La storia di Marcellino – pellicola del 1955 – ha commosso i cuori di milioni di spettatori. La trama semplice e avvincente dà nuova forma all’antica lotta tra bene e male e vuole risvegliare l’amore a Gesù, vincendo ogni interna resistenza.
La Fede è la sorgente di ogni altra virtù teologale, se manca la Fede non si può nutrire la Speranza di vedere Dio nell’altra vita, né si può amare Colui in cui non si crede. Pertanto la Fede è la fonte della Speranza e della Carità. La Carità poi è la regina di tutte le virtù perché san Paolo afferma: «Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione» (Col 3,14). La Carità è l’amore vero, la natura intima di Dio è la Carità: «Dio è amore; chi rimane nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16).
La Carità è l’amore spinto fino al sacrificio della propria vita come ci ha insegnato Nostro Signore Gesù Cristo; è l’amore totalizzante, assoluto, perfetto, incondizionato, che non conosce limiti o frontiera, folle perfino. Nel fondo di ogni cuore umano il Signore ha seminato ed acceso la scintilla della Carità e quando questa si propaga diventa un fomite di fuoco, un incendio d’amore. Lo sanno bene i santi che ardevano d’amore per Dio e per il prossimo. La vita poi alcune volte sommerge questo fuoco e lo spegne quasi del tutto, oppure lo soffoca come i rovi soffocano i fiorellini, o lo nasconde sotto una cappa di cenere, di amarezza, di delusione, di sconfitta, sicché ci sembra estinto, agonizzante, ridotto ad un lucignolo fumigante. Quanto è difficile mantenere viva la fiamma della Carità!, eppure ci sono cose, eventi, incontri, esperienze (alcune volte “traumi”) che Dio stesso suscita o permette per ridare vigore e slancio all’amore che ci unisce a Lui.
Il film Marcellino pane e vino del 1955 diretto da Ladislao Vajda, presentato in concorso all’8º Festival di Cannes, tratto dal romanzo di José María Sánchez Silva Marcelino Pan Y Vino è senza ombra di dubbio un aiuto potente del Cielo per risvegliare l’amore sopito verso Gesù... Può mai essere questo? Può un film o un libro o un racconto o chicchessia penetrare l’anima fino al punto di rompere, frammentare, lacerare quella corazza di indifferenza e tiepidezza che tiene prigionieri i nostri cuori? Sembra proprio di sì. «Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne» (Ez 11,19). Per coloro che non l’hanno mai visto (e sono pochi) possiamo tratteggiarne la trama ricchissima di simboli ed allegorie, ma la visione del film, con i suoi delicati chiaroscuri, è vivamente raccomandata. Tutto potrebbe riassumersi con questa profonda frase del Vangelo delle Beatitudini: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8) ed infatti il protagonista principale (dopo Nostro Signore, ovviamente!) è un bambino, un trovatello come ce n’erano tanti nella Spagna all’indomani della sanguinosa guerra combattuta contro i francesi nel 1600. Nel giorno della festa di san Marcellino, un frate francescano si reca in paese in una povera abitazione per far visita ad una bambina gravemente malata e inizia a raccontarle la storia del suo convento e quella di Marcellino. Una mattina il frate portinaio trova alla porta un fagottino piangente e tremante: era un neonato; lo soccorrono immediatamente, riescono a nutrirlo e lo colmano di attenzioni. Il problema però è come allevarlo, nonostante gli sforzi dei frati che si recano nelle case per trovare una famiglia che lo possa accogliere, nessuno nel paese lo vuole prendere in adozione perché c’era una grande miseria ed allora il Padre Priore decide di tenerlo nella comunità. Il bambino, cui fu imposto il nome di Marcellino, cresce tra i frati, cambia la vita ai religiosi portando una ventata di allegria e di giovialità con i suoi immancabili scherzi.
L’innocenza e la purezza del bimbo riverberano l’innocenza e la purezza di Dio stesso, il suo spirito incontaminato – inevitabilmente – suscita l’invidia e la malizia del nemico. Il “male” si mobilita per infrangere l’atmosfera celestiale che si viveva in quello che era stato un austero maniero ma che si era trasformato in un angolo di paradiso e di letizia francescana. Il fabbro del paese, un uomo rude, scorbutico, violento verso la moglie ed i figli, diventa sindaco appoggiato da una “cricca” di persone poco raccomandabili. Vuole il bambino a tutti i costi: già una volta i frati glielo hanno rifiutato consapevoli della sua malvagità, ma adesso, forte del suo ruolo istituzionale egli ricatta i frati minacciandoli di sfrattarli dal convento se non gli avessero concesso Marcellino in adozione. Quest’uomo iracondo ed orgoglioso, non avvezzo a subire rifiuti, si era ostinatamente ripromesso di strappare Marcellino ai frati per tenerlo con sé non per amore o per fare del bene ma per una semplice questione di puntiglio. Il Priore lo definisce orgoglioso ed iracondo. Potrebbe sembrare un personaggio artefatto, stereotipato, convenzionale, un cliché dell’empietà umana che, per pura invidia, si contrappone al bene e alla serenità di coloro che vivono in grazia. Però rappresenta benissimo «il vostro nemico, il diavolo, [che] come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede» (1Pt 5,8). E – difatti – il Priore gli tiene testa e nonostante le reiterate minacce di ritorsioni gli nega recisamente l’adozione. Allora il sindaco, furibondo, cerca di estorcere al consiglio comunale una richiesta formale di restituzione del convento alla città. Gli va male anche questa volta perché si trova di fronte ad una fiera opposizione, ad un irritante diniego: si ripromette quindi di «tornare al momento opportuno» nel classico comportamento del maligno che attende l’istante propizio per sferrare i suoi attacchi.