo cambiamento è ravvisabile nel maturo XVIII secolo nelle due famose Immacolate di Giambattista Tiepolo (1696-1770), per il resto fedeli al canone spagnolo dell’Immacolata Purissima. 

Anche la luna sotto i piedi della Madonna subì alcuni adattamenti e trasformazioni. La luna era considerata un simbolo di Maria Santissima in quanto, così come la luna non splende di luce propria ma riflette la luce del sole, così Maria, nella sua bellezza lunare, non è altro che un riflesso della perfezione di Dio. Nell’iconografia dell’Immacolata la luna compare talvolta piena (soprattutto agli inizi) per poi invece essere sostituita prevalentemente dalla falce di luna, in modo tale che vi sia spazio anche per il globo terrestre avvinto dal serpente malefico. Secondo i trattati di pittura dell’epoca la luna avrebbe dovuto essere crescente, ovvero con le punte verso il basso, per meglio denotare la simbologia mariana in senso positivo di progressiva illuminazione. D’altronde non è raro il caso contrario, anzi, verso la fine del XVII secolo diviene anche più frequente e il motivo va ricercato in un evento storico. Sotto il papato di Innocenzo XI e dopo la vittoriosa battaglia del Kahlenberg (1683) – in cui le truppe cristiane avevano sconfitto gli Ottomani che assediavano Vienna – risorse una crociata contro i musulmani, per scacciarli dalla penisola balcanica e dall’Ungheria. In questo senso la luna sotto i piedi della Madonna fu ricondotta al celebre simbolo islamico della mezzaluna, assumendo così un carattere negativo: l’Immacolata non solo poggiava sopra la luna ma, insieme al serpente, schiacciava anche la mezzaluna islamica e tutti gli altri nemici. Non è peraltro casuale che il beato Marco d’Aviano – cappellano delle truppe imperiali e consigliere dell’imperatore – volle che l’imperatore si adoperasse perché nei domini asburgici la festa dell’Immacolata Concezione si celebrasse solennemente. 

In ogni caso si comprende sempre più la funzione sociale e politica dell’Immacolata: schiacciando il serpente genesiaco, la mezzaluna turca, oppure vincendo il mostro dell’Apocalisse, Lei è colei che assicura alla Chiesa e alla Cristianità la vittoria contro i suoi nemici, che non sono altro che appendici o seguaci del diabolico tentatore. 

L’Immacolata Corredentrice

Ad ogni modo l’innovazione teologicamente più feconda ha ancora a che vedere con santa Beatrice da Silva e le sue Concezioniste: se i pittori spagnoli avevano preso il loro abito – rivelato dalla Madonna – come veste ufficiale per l’Immacolata, avevano però trascurato che sia sull’abito che sul mantello la santa fondatrice aveva voluto che ci fosse l’emblema della Madonna con in braccio il Bambino che regge nelle sue mani una lancia con cui infilza il serpente, intrappolato sotto i piedi della Madre divina. Questa originale rappresentazione, circa due secoli dopo la sua apparizione, passò dall’abito monacale alle tele artistiche quando Carlo Maratti (1625-1713), forse il più grande pittore italiano della sua epoca, fu chiamato a dipingere la cappella della famiglia Silva (di cui è difficile determinare la parentela con la Santa omonima) nella chiesa di Sant’Isidoro Agricola a Capo le Case, retta dai francescani spagnoli. 

La scelta del tema però non sembra opera dell’autore ma piuttosto della sua collaborazione con un teologo francescano che risiedeva nel collegio annesso a Sant’Isidoro, Luke Wadding (1588-1657). Irlandese sfuggito alle persecuzioni anticattoliche, da storico dell’Ordine Francescano e amante della filosofia e teologia scotista, si distingueva soprattutto per il suo zelo per la causa immacolatista, e non vi è dubbio che fu lui la mente di questa revisione iconografica. Fatto sta che questo nuovo modo di rappresentare l’Immacolata fece scuola e, pur non soppiantando l’iconografia spagnola della Purissima, se ne accostò diventando in particolar modo una tradizione francescana, quasi immancabile nei conventi cappuccini e in quelli degli altri rami dell’Ordine Serafico. Quando Gesù non infilza satana, allora sovrappone il proprio piede a quello della Madre, come a dare il colpo decisivo all’iniquo serpente. 

Soprattutto nel contesto milanese poi questa tematica avrà una immediata e incredibile diffusione sia in pittura che in scultura, come dimostrano le molte Immacolate dipinte dal Legnanino (1661-1713), la scultura del Rusnati (1650-1713) per la chiesa teatina di Sant’Antonio Abate e la magnifica composizione scultorea di Giovanni Battista Dominioni per i francescani di Sant’Angelo. Perché è così significativa questa tematica? Di per sé l’iconografia sembrerebbe sminuire Maria rispetto a Gesù, in quanto a questo viene affidato l’annientamento dell’iniquo serpente, ma in realtà l’intento è di mostrare in maniera ancor più veritiera e dettagliata il coinvolgimento di Maria nell’opera della Redenzione. Fino ad adesso abbiamo solo visto l’Immacolata che, in quanto creatura del tutto estranea al peccato, schiaccia satana sotto il suo piede, ma in questa nuova iconografia contempliamo l’Immacolata Corredentrice che annienta l’impero del male nel mondo. Maria è stata concepita immacolatamente per cooperare all’opera della Redenzione di Cristo: è certamente il Verbo Incarnato ad annientare satana e il suo dominio con la lancia della sua morte redentrice, ma non lo avrebbe fatto se la sua Santissima Madre Immacolata non avesse tenuto fermo sotto i suoi piedi il serpente antico, ovvero se non avesse celebrato per prima nella sua persona la vittoria sul peccato. Maria non è dunque solo l’Immacolata, ma l’Immacolata Corredentrice.

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