Quella del “Labirinto” è una figura misteriosa e attraente. Da sempre è stato elemento simbolico ricco di significati spirituali. E, come con la matematica si sono trovati gli “algoritmi di risoluzione” per seguire la via d’uscita del labirinto, così anche per il labirinto dell’anima si conosce un “algoritmo” per pervenire a Salvezza.
Poche cose attraggono e stimolano la curiosità delle persone come i labirinti. Per esempio i labirinti botanici sono stati impiegati fin dall’antichità come attrazioni e piacevoli svaghi nei giardini delle ville sontuose degli Imperatori o dei Re, insieme ai giochi d’acqua e di suoni.
Il nome “Labirinto” deriva dal nome greco labýrinthos (λαβ?ρινθος), adoperato nella mitologia greca per indicare il più famoso labirinto della storia: il labirinto di Cnosso, cioè il palazzo del re Minosse.
Queste strutture sono così antiche che già lo storico latino Plinio, nella sua Naturalis historia fa memoria di quattro labirinti: appunto il labirinto di Cnosso a Creta, poi il labirinto di Lemno in Grecia, il labirinto di Meride in Egitto e il labirinto di Porsenna in Italia. Per gli abitanti di Siena è un punto d’orgoglio ed anche un richiamo turistico il labirinto realizzato nel pavimento del Duomo medievale di questa magnifica città. Il pellegrino che si impegna a percorrerlo deve attenersi a precise regole: seguire il cammino obbligato, durante il tragitto non ripassare attraverso un punto già superato o abbreviare il percorso. Insomma non si può “barare”.
La lunghezza e la tortuosità del percorso alludono e richiamano la mente alle difficoltà che si incontrano nel cammino spirituale. E qui cominciamo a comprendere anche il significato allegorico dei labirinti. Nel senso che mentre nell’era precristiana erano visti come una metafora delle difficoltà umane di fronte al destino o al “fato” imperscrutabile ed indecifrabile, dopo la venuta di Nostro Signore Gesù Cristo questi labirinti rappresentarono il “cammino” simbolico dell’uomo verso Dio. Difatti non a caso il centro del labirinto veniva chiamato la “città di Dio” (un termine coniato da sant’Agostino). La funzione del labirinto dunque diventò quella di essere un simbolo del pellegrinaggio terreno, o del cammino di espiazione, di purgazione dell’anima necessario prima del ricongiungimento con il Supremo Creatore. Ecco perché a Siena, come in molte altre chiese gotiche medioevali, esso veniva percorso in preghiera ed in meditazione e, addirittura, nelle intenzioni della Chiesa aveva la validità di un pellegrinaggio per chi non poteva intraprendere un vero viaggio verso qualche luogo santo.
In arte, letteratura e matematica
Ma il fascino del labirinto non è appannaggio solo dell’arte sacra o un tema dominante della riflessione teologica; è stato, ed è tuttora, un formidabile strumento narrativo nella letteratura e soggetto “topico” nelle arti figurative. È noto che lo scrittore argentino Jorge Luis Borges ha dedicato diverse novelle al tema del labirinto: La biblioteca di Babele, La casa di Asterione, L’immortale, I due re e i due labirinti, che contengono costruzioni mentali intricate e complesse come appunto i labirinti simboleggianti «l’imperscrutabilità del disegno divino che ha creato l’universo o dell’universo stesso, o anche della conoscenza umana, pur sempre limitata rispetto a quella divina».
Nelle arti figurative i labirinti più celebri sono quelli di Piet Mondrian (Diga e Oceano, 1915), Joan Mirò (Labirinto, 1923), Pablo Picasso (Minotauromachia, 1935), Maurits Escher (Relatività, 1953). Ma ce ne sono anche tanti altri: Friedensreich Hundertwasser (Labirinto, 1957), ecc. Vista la complessità effettiva di trovare una via d’uscita e l’intrinseca difficoltà di soluzione che impegna appieno le facoltà razionali, non sorprende che i labirinti siano diventati campo di indagine perfino della matematica. Il matematico svizzero Leonardo Eulero (1) fu uno dei primi a studiare e ad analizzare matematicamente i labirinti, ponendosi in un’ottica più generale dello studio dei “luoghi” geometrici della retta, del piano e degli spazi n-dimensionali: una branca della matematica nota come Topologia. Innanzitutto definì cosa sono gli spazi topologici (e quindi anche i labirinti) “semplicemente connessi”. Per esempio un sotto insieme di punti del piano euclideo formano un insieme semplicemente connesso se ogni curva chiusa in esso contenuta può essere ridotta ad un punto. In altri termini è una superficie chiusa, tutta d’un pezzo e senza “buchi”.
Ebbene per i labirinti semplicemente connessi sono stati sviluppati vari “algoritmi di risoluzione” cioè dei procedimenti formali per trovare con sicurezza una via d’uscita. Il procedimento più noto consiste nell’appoggiare – diciamo – la mano destra alla parete destra del labirinto all’entrata del labirinto, e scegliere l’unico percorso che permetta di non staccare mai la mano dalla parete, fino a raggiungere una delle eventuali altre uscite, o il punto di partenza. Questo metodo è infallibile perché un labirinto semplicemente connesso è equivalente ad una stanza circolare con varie porte. È logico che se poggio la mano sul muro e lo seguo, prima o poi trovo una porta per uscire... Chi si trovasse in un labirinto botanico come ce ne sono tanti in Italia può provare a seguire questa regola! I labirinti antichi sono sempre semplicemente connessi e di essi si può sempre trovare l’uscita. Le cose sono più complicate nel caso il labirinto non sia semplicemente connesso, cioè sia composto da parti “staccate” ovvero da piccoli sotto-labirinti indipendenti l’uno dall’altro: in tal caso se non si parte da un ingresso e si imbocca un circolo vizioso si potrebbe non uscirne mai! Tuttavia anche in questo caso esiste una regola per venirne fuori. È un po’ più complessa perché teoricamente si dovrebbe segnare la parete con un gessetto o con qualche altro sistema che permetta di riconoscere se in un posto ci siamo già passati e, nel caso, cambiare parete.
Ecco, qui forse si tocca il punto più profondo del simbolismo collegato ai labirinti: se ci si trova al loro interno e non si conosce la regola giusta si può non trovare mai la strada della salvezza.
L’algoritmo spirituale
Nel caso di Teseo, Arianna e il Minotauro, questo “mostro” orrendo che abitava il Labirinto di Minosse e divorava giovani vergini, il riferimento al male è chiarissimo. Solo l’eroe valoroso incarnato da Teseo, puro e giusto, poteva riuscire ad uccidere il Minotauro e solo grazie al famoso “filo di Arianna” ha potuto ripercorrere a ritroso il cammino che lo aveva portato al cospetto del mostro senza smarrirsi nel dedalo di corridoi del palazzo infernale. Ebbene il peccato è il labirinto dell’anima e senza l’aiuto di Nostro Signore Gesù Cristo è impossibile uscirne fuori. Solo grazie al Sacramento della Riconciliazione che rappresenta, in analogia, la Regola divina ci si può tirare fuori dal dedalo inestricabile in cui è caduto lo spirito. Questo è quanto si è premurato di insegnare Gesù quando affermava: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31). E di autentica liberazione si tratta perché con le sole forze umane non abbiamo speranza di evadere dalle trappole infernali che costringono la nostra anima. Il nemico è più forte di noi e senza la Grazia santificante non v’è modo di sfuggirgli come imparano a proprie spese coloro che non si accostano, magari da anni, al Sacramento della Penitenza.
Adesso, fintanto che siamo viatori in questo mondo di tenebra, come afferma san Paolo: «La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà» (1Cor 13,9).
Adesso non comprendiamo a sufficienza quanto sia pericoloso e auto-referenziale lo stato di peccato mortale che possiamo ben rappresentare con un labirinto, con una sorta di percorso buio avvolto su se stesso, nel quale si smarrisce l’anima. Le situazioni di ossessione, di possessione (e quant’altro) sono “spirali spirituali” nelle quali ci si può arrabattare quanto si vuole, ma con le sole forze umane non si guadagna l’uscita. In effetti il peccato è auto-replicante: la volontà, ingannata dal tentatore, crede di trovare la felicità e la salvezza seguendo le “istruzioni” del nemico di Dio e così facendo sprofonda sempre più nell’abisso della confusione dello smarrimento.
Invece: «Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno» (Gv 12,47-48).
È l’algoritmo di Cristo, la sua Parola, il suo esempio, che ci donano la Salvezza; chi li respinge e si pone all’infuori della “Regola divina” va incontro alla condanna e alla perdizione. Utile simbolismo, dunque, quello dei labirinti dell’anima soprattutto se da oggi in poi li affrontiamo con umiltà, consci dei nostri limiti, accompagnati dalla mano materna della Madre Immacolata che ci vuole portare tutti nel viale diritto e luminoso che conduce al Paradiso.
Nota
1) Leonhard Euler, noto in Italia come Eulero (Basilea, 15 aprile 1707 – San Pietroburgo, 18 settembre 1783), è stato un matematico e fisico svizzero, fecondissimo autore di scoperte e teoremi fondamentali.