Partendo da una nota pericope dell’Apostolo delle genti, sarà interessante approfondire il concetto di “fede” per comprendere per quale motivo senza di essa non sia possibile “piacere a Dio”.
Senza la fede è impossibile piacere a Dio. Questa celebre massima di san Paolo Apostolo va certamente capita bene, inserita nel contesto storico-teologico di sua spettanza (il cosiddetto Sitz in Leben), interpretata alla luce dell’analogia della fede e all’interno della vasta dogmatica cattolica, letta col doveroso (benché incompleto) bisturi metodologico storico-critico, ecc., ecc. Ma comunque va previamente, con slancio e di fede e di ragione, accattata e fatta propria.
La parola fede contiene certamente molte cose (passate, presenti, future, personali e collettive, ecc.), ma queste cose sono riducibili a due punti fermi, immutabili e universali: la fede intesa come patrimonio di Dottrina da conservare e da osservare (fede oggettiva, depositum fidei) e l’adesione di ragione e di cuore (fede personale, sensus fidei) a questo patrimonio di Verità rivelate dall’Alto.
Entrambi gli aspetti sono importanti, ma è meglio ignorare (senza colpa) un elemento secondario del patrimonio della fede oggettiva (ad esempio l’esistenza dell’Arcangelo san Michele) piuttosto che essere carenti nella volontà di aderire all’insieme dei dati della fede e della Tradizione. In fondo è come dire che è la carità il cuore e la forma della fede, e che una conoscenza perfetta della Bibbia e del Magistero, senza l’adesione del cuore, non salva... Neppure salva la mera ortodossia dottrinale: ma questa affermazione non deve significare, come nel modernismo e nel neo-modernismo, che allora l’ortodossia è secondaria... Deve significare invece che ogni conoscenza intellettuale deve essere animata dallo spirito e di per sé le conoscenze non producono la fede (satana infatti crede e trema). Così mia nonna Angelina ignorava molte cose del Depositum fidei, ma ebbe, per una vita intera durata quasi un secolo, una integra fede personale a base di Rosario quotidiano, abbandono alla Provvidenza, culto dei santi e della Madonna, sottomissione alle autorità (politiche, ecclesiali e familiari...), fiducia nell’amore di Dio sopra ogni cosa, speranza ed anzi certezza della Vita eterna, ecc.
Oggi, che le conoscenze umane sono generalmente aumentate (mentre la saggezza forse è scemata, assieme alla pietà e alla virtù), tutti noi cattolici convinti e militanti, dobbiamo fare lo sforzo di approfondire al meglio il patrimonio culturale, morale, biblico, filosofico e teologico della fede (oggettiva). La Chiesa, infatti, nel suo bimillenario Magistero, non ha mancato di pronunciarsi tante volte circa elementi filosofici e razionali, ma anche politici, sociali ed economici certamente non direttamente rivelati da Dio: così possiamo rendere più cattolico il nostro cuore e il nostro pensiero, studiando le encicliche pontificie più importanti (dalla Rerum novarum alla Fides et ratio). E questo diventa ogni giorno più utile fino ad essere quasi-necessario.
Un teologo francese contemporaneo, l’abbé Guillaume de Tanoùarn, suol ripetere spesso una frase ad effetto: La foi du charbonnier ne suffit plus, cioè: la fede del carbonaio – vista come semplice ma al contempo granitica e ostinata – non basta più. Non basta più in effetti per affrontare i pericoli della modernità liquida e della cultura laica, egemone e relativistica. I mass-media ingannano sapientemente giovani e meno giovani (con i miraggi abbaglianti dell’edonismo, del consumismo, della pornografia), e moltissimi testi scolastici, specie di ambito storico-letterario, non sono da meno (tipo: Lutero fu un santo, le crociate un’ingiustizia, la caccia alle streghe fece milioni di vittime innocenti, Dante era anti-cattolico, Manzoni giansenista, l’amor di patria porta alla violenza e all’odio, Galileo fu arso vivo, l’Italia è nata nel 1861, la Rivoluzione francese era ispirata al Vangelo, ecc., ecc.).
Dobbiamo dunque diventare tutti teologi o filosofi, esegeti o moralisti? Beh, la cosa non sarebbe poi così negativa, anche perché stiamo parlando dei cattolici convinti e militanti i quali, forse, rappresentano il 10% dei battezzati; in ogni caso, non si tratta di fare, forzatamente, ciò per cui non si è portati o per cui non si ha tempo, capacità e risorse. Si tratta invece di capire, soprattutto se si hanno responsabilità educative (come ne hanno tutti i genitori, i catechisti e gli insegnanti di ogni ordine e grado: categorie che messe insieme superano il milione di persone solo in Italia!), che sopravvivere e vivacchiare, nel cammino cristiano della vita, non basta. Le agenzie educative sono troppo spesso insufficienti e non raramente nocive e deleterie (non escluse a volte quelle interne alla Chiesa...): ergo, facciamo uno sforzo per approfondire il patrimonio della Fede e questo approfondimento, a qualunque livello avverrà, non sarà affatto vano o ozioso.
Ma perché senza la fede, non si può piacere a Dio? Dio non ama tutti gli uomini a prescindere da come la pensino? O ha delle preferenze anche Lui? Sul punto sarò breve e conciso. Dio è amore infinito e l’amore vero non tollera il non-amore, come il bene non tollera il male o la luce le tenebre (e viceversa). Luce e tenebre insieme? Impossibile! Un padre non ama ugualmente la vita e la morte dei figli: ama la loro vita e aborre la loro morte. La vita e la morte si oppongo irriducibilmente, come il bene e il male, la verità e la menzogna, la giustizia e l’ingiustizia, la religione e l’eresia (o l’ateismo). Dobbiamo tornare alla piena verità del Vangelo, con i suoi formidabili aut aut (o con me o contro di me, ha detto Gesù), e dobbiamo tornarvi col cuore e con la ragione. E questa è l’adesione di fede che personalmente ognuno di noi deve compiere.
In un mondo che cambia vertiginosamente quasi ogni anno (chi avrebbe detto pochi anni fa che l’omosessualità sarebbe diventata il nuovo sacro tabù dell’Occidente con tanto di nozze comunali e regalo di figli agli omosessuali?) e che sembra sprofondare negli abissi della violenza e del non-senso, dobbiamo trovare più che mai dei punti fermi, attorno ai quali tenere e durare. E quali mai potranno essere? Il primo di tutti, logicamente, non può essere la famiglia, o il lavoro, o l’amicizia, o la cultura, o l’umanità... Ma deve essere la fede. Senza famiglia, lavoro, amicizia o altro (tutte cose importanti sia ben chiaro) posso ancora piacere a Dio ed è Dio, da solo, che avrà l’ultima parola sulla mia condizione umana ed esistenziale, nel Giudizio finale, necessario, purificatorio e inappellabile.
Se ho la fede, non è detto che piaccia a Dio, poiché a volte le mie opere si allontanano troppo dalla fede che ho. Ma se non ho la fede, neppure un briciolo di fiducia nell’Autore della vita e nel Creatore dell’Universo, allora, salvo il caso difficile ma non impossibile di ignoranza totalmente invincibile, ho impostato davvero male la partita della vita. E la sconfitta inizia già dall’aldiqua.
Se consapevoli di tutto ciò ci metteremo a leggere per approfondire la Parola di Dio (Bibbia, Teologia, spiritualità, Storia della Chiesa, vita dei santi, Liturgia, tomismo, ecc.), da un lato sprecheremo meno tempo in cose inutili (navigazioni incontrollate e incontrollabili); e poi sentiremo a poco a poco sorgere in noi, irresistibile, il desiderio di amare e di ringraziare. Non si può infatti vivere una vita piena senza l’amore, e non si può amare veramente senza ringraziare chi ci ha dato la ventura di amare e di innamorarci.