FEDE E CULTURA
Luci e ombre della Musica sacra. Mendelssohn a Roma
dal Numero 24 del 15 giugno 2014
di Matteo Enrico Balatti

Uno scambio epistolare tra Mendelssohn e Goethe apre uno squarcio su quella che era la prassi musicale e liturgica nelle chiese di Roma del loro tempo. Tra gli apprezzamenti, non mancano alcune osservazioni critiche del famoso musicista.

Felix Mendelssohn-Bartholdy è uno dei più noti musicisti europei; nato ad Amburgo nel 1809, morì a Lipsia nel 1847. Di origini ebraiche, convertitosi alla fede cristiana protestante, si dedicò a molti generi musicali, fra cui anche la Musica sacra: spiccano nella sua produzione due oratori sacri, il Paulus (1836) e l’Elias (1846), dedicati alla vita dell’apostolo e del profeta. Composizioni che nascono nell’alveo della riscoperta della musica di Johann Sebastian Bach (1685-1750), musicista ormai dimenticato anche nella sua Germania, che proprio Mendelssohn riportò in auge. La carriera di questo musicista, come compositore e direttore d’orchestra, lo portò quindi a percorrere i generi musicali del suo tempo, insieme ai più prestigiosi palcoscenici d’Europa. La sua biografia, infatti, è costellata da viaggi, durante i quali ebbe occasione di conoscere i più importanti musicisti del vecchio Continente.
Nel 1831 intraprese un viaggio in Italia, tappa irrinunciabile per approfondire la conoscenza del linguaggio musicale, soprattutto operistico: toccò Milano, Roma e Napoli. Molte considerazioni sul nostro Paese e sulle sue usanze musicali sono riportate dal Compositore stesso in alcune lettere che scrisse ad amici e conoscenti. In una di queste missive tratteggia la sua permanenza a Roma: sappiamo che la Città eterna era tappa obbligata per i musicisti, a causa delle importantissime tradizioni musicali che facevano capo ai luoghi più importanti della Città papale, primo fra tutti la conoscenza e l’ascolto della Cappella Sistina, cioè la compagine corale delle cerimonie papali. Non mancano, però, anche tratti di critica e di stupore di fronte a prassi musicali che lasciano stupito il musicista. Ci addentriamo, però, in una delle sue lettere, scritta nel 1831 al poeta tedesco Johann Wolfang Goethe (1749-1832), proprio da Roma.
«Qui ho conosciuto tanti musicisti, ma tra di essi nessuno, al quale la sua arte interessasse più di un altro lavoro e che per essa vivesse con ispirazione e serietà. Devo escludere soltanto il direttore della Cappella papale, Don Giuseppe Baini, perché egli compone con diligenza, tiene a sé sia al suo coro e va dritto per la sua strada; ma siccome è uno dei padri confessori preferiti, egli può dedicare alla musica solo qualche ora la sera e così sa poco o nulla di quanto, in fatto di musica, è successo negli altri paesi da oltre cent’anni. Si è fermato e cerca di frenare gli altri fin quanto gli è possibile, e non riesce a progredire».
La stima per la Cappella papale e per il suo direttore è proprio un tratto distintivo delle considerazioni di Mendelssohn, pur non esente da critiche: Giuseppe Baini (1775-1844) fu proprio direttore di quella Cappella, dopo aver lavorato per essa come archivista e amministratore; fu anche, come testimonia la lettera, apprezzato sacerdote; si dedicò in particolare alla sistemazione e alla ricerca biografica del suo più illustre predecessore, Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594), del quale era anche appassionato esecutore. Un tratto critico emerge però dal quadro tracciato da Meldelssohn: la presenza, nel nostro Paese, di molti musicisti che vivevano la professione senza ispirazione, ma solo per remunerazione; e, soprattutto nell’ambito della composizione sacra, un certo tratto conservatore, rimproverato anche ad un musicista pur stimato, come il Baini.
Così continua la lettera: «Secondo lui [Baini], non è lecito tenere nella propria camera uno strumento sul quale suonare; ma, nonostante tutto, ci intendiamo perfettamente». Segue, poi, una breve descrizione dell’attività della Cappella papale: «La Cappella papale è l’unica istituzione per la musica sacra che si trovi qui: vi si cantano cose pregevoli, soprattutto di Palestrina e dei suoi contemporanei, e tra i cantori c’è uno spirito solidale e un senso di cameratismo; purtroppo, i soprani e i contralti cominciano a perdere la voce, ragazze e donne non vi possono cantare, e i nuovi castrati, come essi dicono, non saranno aggiunti, e così ogni tanto il suono risulta impuro; comunque, si tratta sempre di musica pregevole come ci si aspetta in una chiesa e fa una impressione seria». Il musicista tedesco testimonia, così, la competenza e l’appropriatezza liturgica della Cappella papale, pur analizzando con occhio critico alcune mancanze tecniche. Non si tratta, infatti, di una descrizione idilliaca, bensì realistica, negli aspetti positivi e nei concreti difetti. Sottolineiamo, però, il termine che utilizza Mendelssohn: pregevolezza, «come ci si aspetta in una chiesa»; un tratto, questo, che dovrebbe far riflettere anche noi su quale debba essere la qualità musicale della Liturgia.
Illuminante, quasi sorprendente, si rivela il prosieguo della lettera: «Nelle altre chiese sono assolutamente pazzi, e veramente io stesso ho sentito durante l’elevazione l’ouverture del Barbiere di Siviglia e un’altra volta un’aria della Cenerentola suonata sull’organo, per non parlare poi delle arie d’opera che eseguono le suore, il nonsenso è eccessivo, perché musica del genere non riesce neanche ad essere divertente». Parole che, non è retorico dirlo, potrebbero essere scritte oggi: il nonsenso di una musica che non è nemmeno divertente, questa è la sentenza del Musicista tedesco. Quindi due importanti considerazioni: la mancanza di senso, quindi l’inappropriatezza nel contesto liturgico, e la mancanza di una qualsiasi funzionalità, dato che di fronte alla grave mancanza di sintonia con l’azione sacra, non vi è nemmeno un apprezzabile diletto.
Questa lettura ci ispira una considerazione conclusiva: la povertà musicale liturgica, nella nostra cultura, non è legata esclusivamente al contesto contemporaneo. Si usa spesso imputare agli ultimi decenni la disattenzione e la mancanza di cura verso la Musica sacra; pur essendoci stati negli ultimi decenni molti eventi infausti in questa direzione, dobbiamo tenere pure presente che una certa libertà nelle scelte della musica in chiesa è un tratto, come abbiamo visto, quasi tipico nella cultura musicale italiana. Se dimenticassimo questa realtà, diventerebbe più difficile trovare soluzioni adeguate a questo problema.

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