La profonda partecipazione al mistero salvifico della Croce è vissuta anima e corpo dalla Vergine e riportata con crudo realismo nella Lauda di Jacopone da Todi.
«Et eo comenza el corrotto; figlio, lo meo deporto, figlio, che me tt’à morto, figlio meo dilicato?». In una delle Laude più famose di Jacopone da Todi (1233ca – 1306), Pianto della Madonna, la Vergine Maria si turba drammaticamente ed umanamente inizia il pianto funebre («Et eo comenza el corrotto») sulla morte del suo Figlio («Figlio, che me tt’à morto»).
Rammentando a se stessa la profezia di Simeone nel tempio, laddove evocava la spada del dolore che l’avrebbe trafitta al Cuore come a quello dell’amato Gesù, Cristo Redentore, Maria Santissima condensa in modo straziante il suo interrogarsi sulle ingiuste vicende patite dal Figlio: «Meglio aviriano fatto ch’el cor m’avesser tratto ch’ennella croce è tratto stace desciliiato!». L’unione dei Cuori immacolati di Gesù e Maria è resa in modo sublime dalla vibrante poesia religiosa di Jacopone nel ricordo del dolore patito sulla Santa Croce, dove anche il Cuore della Madonna giace straziato.
L’affresco di Paolo Uccello (1397-1475) sulla figura del frate minore Jacopone da Todi, al secolo proveniente dalla nobile famiglia dei De Benedictis, venerato come beato il giorno stesso del Natale di Gesù, esprime sacralmente la follia e la malattia umilissima di chi amava empazzir per lo bello Messia. Il Poeta tudertino, autore di almeno 90 Laude attribuitegli con certezza, viveva la sua profonda ascesi con Cristo come la Santa Madre scolpita nei sublimi versi della Donna de’ paradiso, che si chiede con tormento il perché di tanta crudeltà e tanto orrore: «O Pilato, non fare el figlio meo tormentare ch’eo te pozzo mustrare como a ttorto è accusato». Invano la Madonna cerca di intercedere per il Figlio presso Pilato, ricorrendo alla Maddalena e al popolo stesso, che impietosamente risponde con il Crucifige: «Traiàn for li latruni che sian soi compagnuni; de spine s’encoroni, ché rege ss’è clamato!». Ha inizio il Calvario di Cristo, flagellato e incoronato di spine, inchiodato alla croce in compagnia dei due ladroni: «O croce, e que farai? El figlio meo torrai? E que ci apponerai, che no n’à en sé peccato?».
La profonda partecipazione al mistero salvifico della Croce è vissuta anima e corpo dalla Vergine e riportata con crudo realismo nella Lauda di Jacopone: «Li pè se prenno e clavellanse al lenno onne iontur’ aprenno. Tutto l’ò sdenodato». I piedi e tutte le giunture del corpo sono slogate sulla Croce e nella Lauda sono raccontate in lingua volgare umbra in 33 strofe, esattamente come gli anni di Nostro Signore Gesù Cristo.
Nel ritratto della Passione di Maria avvinta alla Passione del Figlio, Jacopone raccolse quel santo disprezzo del mondo per amore della Croce che gli aveva fatto prediligere l’Ordine Francescano degli “spirituali”, riconosciuti da papa Celestino V nel 1294 quali Pauperes heremitae domini Celestini.
Nel finale della Lauda infatti Maria riprende il motivo del disprezzo del mondo nei confronti dell’amato Figlio, quel Divino e Umano Redentore che il mondo non ha saputo e voluto riconoscere: «Figlio dolc’e placente, figlio de la dolente, figlio àte la gente malamente trattato».