ATTUALITÀ
Un gioco mortale
dal Numero 7 del 14 febbraio 2016
di Antonio Farina

Gioca d’azzardo chi vuol fuggire i problemi della vita, o vincere la noia, o alleviare sensi di colpa, ansia, impotenza, o migliorare la propria condizione sociale... ma tutto ciò non basta a spiegare il mistero di una dipendenza che si fa sempre più estesa e sempre più coinvolgente e spesso si conclude in modo drammatico.

Nella società civile moderna così massificata, livellata, omologata nei comportamenti ed “interconnessa”, i problemi individuali, i disturbi personali, acquistano sempre più la dimensione di piaga sociale, di male dilagante e “generalizzato”. Per esempio fino a pochi decenni orsono l’uso di sostanze stupefacenti era certamente una realtà diffusa ma tutto sommato confinata a certi ambienti ristretti di artisti, di intellettuali, di musicisti e quasi appannaggio esclusivo dei ceti medio-alti.
Oggi invece, col calare del costo degli stupefacenti, col proliferare delle fonti di spaccio, la diffusione dell’eroina, della cocaina e delle droghe sintetiche è diventata capillare, pervasiva e pressoché totale. Droga in discoteca, droga nelle scuole, droga nelle case private senza distinzione di censo, di cultura e di estrazione sociale: tutti accomunati sotto la medesima schiavitù della tossicodipendenza. Per la piaga dell’alcol le cose vanno forse meglio che in passato tuttavia il suo consumo è in grande diffusione tra i giovani e le donne. Non ne parliamo poi del vizio del fumo che è un vera e propria iattura internazionale: nonostante il progressivo aumento del costo del pacchetto e i divieti di fumare nei locali pubblici continua a registrare costi sociali altissimi in termini di salute pubblica e assistenza sociale.
Come se tutto ciò non bastasse negli ultimi anni sta prendendo piede il terribile vizio del gioco compulsivo. In Italia si stima che vi siano circa un milione di giocatori compulsivi. Silenziosamente e quasi in modo impercettibile al fianco della bacheca del gratta-e-vinci e del Bingo-on-line, ha fatto capolino una “innocente” macchinetta per giocare a Poker contro un computer. Poi da una macchinetta siamo passati a dieci. Dal Poker si è passati alle Slot-machine, dai giochi di carte alla Dama e alla Roulette, poi «il bar è troppo poco» e siamo passati ai locali dedicati ai video-giochi che nel volgere di pochi anni sono assurti al ruolo di vere e proprie case da gioco virtuali. Prima c’era solo il Casinò di Venezia e di Montecarlo, oggi svolti l’angolo della strada e ti ritrovi immerso in una specie di “Las Vegas” di quartiere dove trovi di tutto e ti puoi giocare tutto: scommesse (anche clandestine), pronostici sportivi, corse dei cavalli, tombole, bingo, Black Jack, e perfino Strip-Poker, nel più classico connubio tra gioco d’azzardo e pornografia: una miscela esplosiva. Il risultato qual è?
Il risultato è che il gioco d’azzardo è diventato una malattia sociale. Ha travalicato la soglia del problema personale, del disturbo psichico, del vizio privato inconfessabile e si è dilatato poco alla volta fino a raggiungere la sconcertante dimensione di flagello sociale. Una bella carriera, non c’è che dire. Ecco che i sociologi, gli antropologi, gli psicologi, i politici, i burocrati si mobilitano e lanciano il (tardivo) grido d’allarme: sono troppi quelli che si rovinano, si riducono sul lastrico, trascinano nella miseria e nella disperazione familiari e parenti, lasciano sul tappeto verde proprietà, case, automobili, conti correnti e – non di rado purtroppo – la propria vita. Non solo i manager, i ricconi, i possidenti, gli industriali ma anche i semplici impiegati, gli operai, i dipendenti dei supermercati, gli studenti, i pensionati, i commercianti, le massaie perfino. Sì, il male contagioso del gioco compulsivo non risparmia nessuno, miete vittime in modo “trasversale”, in tutte le fasce sociali, senza alcuna preferenza di sesso, di età, di condizione sociale, di istruzione, di credo religioso. Ma cos’è esattamente il vizio del gioco e come si cade nella sua trappola mortale?
Com’è possibile che un’attività ludica, un gioco, un passatempo che dovrebbe di per sé dare benessere, distrazione e svago si tramuti improvvisamente in una specie di incubo ossessivo, di tormento psichico, del quale si diventa succubi, prigionieri e non si riesce più a venirne fuori se non con atti estremi o esiziali? Il DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders [DSM], pubblicato dalla American Psychiatric Association) definisce il gioco d’azzardo patologico «un comportamento persistente, ricorrente, disadattivo di gioco d’azzardo che compromette il funzionamento personale, sociale e lavorativo dell’individuo». Forse più che le definizioni generali giova elencare i criteri che conducono alla diagnosi di questa grave patologia che rientra nella categoria dei Disturbi del Controllo degli impulsi (1).
1) La persistenza. Il soggetto è eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (non fa altro che pensare alle “giocate” fatte, programmare le future, si industria a procurarsi il denaro necessario per giocare. Spesso ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto, appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo e così via).
2) La dipendenza. Chi ha il vizio del gioco ha bisogno di giocare molto e con quantità crescenti di denaro. Più la cifra è alta e più avverte le scariche di adrenalina che gli danno soddisfazione.
3) L’irrequietezza. Il giocatore incallito è solo apparentemente controllato, in realtà è irritabile, inquieto, soprattutto se gli si impedisce di giocare o gli si impone di ridurre il gioco d’azzardo.
4) L’ostinazione. Dopo aver perso al gioco di sovente ritorna un altro giorno per giocare ancora, ricorda ed esalta le proprie vittorie e tende a negare e a dimenticare le volte che ha perduto.
Da ciò si evince che il disturbo è compulsivo, progressivo, cronico. Questo è quello che affermano gli studiosi, i quali avanzano anche delle ipotesi “eziologiche”, cioè le cause che sarebbero alla base, o comunque connesse, all’insorgere del fenomeno (2): gioca d’azzardo chi vuol sfuggire ai problemi della vita o alleviare sentimenti di colpa, ansia, impotenza, depressione... ecc. Come pure sembra avere un ruolo importante «il desiderio di vincere denaro, di procurarsi una vita sociale più ricca, di vincere la noia, di vivere uno stato di eccitazione ma esistono studi interessanti relativi al ruolo di altre variabili specifiche quale, ad esempio, l’autosti­ma» (3). Sì, sì, certamente il meccanismo della carenza di autostima, la bassa considerazione che si ha di se stessi, rende un individuo predisposto particolarmente vulnerabile alla nascita di ossessioni che lo conducono in un mondo immaginario, in una specie di realtà virtuale, in cui si vede ricco, potente, ricercato, amato...
Eppure questa spiegazione non convince del tutto. Principalmente non spiega affatto l’esito fatale, l’uscita di scena drammatica, il suicidio, la tragedia finale, la morte autoinflitta del giocatore arrivato all’ultima spiaggia. Perché uccidersi se si è “alleviati” nelle proprie ossessioni, se sono dissipati i fantasmi che agitano la mente? Perché farla finita proprio quando si è scoperto un mondo idilliaco, un Eden perduto, nel quale realizzare le proprie aspirazioni di ricchezza, di potenza, di successo... di amore? C’è qualcosa che non quadra. Dinanzi a simili critiche e valutazioni gli scienziati non sembrano perdere la sicurezza che li anima seguendo le teorie freudiane. Forse vacillano, ma non retrocedono di un passo. Ribadiscono con convinzione che il comportamento problematico rientra certamente in quadro psicologico-psichiatrico di alterazione del sistema relazionale e nient’altro... Poi tirano in ballo (come sempre) il ruolo del coniuge, del partner, della famiglia, dei genitori possessivi, dei traumi infantili, dell’ambiente lavorativo, ecc., ecc. La solita solfa. In realtà proprio l’esito infausto delle vicende personali che se non arrivano all’auto soppressione (140 su mille tentano il suicidio per la disperazione), quasi sempre pervengono ad una profonda alterazione della vita sociale, ad un precipitare nella spirale dei furti, delle violenze, delle menzogne e così via, tutto ciò – dicevamo – indica e rende manifesta la presenza del male.
È impossibile non scorgere nell’evolvere pernicioso degli eventi lo zampino del maligno. Chi ne cade vittima descrive la propria condizione angosciosa come la presenza in sé del “demone del gioco”: quanto questa è un’immagine allegorica e quanto invece è una cosa reale? Il gioco patologico compulsivo è una specie di droga mentale, un male dell’anima che trasforma un piacere, un divertimento in un dramma, in un dolore, in un tormento, in un danno morale. L’ossessione è la tecnica preferita di satana. Ogni giocatore in realtà è una storia a sé, ma il comune denominatore che li unisce è il progressivo ripiegamento su se stessi ed una tendenza all’autodistruzione.
Ancora una volta, come già si è messo in evidenza per altre patologie devastanti del comportamento, c’è qualcosa di tragico se non di grottesco nella “carriera” di un giocatore compulsivo: muore cercando di divertirsi. In tale profondo sovvertimento della legge naturale e della Volontà di Dio si scorge chiarissima l’azione malefica e corrosiva di colui che pur di strapparci dalla Grazia e farci fare una fine ingloriosa si avvale di ogni strumento e canale che conduce al peccato. La vittoria più eclatante egli l’ottiene quando la stessa mano che un momento prima stringeva contenta le carte da Poker o un dado truccato poi impugna una rivoltella e la rivolge alla tempia in un’estrema, sconsiderata, Roulette Russa. Un gioco mortale, perverso ed aberrante nel quale la posta messa in palio è ben più alta di quanto ci si aspetti: c’è in palio la Salvezza Eterna dell’anima.  

Note
1) Si consulti per esempio il sito http://www.humantrainer.com/
2) Vedi l’articolo di Dalila Borrelli: Il vizio del gioco, ovvero il gioco d’azzardo patologico.
3) Ibidem.

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