“Deep sky” è quello spazio non solo esterno alla nostra galassia ma anche molto lontano. Attraverso un “angolo di fuga” tra le stelle del nostro Sistema, gli astronomi hanno oltrepassato i confini dell’Universo visibile e fotografato la “più profonda immagine dell’Universo mai raccolta”: oltre alla nostra vi sono duemila miliardi di galassie! In passato, bastava la vista del cielo stellato per cadere in ginocchio, all’uomo di oggi Dio offre molto di più...
L’esempio più luminoso di fede e di conversione ottenute attraverso il dono della scienza è quello dei tre Re Magi che sono arrivati a Betlemme per adorare Gesù-Dio guidati da una stella cometa. Le figure ieratiche e misteriose di questi scienziati astronomi dell’antichità hanno sempre affascinato i credenti al punto tale che un Presepe non è un Presepe se mancano i Magi. La loro sapienza, la loro profonda conoscenza dei moti celesti, la loro pronta interpretazione del segno inequivocabile dell’astro chiomato che preannunciava la nascita di un Re-Sacerdote, i loro doni così simbolici, l’oro, l’incenso e la mirra, e – diciamolo pure – la loro regalità solenne, hanno sbalordito non solo il pavido Erode e i suoi falsi esegeti ma anche noi che li rimiriamo a distanza di duemila anni.
Anche quest’anno, durante il periodo dell’Epifania che ci siamo lasciati alle spalle, il lento incedere dei cammelli carichi di spezie e di oro dei Magi ha animato la rievocazione della nascita del Signore. E non possiamo fare a meno di lodarli ed ammirarli perché pur essendo uomini di scienza nati in una lontana regione della Caldea, immersi in una cultura tutto sommato pagana, sono riusciti a cogliere a volo l’invito di Dio, hanno riconosciuto ed adorato Gesù Bambino, venerato l’Immacolata ed hanno affrontato, per questo, un viaggio lungo e pieno di insidie. A pieno diritto – dunque – si sono guadagnati il titolo di scienziati-santi e rappresentano il prototipo, il paradigma, l’archetipo della perfetta coniugazione di Scienza e Fede. Non che oggi le cose siano cambiate: anche oggi, in piena epoca scientifica ed ipertecnologica, se solo lo volessimo, lo studio della natura, della matematica, della fisica, della cosmologia, della biologia e quant’altro è stato creato, ci porterebbe dritti dritti a riconoscere il Creatore, ad amarlo, a servirlo, ad adorarlo esattamente come è avvenuto per i nobili caldei. Ce lo assicura san Paolo nella Lettera ai Romani: «Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità» (1,20).
Eppure qualcosa sembra che si sia inceppato. Qualcosa non funziona più a dovere. Sarà perché, come dice L. Pasteur, chimico e biologo fondatore della microbiologia, «poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui», sarà per i trascorsi filosofici dell’illuminismo, del positivismo e del materialismo ateo ottocenteschi che hanno illanguidito la percezione del Soprannaturale che avvolge la vita dell’uomo e messa al bando la Metafisica, ma la Scienza non sembra possedere più quella “presa” spirituale di una volta. Si è consumata (ma questo fin dai tempi di Giordano Bruno1 e di Galileo Galilei, cioè fin dagli esordi del “metodo scientifico moderno”) una sorta di frattura intrinseca, di conflitto insanabile, di dissidio irriducibile tra la Scienza e la Fede che non hanno invece alcuna ragion d’essere, nessun motivo reale di esistere. Ciò nonostante – è la statistica che ce lo dice – la gran parte degli scienziati moderni sono non credenti. Sono atei o agnostici. Perché? Si innalza il severo monito della Scrittura: «Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere» (Sap 13,1).
È paradossale che il profeta Daniele, il Re Davide2, i Magi, sant’Agostino, san Francesco (col suo Cantico delle Creature) e tanti altri Santi che osservavano il cielo ad occhio nudo e non potevano discernere altro che pallide stelle ed evanescenti asterismi notturni (le Pleiadi, Orione, l’Orsa Maggiore, ecc.) cadevano in ginocchio conquistati dalla grandiosità del firmamento esclamando: «Benedetto sei tu nel firmamento del cielo, degno di lode e di gloria nei secoli» (Dn 3,56) e noi invece che siamo in grado di scrutare il Cosmo con strumenti potentissimi che ne rivelano l’immensità assoluta con una chiarezza inusitata, rimaniamo indifferenti, freddi quasi inerti, impassibili, noncuranti.
I telescopi moderni, nel volgere di venti anni, hanno letteralmente ridisegnato il volto del Cosmo, ne mostrano dettagli sconcertanti, meraviglie sconosciute, colori, strutture e spettacoli ineffabili. Veramente il concetto di “infinito” (potenziale) si affaccia in modo prepotente dagli oculari e dai monitor dei telescopi giganti situati sul Mauna Kea nelle Hawaii, dell’Osservatorio del Paranal in Cile, di Las Campanas, o della Roque de Los Muchachos nelle Canarie. A tal proposito fanno rimanere sconcertati i risultati di un “esperimento” (chiamiamolo così) attuato attraverso il telescopio spaziale Hubble3 che possiamo definire un grande “occhio” spalancato sull’abisso dello Spazio ed esente dai disturbi turbolenti dell’atmosfera terrestre. Ebbene i cosmologi e astronomi si sono da sempre domandati come dovesse apparire lo spazio “profondo” cioè quello spazio non solo esterno alla nostra galassia ma soprattutto molto lontano, ai confini dell’Universo visibile. Come è noto, guardare lontano significa anche guardare indietro nel tempo perché la luce che proviene da una galassia remota e che arriva sulla Terra adesso è in realtà “partita” miliardi di anni fa, quando l’Universo era ancora molto “giovane”. Poiché le stelle presenti nella nostra galassia, la Via Lattea, disturbano con la loro luminosità le immagini fotografiche, gli astronomi si sono industriati nel ricercare un “angolino buio” tra le stelle che permettesse di vedere ciò che si nasconde al di là ed oltre la luce evanescente del nostro universo-isola. Questo corridoio buio è stato individuato finalmente nella costellazione della Fornace. Il campo “ultra profondo di Hubble” è proprio l’immagine di questa piccola regione ottenuta con molta pazienza componendo i dati raccolti dal telescopio nel periodo che va dal 3 settembre 2003 al 16 gennaio 2004 in esposizioni successive. Si è costruita così la più “profonda” immagine dell’Universo mai raccolta nello spettro della luce visibile. E si è riusciti a guardare indietro nel tempo per qualcosa come 13 miliardi di anni! Nella piccola porzione di cielo inquadrata nel campo ultra profondo di Hubble (che corrisponde appena ad un decimo del diametro della luna piena) è apparso qualcosa di inconcepibile e difficilmente immaginabile: sul fondo oscuro dell’abisso si stagliavano nettissime, qualcuna più vicina qualcuna estremamente lontana, ben 10.000 galassie! E ancora ne apparivano di più remote confuse, vaghe, diafane in un baratro immenso, in un pozzo cosmico senza limite che non si può definire altrimenti che “quasi infinito”.
Poiché è ragionevole supporre che ciò che compare in questo minuscolo lembo di cielo è comune al resto della volta celeste che ci sovrasta, la conclusione che se ne trae è che l’Universo visibile con Hubble è popolato da un numero sterminato di universi-isola. Un conteggio accurato eseguito da un team di ricercatori guidati da Christopher Conselice dell’Università di Nottingham, che ha utilizzato anche i dati della campagna osservativa GOODS (Great Observatories Origins Deep Survey), ha fornito un risultato che lascia stupefatti: duemila miliardi di galassie!
Se si tiene conto che in ogni galassia ci sono approssimativamente centocinquanta miliardi di stelle, possiamo affermare che nella parte di Universo che è osservabile con gli attuali strumenti ci sono trecentomila miliardi di miliardi di stelle! Scritto in notazione decimale: 300.000.000.000.000.000.000.000 stelle. Il sole è una di queste stelle. È bene precisare che la materia “visibile”, cioè che emette luce o altra radiazione elettromagnetica sotto forma di stelle (o la riflette: polveri, pianeti, comete, asteroidi e quant’altro), è soltanto il 15% di tutta la materia in realtà presente ma che non riusciamo a vedere. Senza contare i buchi neri che hanno massa ognuno miliardi di volte quella del sole ma sono celati nel cuore delle galassie. Incredibile! La mente si confonde e non riesce più a valutare la grandezza di questi numeri... quanto più Immenso e Onnipotente deve essere Colui che ha creato tutte queste cose. Una volta conosciute tali realtà ineffabili dovremmo cadere tutti in ginocchio ed esclamare con san Francesco: «Dio mio, Dio mio, chi sei Tu e chi sono io!».
Infine c’è un’altra notazione da aggiungere: ad occhio nudo il cosmo ci appare come una coperta nera trapunta di stelline gialle. Visto attraverso i moderni telescopi il Cosmo si rivela come un tripudio vorticoso di colori indescrivibili, come un arcobaleno di nebulose, come giostre di stelle roteanti, multicolori dal rosso al violetto, come nebulosità evanescenti e sfumate, nel centro delle quali si formano le stelle per l’aggregazione dell’idrogeno... Insomma è uno spettacolo rutilante, un turbinio di luci, un mulinello luminescente che supera qualsiasi fuoco pirotecnico fatto da mani d’uomo. Questo il Signore lo offre alla nostra vista per attirarci a Sé, alla sua Infinita Maestà, per svelarci un lembo infinitesimo della sua Magnificenza. I tre Re Magi hanno visto una sola stella cometa ed hanno creduto, l’umanità del Terzo Millennio osserva spettacoli celesti di incomparabile bellezza, di straordinaria suggestione, di impareggiabile fascino e rimane indifferente, impassibile, insensibile, apatica, noncurante perfino. Forse la vera Scienza è diventata un ricordo lontano, e sbiadito, al pari di una galassia sfuggente posta ai confini dell’Universo.
NOTE
1 Giordano Bruno (Nola 1548 – Roma 17 febbraio 1600) voleva immanentizzare Dio in un universo infinito. Per queste argomentazioni e per le sue errate convinzioni sulla Sacra Scrittura, sulla Trinità e sul Cristianesimo, Giordano Bruno, già scomunicato, fu giudicato eretico durante il pontificato di Clemente VIII.
2 «Lodate il Signore nel suo santuario, / lodatelo nel firmamento della sua potenza. / Lodatelo per i suoi prodigi, lodatelo per la sua immensa grandezza» (Sal 150).