SANTO NATALE
Hic Jesus Christus natus est
dal Numero 1 del 27 dicembre 2015
di Carlo Codega

Guardiamo alle vicende della Basilica della Natività di Betlemme per cogliere il singolare significato che la Provvidenza divina ha voluto imprimere nella sua struttura e nelle sue vicende storiche, a nostra istruzione ed edificazione.

L’Onnipotente, padrone della terra e della storia, non ci ha lasciato reliquie e luoghi sacri perché fossero capolavori d’arte da ammirare oppure monumenti da studiare, bensì perché fossero strumenti concreti, terreni e, oserei dire, “incarnati” di santificazione, mezzi attraverso cui dispensare grazie alle anime. Pertanto la sua Provvidenza ha guidato e guida ancora la storia di queste “res sanctae” perché da questa storia e attraverso questa possiamo cogliere significati spirituali profondi e frutti di grazia abbondanti. Guardiamo alle vicende della Basilica della Natività di Betlemme per cogliere il singolare significato che la sua struttura e le sue vicende portano con sé.

La Basilica della Natività

Quando la pia Imperatrice sant’Elena (248-329), madre dell’Imperatore Costantino (272-337), iniziò il suo celebre pellegrinaggio in Terra Santa, nel quale avrebbe scoperto insigni reliquie (come quella della Santa Croce), forse non si sarebbe aspettata di rimanere ferita da un desolante spettacolo proprio nel luogo santo che più ci parla della poesia della Redenzione: Betlemme. Questo abominio è ben descritto da san Girolamo (347-420): «Quel santissimo tra i luoghi della terra del quale il salmista canta: “La verità germoglierà dalla terra” era ombreggiato da un boschetto sacro a Tammuz, cioè Adone, e nella grotta dove un tempo Cristo, bambino, aveva vagito si piangeva l’amante di Venere» (Epistola 58).
Dopo la ribellione giudaica di Simone Bar-Kokhba del 135, l’Imperatore Adriano aveva infatti preso provvedimenti drastici contro i giudei. Colpendo l’irrequieto popolo fin nella sua identità religiosa e nei suoi luoghi di culto, di fatto Adriano favorì la profanazione anche dei luoghi santi cristiani: mentre Giove trionfava sulla solennità del Santo Sepolcro e una statua di Venere si faceva beffe del dolore del Calvario, ecco che il boschetto sacro del suo tragico amante, Adone, soffocava con le sue voluttuose fronde la santa Grotta della Natività. Sovrana empietà: il luogo dove il parto del Divin Bambinello non aveva, per un miracolo dell’Altissimo, recato offesa alla Verginità dell’Immacolata, ma anzi aveva santificato il suo Grembo con la Sua presenza, era divenuto luogo della celebrazione d’impudichi culti orgiastici!
Non mise molto però la santa Imperatrice a convincere il figlio a porre fine a questa beffarda profanazione: la mano benevola dell’Imperatore abbatté le tenebre della lussuria per dare nuovamente luce a quella grotta che aveva donato al mondo la “vera Luce”, e, su questa, edificare la Basilica della Natività. La Basilica costantiniana della Natività è dunque il tempio della Luce, la luce che fuga le tenebre del paganesimo e la luce che illumina le coscienze, per staccarle dalla schiavitù del peccato della carne, quello che maggiormente affligge l’uomo dopo il peccato originale.
Accostarsi al mistero del Natale significa prima di tutto staccarsi dalla legge della carne per far trionfare la legge dello spirito: solo un parto verginale, come insegna sant’Ambrogio, è un parto degno di Dio, e, allo stesso modo, non saremmo mai degni della presenza di Gesù Bambino se non facciamo, sfrondando i boschi ombrosi della concupiscenza che affollano la nostra anima, dei nostri cuori e dei nostri corpi una casta dimora in cui accoglierlo. 

“Non abbiate paura”

La nascita di Gesù, cioè la manifestazione al mondo del Verbo Incarnato, fu un evento destinato a cambiare il corso e il ritmo della storia: l’Eterno è entrato nella storia per dirigere la storia verso l’eternità! L’evento del Natale è fondamento solido e incrollabile, destinato, nonostante le vicissitudini del mondo e della stessa Chiesa, a non perdere mai la sua centralità e la sua “eternità”: questa solidità e indefettibilità sembra condivisa dalla stessa storia della Basilica della Natività. In verità la Basilica costantiniana non ebbe vita lunga: dopo che una rivolta di Samaritani arrivò a danneggiarla seriamente, l’Imperatore Giustiniano (482-565), convinto dell’esiguità di questa rispetto all’afflusso di pellegrini, fece ricostruire una Basilica grandiosa a cinque navate (531), con mosaici ai pavimenti e ai muri, marmi preziosi e oro. È questa la Basilica che è sopravvissuta nei secoli a guerre e invasioni, conservando sempre intatto il prezioso tesoro della grotta. La struttura della Basilica giustiniana è, di fatto, sopravvissuta sino ai giorni nostri scampando miracolosamente all’invasione dei persiani (614), a quella dei musulmani (638), alle guerre crociate e a secoli di dominazione musulmana.
I persiani di Cosroe, colmi di satanico odio verso la vera Religione, avevano abbattuto nel resto della Terra Santa tutte le Basiliche cristiane: l’unica a essere risparmiata fu proprio quella di Betlemme. Si dice che questi, decisi a radere al suolo la Basilica, mutarono opinione solo alla vista di un grande mosaico raffigurante i Re magi, che Giustiniano aveva voluto in una posizione centrale ed evidente. La somiglianza dei vestiti fece infatti riconoscere ai persiani che dei loro antenati avevano in effetti adorato un bimbo nato in quella povera mangiatoia, il che bastava per renderli almeno rispettosi del luogo.
Per i musulmani invece il motivo della conservazione e del rispetto fu la stima che avevano per Gesù e per la sua nascita, che, per quanto non divina, comunque ritenevano miracolosa, tanto da potersi recare in Basilica per pregare.
Singolare dunque fu il decreto della Provvidenza di lasciare una così preziosa reliquia in un teatro di scontri epocali tra diverse culture e religioni, anziché dirigere lontano da essa tutte queste potenziali minacce, come a dimostrare con i fatti quella parola di Gesù: «Non temete. Io ho vinto il mondo» (Gv 16,32). Come ebbe a dire Benedetto XVI, in visita a Betlemme nel 2011: «Non abbiate paura! L’antica basilica della Natività, sferzata dai venti della storia e dal peso dei secoli, si erge di fronte a noi quale testimone della fede che permane e trionfa sul mondo».
Quel piccolo Bambino nato in una grotta, in effetti, venne proprio per riacquistare a prezzo del suo Sangue il Regno del Padre, caduto sotto il dominio apparente di satana: quel Regno che viene dall’eternità, pur passando in mezzo ai flutti delle vicende mondane e all’avversità di chi rifiuta il Cristo, durerà trionfante sino all’eternità!

Umiliò se stesso assumendo la forma di servo

Ciò che più stupisce il pellegrino attuale alla sola vista della facciata della Basilica è il suo aspetto greve e sgraziato, con pietroni squadrati irregolari alternati a fasce di mattoni di varie dimensioni... il tutto sfregiato poi dalle molte costruzioni distrutte o abortite che nel corso dei secoli hanno alterato la fisionomia originaria, togliendo razionalità all’edificio. Nessuna spinta verticale contraddistingue una facciata priva di respiro, disordinata e opprimente nella quale né una finestra né un portone possono trovare spazio... solo alla base, quasi occultata e schiacciata da due poderosi contrafforti, una piccola porticina di 1,50 m attira la vista ormai disperata dell’osservatore.
Eppure una tale mancanza di buon gusto e di osservanza delle più elementari norme architettoniche non è priva di senso e porta le tracce della storia travagliata del luogo santo. La spiegazione più probabile è che l’aspetto della facciata rifletta la situazione d’instabilità e guerra del territorio in cui la Basilica si venne a trovare, a partire dalla conquista musulmana della Terra Santa: da quel momento la facciata della Basilica di Giustiniano, a tre portoni, perse sempre più l’aspetto di un tempio per assumere quello di una fortezza. Una fortezza non ha bisogno di porte ed ecco che i portoni vennero murati e rimase, alla fin fine, un pertugio da cui uomini a cavallo non avrebbero potuto assolutamente entrare e uomini a piedi lo avrebbero potuto fare solo piegandosi, uno alla volta.
Se la storia ci offre una spiegazione razionale, il Padrone della storia, attraverso di essa, vuole ammaestrare tutti gli uomini: accostarsi al mistero della Natività e cercare di penetrare nel suo intimo, significa innanzitutto passare per quella porta che, oltre a essere “stretta” come quella di evangelica memoria, è persino bassa. Bassa perché non si può contemplare la Natività se prima non abbiamo chinato il capo, se prima non abbiamo abbassato la nostra testa, in segno di umiliazione, di venerazione e, ancor più, come imitazione di Colui che per primo «umiliò Se stesso» (Fil 2,7): «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). Nessuna porta per quanto bassa e stretta ci permetterà di abbassarci quanto il Verbo si è abbassato, scendendo dalla sede regale del Cielo per prendere una “forma di servo”, per assumere quella pesantezza della carne che tanto somiglia alla facciata della Basilica.
Lo stesso Benedetto XVI, in visita a Betlemme, ci ricordò come la porta bassa della Natività rappresenti l’esigenza primaria di chi è alla ricerca del Dio fatto bambino: «Se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata” [...]. Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato».

La gloria dell’Unigenito dal Padre

A chi ha saputo accettare l’apparenza esteriore, la “forma di servo”, ed è riuscito a umiliarsi davanti al basso stipite del mistero, Dio non rimane indifferente e prodiga immediatamente la celestiale vista della Basilica della Natività: cinque immense navate, marmi sopra pavimenti musivi, una luce intensa che entra dalle finestre della navata e una solenne fuga di colonne che conducono il nostro sguardo al coro ligneo e, di lì, fino all’iconostasi greca, adornata con splendidi manufatti aurei e argentei. Niente potrebbe, più di questo, parlarci della maestà di Dio, della gloria ineffabile di quel Dio che si era amabilmente nascosto dietro la facciata della natura umana, colma di tutte le infermità e le debolezze ad eccezione del peccato.
Richiedendo solo il piccolo gesto di umiliare la nostra ragione per accostarci alla Natività di Gesù, ora, in compenso, ci fa «vedere la sua gloria, gloria come di Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). L’interno della Basilica ci svela ciò che la carne e la natura umana nascondono, cioè che «in Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9), cosicché, come dice la Liturgia, «Colui che i Cieli non possono contenere, la Vergine Maria portò nel suo grembo». 

Il cuore della Basilica

Nonostante ciò il focoso san Girolamo, alla vista della Basilica della Natività, non esitò a dire in un’omelia: «Potessi vedere ancora quella mangiatoia dove fu deposto il Signore [...]. Abbiamo tolto quella di fango e ne abbiamo messa una d’argento; ma, per me, era molto più preziosa quella che è stata tolta. Argento e oro convengono al paganesimo, alla fede cristiana conviene che sia di fango quella mangiatoia! Non intendo condannare chi ha fatto questo pensando di rendere onore a Cristo però ammiro di più il Signore che, pur essendo il creatore del mondo, non nasce in mezzo a oro e argento ma nel fango». Ecco perché i nostri sguardi di pellegrini, ancora in cammino su questa terra verso la Terra promessa del Cielo, non possono fermarsi a questi bagliori di Paradiso ma devono proseguire alla sequela di Cristo, come già gli Apostoli non poterono fissare le loro tende sul Tabor ma seguire l’amore di Cristo – quella «carità di Cristo che ci spinge» (2Cor 5,14) – verso il Calvario.
Effettivamente l’invito di san Girolamo ai pellegrini della Basilica della Natività non è altro che questo: non fermatevi ad ammirare questa bellezza che, pur ricordandoci Dio e la gloria che ci attende, è caduca, ma andate al cuore della Fede, andate al cuore della Basilica, a quella piccola grotta dal perimetro irregolare sotto il presbiterio che, seppur povera e minuta, è la “roccia” e il fondamento su cui tutto l’edificio si fonda sia strutturalmente che storicamente, dato che era ricordata e conosciuta ben prima della costruzione della Basilica, come attestano già san Giustino e Origene.
La grotta della Natività è il cuore della Basilica: come il cuore si nasconde dentro la cassa toracica, così il cuore palpitante di questo luogo santo si nasconde qualche metro sotto terra, trasmettendo meglio, da questa posizione, il suo impulso vivificatore, cioè il suo influsso di grazie a tutta la Chiesa e a tutto il mondo. Parliamo di “cuore” perché veramente la Natività è uno dei misteri della vita di Nostro Signore che più ci ricordano l’amore con cui Dio ci ha amati «per primo» (1Gv 4,19): in quel luogo, proprio sotto l’altare dove una stella d’argento è stata posta per ricordarci la nascita dalla Vergine Maria («Hic de Maria Virgine Jesus Christus natus est»), il Bambino Gesù vide la luce e il suo Divin Cuore incominciò, senza più la dipendenza fisica dalla Vergine, a battere per ciascuno di noi, bramando di compiere l’opera per cui era stato mandato, l’opera dell’amore divino, l’opera della nostra Salvezza.
Quel Cuoricino, a cui giustamente la Chiesa attribuisce l’adorazione, è infatti il miglior segno dell’armonia umano-divina del Verbo Incarnato. Un organo dell’organismo umano che però, in quanto simbolo dell’amore, non può che rappresentare l’amore di Dio per noi uomini, l’amore che Lo portò a donarci il suo Figlio unigenito: «Dio ha tanto amato il mondo da donarci il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). È lì che dobbiamo andare, è lì, come già san Girolamo, che dobbiamo porre la nostra dimora: vicino a Gesù Bambino. Gesù, il Dio che si è fatto carne fino a prendere l’aspetto di un bambino indifeso e a giacere su una rigida e fredda roccia, deve essere il centro e il cuore del nostro Natale, il centro della nostra vita, così come Dio lo ha voluto porre al centro dell’Universo.
        «Dove è il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34), dice il Vangelo, e il nostro tesoro sta lì, non nello sfarzo e nel lusso, ma nella grotta di Betlemme, profumata di umiltà e di povertà: lì e solo lì dobbiamo porre anche il nostro cuore.

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