Tutti conosciamo la favola di “Pinocchio”. Una favola ricca di significato religioso e molto attuale. Una sorta di allegoria del “Figliol prodigo” e della storia dell’uomo. Chissà che non colpisca anche noi il “complesso di Pinocchio”?
In quel piccolo capolavoro di originalità, di fantasia, ma soprattutto di morale che è la favola di Pinocchio di Carlo Collodi (all’anagrafe Carlo Lorenzini [†1890]), al capitolo IV si legge quanto segue (nella versione originale del 1883): «La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noja di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro.
Vi dirò dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto era condotto senza sua colpa in prigione, quel monello di Pinocchio, rimasto libero dalle grinfie del carabiniere, se la dava a gambe giù attraverso ai campi, per far più presto a tornarsene a casa; e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d’acqua, tale e quale come avrebbe potuto fare un capretto o un leprottino inseguito dai cacciatori.
Giunto dinanzi a casa, trovò l’uscio di strada socchiuso. Lo spinse, entrò dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto, si gettò a sedere per terra, lasciando andare un gran sospirone di contentezza.
Ma quella contentezza durò poco, perché sentì nella stanza qualcuno che fece:
- Crì-crì-crì!
- Chi è che mi chiama? – disse Pinocchio tutto impaurito.
- Sono io!
Pinocchio si voltò, e vide un grosso grillo che saliva lentamente su su per il muro.
- Dimmi, Grillo, e tu chi sei?
- Io sono il Grillo-parlante, e abito in questa stanza da più di cent’anni.
- Oggi però questa stanza è mia – disse il burattino – e se vuoi farmi un vero piacere, vattene subito, senza nemmeno voltarti indietro.
- Io non me ne anderò di qui – rispose il Grillo –, se prima non ti avrò detto una gran verità.
- Dimmela e spicciati.
- Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.
- Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani, all’alba, voglio andarmene di qui, perché se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà a studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia, e mi diverto più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli uccellini di nido.
- Povero grullerello! Ma non sai che, facendo così, diventerai da grande un bellissimo somaro, e che tutti si piglieranno gioco di te?
- Chetati, Grillaccio del mal’augurio! – gridò Pinocchio.
Ma il Grillo, che era paziente e filosofo, invece di aversi a male di questa impertinenza, continuò con lo stesso tono di voce:
- E se non ti garba di andare a scuola, perché non impari almeno un mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane?
- Vuoi che te lo dica? – replicò Pinocchio, che cominciava a perdere la pazienza. – Fra i mestieri del mondo non ce n’è che uno solo che veramente mi vada a genio.
- E questo mestiere sarebbe?
- Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.
- Per tua regola – disse il Grillo-parlante con la sua solita calma – tutti quelli che fanno codesto mestiere, finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione.
- Bada, Grillaccio del mal’augurio!... se mi monta la bizza, guai a te!...
- Povero Pinocchio! Mi fai proprio compassione!...
- Perché ti faccio compassione?
- Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la testa di legno.
A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante.
Forse non credeva nemmeno di colpirlo; ma disgraziatamente lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete».
Come ha acutamente osservato il card. Giacomo Biffi che su Pinocchio ha scritto vari libri tutti molto pertinenti e profondi: «Quella di Pinocchio è la sintesi dell’avventura umana. Comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero. Tra i due estremi c’è la storia del libro. Che è identica, nella struttura, alla storia sacra: c’è una fuga dal padre, c’è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c’è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino, tra il punto di partenza e l’arrivo. Pinocchio è una fiaba. Ma racconta la vera storia dell’uomo, che è la storia cristiana della salvezza».
Dunque si tratta di una metafora, di una allegoria della vicenda umana e più propriamente possiamo leggervi – quasi traslitterata – la parabola del Figliol prodigo (Lc 15,11ss). I personaggi si riconoscono tutti: Mastro Geppetto è il Creatore-Padre, Pinocchio è uno di noi, ma non uno di noi “speciale”, un virtuoso, un santo... al contrario è una mezza cartuccia, un ingrato, un irriconoscente, un traditore perfino, che accusa suo Padre di averlo generato pieno di miserie, pieno di vanità, di stoltezza e lo pensa responsabile delle sue disgrazie... (quanti la pensano così!). Poi c’è la Fata Turchina – evidentemente una Madre nascosta e premurosa che salva Pinocchio dalla catastrofe e lo fa diventare Uomo lo guida nel tormentato ritorno alla Fede: è la figura della Chiesa, dell’Immacolata, della Madre dei Peccatori. Lucignolo poi è l’incarnazione di colui che “non ce la fa”, del perduto, dell’uomo che finisce per diventare una bestia (nella favola diventa un somaro), l’uomo figlio della perdizione, il dannato (altro che favola!). Il Burattinaio, Mangiafoco, il Gatto e la Volpe vestono le mentite spoglie del demonio, ora ingannatore (Gatto, Volpe), ora aguzzino spietato, ora occulto manipolatore del destino umano che piega, deforma e distorce fino a farlo terminare nell’abisso.
Come si vede si tratta di cose molto serie. E il Grillo parlante? Chi è questa creatura che inaspettatamente «sentì nella stanza»? Ebbene egli è la voce della coscienza morale. Interpretando liberamente, il pensiero del card. Biffi: «Si sa che l’imperativo morale traduce una norma eterna, perché è espressione della nostra natura, e quindi del suo progettista che è Dio. La coscienza è appunto il giudizio che commisura l’atto che compio con la “verità”, per pesarne il valore». Insomma il Grillo parlante è la Voce di Dio nell’anima, l’interprete di quella Legge che Egli ha scritto nei nostri cuori. Cosa si può farne di questa voce? Si può ascoltarla come fa il figliol prodigo che si pente del male fatto e bisbiglia: «Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni”. Partì e si incamminò verso suo padre». Oppure si può fare come Pinocchio, il maldestro, il candidato perfetto all’errore, che leva uno sguardo rabbioso a «chi ne sa più di lui» e lo colpisce a morte, lo annichila, lo tacita nell’assurda speranza che questo possa cambiare il suo destino di ribelle, di prevaricatore, di disubbidiente.
Andare a scuola? Lavorare? Osservare i Comandamenti? No, ma che scherziamo! Oggi si può vivere di “finanza speculativa” giocando in borsa. Oggi c’è internet dove trovi tutto quello che devi sapere per affrontare la vita... i Comandamenti poi? Non li rispetta più nessuno, sono depressivi, sono una prigione, ti fanno sorgere dentro inutili sensi di colpa. E non sono pochi quelli che si augurano che la Chiesa ci darà una “limatina” per renderli meno “indigesti”. Vero?
Ahimè, siamo vittime del “complesso di Pinocchio” e vogliamo vivere lontani dal Padre, ci inebriamo nelle “trasgressioni”, nelle avventure torbide ed edonistiche, ci lasciamo trascinare nel Paese dei Balocchi correndo dietro ai giochi (d’azzardo) e ai piaceri illeciti che ci rendono sempre più infelici, stanchi, esauriti, depressi. Qualcuno – dentro la nostra testa ha pietà di noi – ci commisera sommessamente, è la nostra coscienza che ci ricorda che la via che abbiamo imboccato non porta lontano: Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la testa di legno.