Nonostante l’ingiusta condanna di morte ricevuta per non aver assecondato l’Atto di supremazia del re sulla Chiesa, san Tommaso Moro non perse mai il suo umorismo e soprattutto la sua fede.
«Dammi, o Signore, il senso dell’umorismo. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo, affinché conosca nella vita un po’ di gioia e possa farne parte anche ad altri».
In questa “preghiera per il buon umore” composta da san Tommaso Moro (1478-1535), il Santo Patrono dei politici (così Giovanni Paolo II lo proclamò il 31 ottobre del 2000) condensa la sua filosofia di vita che lo fece una persona dotata di grande cultura, saldezza morale, fede in Dio e spiccato senso dell’umorismo, doti tutt’altro che rinvenibili nel panorama politico (e non solo politico) attuale.
Nell’Anno della Fede concluso lo scorso anno è stata allestita a Montecitorio una mostra dal titolo significativo: Il sorriso della libertà – Tommaso Moro, la politica e il bene comune, mostra poi esposta nei Palazzi del Vaticano soprattutto per la ricorrenza della Giornata Mondiale dei Politici (la cui data ancora non è stata definita).
Nella crisi politica, etica ed economica che stiamo attraversando, credo che il modello proposto da san Tommaso Moro per la ricerca di un ordine smarrito sia innegabile, come anche ebbe a dire a Westminster Hall nel 2010 Benedetto XVI: «A quale autorità ci si può appellare per i dilemmi morali? San Tommaso Moro seppe dare una risposta coerente al dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Infatti, nel drammatico epilogo della sua vita, nel contrasto con il re Enrico VIII, egli con chiarezza affermò: «Rimango fedele servitore del re, ma prima di Dio».
Nonostante l’ingiusta condanna di morte ricevuta per non aver assecondato l’Atto di supremazia del re sulla Chiesa, san Tommaso Moro non perse mai il suo umorismo e soprattutto la sua fede: «È già un pessimo affare perdere la propria anima per il mondo intero, figuriamoci per la Cornovaglia».
Esemplare nella sua fede cristallina, nutrita con una vastissima cultura, Tommaso Moro fu ricordato da Erasmo da Rotterdam come un impareggiabile amico sincero: «Se volete un modello perfetto di amicizia non ne troverete uno più perfetto di More. In compagnia è così dolce, che anche i più malinconici diventano allegri».
Impariamo sorridendo da san Tommaso Moro e preghiamo di ottenere l’equilibrio e la saldezza per non essere confusi, per non disperare, come egli stesso chiedeva nella sua preghiera: «Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere». Credo che di questa assennatezza e di un rapporto concreto con Dio ne abbiamo assoluto bisogno anche oggi, come del suo straordinario umorismo: «Dammi, o Signore, una buona digestione e anche qualcosa da digerire, dammi la salute del corpo, col buon umore necessario per mantenerla. Dammi, o Signore, un’anima santa, che faccia tesoro di quel che è buono».
Non permettiamo, facendo proprio un costante monito di Tommaso Moro, di crucciarci eccessivamente per il proprio “Io” e per i propri affanni terreni, poiché non c’è dolore in terra che il Cielo non può guarire.