La Sindone: ultima veste del Crocifisso. Un tessuto preziosissimo usato solo nel Tempio e dal sacerdote nelle più solenni celebrazioni. “Il Sommo ed Eterno Sacerdote della Nuova Alleanza è proprio Lui: Gesù”. Egli solo «possiede un Sacerdozio che non tramonta».
«Venne la sera e poiché era “la preparazione”, cioè la vigilia del sabato [di Pasqua], Giuseppe d’Arimatea, del Sinedrio illustre membro, il quale aspettava il Regno di Dio, andò con coraggio da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Pilato glielo concesse». «Venne anche Nicodemo, quello che una volta era andato da Gesù di notte, portando cento libbre di una miscela di mirra e di aloe». «E Giuseppe, comprata una sindone, depose Gesù dalla croce. L’avvolse nella sindone e lo pose in un sepolcro che aveva scavato per sé nella roccia, rotolando poi la pietra all’ingresso del sepolcro» (Mc 15,45-45; Gv 19,39; Mc 15,46).
Così gli Evangelisti, diretti testimoni dei fatti, raccontano in breve la sepoltura di Gesù, una volta staccatolo dalla Croce, piagato alle mani e ai piedi e in tutto il suo Corpo, trafitto e squarciato al Cuore. Forse l’ultimo atto della vita di un giusto, che però aveva parlato troppo contro i potenti e pertanto era stato spazzato via da costoro che non sopportavano le sue denunce?
Quelli che con umana pietà e tenerezza provvedono alla sua sepoltura, pur facendolo secondo le norme di quel tempo, già sanno che ciò non è l’ultimo atto, ma solo l’inizio di una “imprevedibile avventura”. Il racconto è sobrio come tutto il Vangelo, al punto da sembrare soltanto un resoconto, “un verbale”, diremmo oggi, di quanto era stato compiuto.
Eppure a leggerlo in profondità, già si scopre una luce immensa che discende da quel Crocifisso condotto al sepolcro.
Onorata sepoltura
Chi veniva crocifisso come uno schiavo malfattore con il supplizio più atroce e infame (“summum extremumque supplicium”, aveva scritto Cicerone nelle sue Verrine, riguardo alla croce), non poteva essere sepolto con le sue vesti e con onore presso i suoi padri, ma buttato, spoglio di tutto, in una fossa comune nella terra. Soltanto trascorso un anno, le sue ossa potevano essere raccolte per avere definitiva sepoltura con i suoi.
Ma Gesù, il Rabbi che pur rifiutato da molti e odiato a morte dalle volpi del sinedrio che ne avevano preteso la condanna alla croce a Pilato, aveva degli amici che lo amavano con immensa tenerezza: certamente i suoi Apostoli, umile gente del popolo, ma anche alcuni notabili e facoltosi d’Israele, come Lazzaro e le sue sorelle Marta e Maria di Betania, Giuseppe d’Arimatea, un sinedrita e Nicodemo, uno dei capi del popolo; persino, Gesù, aveva amici tra i romani dominatori, come il centurione di Cafarnao.
Ebbene, proprio alcuni di costoro ora non potevano permettere che il loro Maestro fosse gettato in una fossa, senza alcun onore, proprio Lui che, meritando ogni onore, anzi l’adorazione che si deve a Dio, era diventato tutto per loro e aveva fatto intravedere un sublime destino a Se stesso e ai suoi amici. Più ancora avrebbero voluto questo, Maria Santissima, la Madre, e i suoi familiari, ma essi non potevano chiedere a Pilato il Corpo del loro amatissimo Gesù. Pilato, ancora sobillato dal sinedrio, avrebbe rifiutato, gridando: “Alla fossa comune”. Invece, Giuseppe d’Arimatea è un potente, addirittura illustre membro del sinedrio che aveva condannato Gesù, ma dissociandosi come Nicodemo dalla sua condanna (cf. Lc 23,51).
Insomma, uno che poteva essere chiamato “sua eccellenza”. Costui prende coraggio e va a chiedere a Pilato il Corpo del Crocifisso. Solo uno come lui poteva farlo con la speranza fondata di averlo. E lo fa e Pilato accondiscende, dopo essersi accertato che Gesù sia morto per davvero. In quel giorno i sinedriti che lui detestava cordialmente, già lo avevano irritato e “imbufalito” abbastanza. Che Giuseppe d’Arimatea si prendesse quella Salma così ingombrante e che lo lasciassero in pace.
Giuseppe fa staccare il Corpo di Gesù dalla croce. Sono presenti la Madonna e alcune donne discepole di Gesù e l’apostolo Giovanni, l’unico dei Dodici che non è fuggito. Sopraggiunge anche Nicodemo «uno dei capi dei Giudei» (Gv 3,1) e «maestro in Israele» (ivi 3,10) e porta mirra e aloe per profumare il Corpo di quel Gesù del quale era discepolo, ma di nascosto, per paura dei giudei. Ora, Gesù non potrà essere sepolto nella tomba dei “suoi padri”, per esempio a Nazareth o a Betlemme, ma Giuseppe gli mette a disposizione il suo sepolcro scavato nella roccia a pochi passi dal luogo della crocifissione. Ecco, per ora Gesù sarà sepolto lì, poi si attenderà l’adempimento – che non potrà mancare – delle sue promesse: «Il terzo giorno risorgerà» (Mt 16,21).
Gesù è cosparso di unguenti profumati preziosissimi – una vera fortuna, riservata per la sua sepoltura e non data ai poveri, come Lui aveva previsto qualche tempo prima (cf. Gv 12,1-8), ma non ha più vesti, ché i soldati se le sono divise e sulla sua tunica tutta d’un pezzo, bellissima come quella dei sacerdoti e dei rabbini (non un grembiule!), quelli se la sono giocata a sorte. Neppure, secondo le norme riguardanti i condannati a morte di croce, può essere vestito con indumenti comprati nuovi. Come sulla croce, anche nella tomba doveva rimanere “vestito” soltanto di lacrime e di Sangue, o tuttalpiù, come aveva fatto Nicodemo, di una guaina di aromi preziosi.
Ma nessuno più degli ebrei riteneva l’essere privo di abiti un disonore: gli ebrei non avevano palestre né bagni né terme, come i greci e romani, e quando i pagani vennero a occupare la loro terra, “la terra” per eccellenza, e vi costruirono ciò che doveva servire alla cura del corpo e, purtroppo, anche al piacere disonesto, essi insorsero fieramente come è narrato nel libro dei Maccabei e dicono i documenti storici (cf. 2Mac 4).
Un “abito” sacerdotale
Ancora una volta provvide Giuseppe d’Arimatea a coprire il Volto e il Corpo di Gesù, bellissimo e ora ancora più bello perché vulnerato di piaghe, segno del suo amore infinito per i suoi amici e persino per i suoi nemici. I Vangeli dicono con naturalezza che Giuseppe comprò una sindone, un lenzuolo candido e pregiato, per avvolgerlo, il Maestro amatissimo, prima della deposizione nel sepolcro.
Ora noi sappiamo con assoluta sicurezza che quel lenzuolo che ha avvolto Gesù nella sua sepoltura, da Gerusalemme è giunto attraverso un lungo e avventuroso percorso alla Francia, alla Savoia e, nel 1578, sino a Torino dove è tuttora conservato, studiato e venerato da pellegrini di tutto il mondo. Chi ha studiato la Sindone (citiamo tra tutti il bel libro di Barbara Frale, ufficiale dell’Archivio segreto vaticano, La Sindone di Gesù Nazareno, Il Mulino, Bologna 2009), sa che si tratta di un telo pregiatissimo, di un tessuto rarissimo in tutto Israele e nella stessa Gerusalemme, un tessuto di cui aveva il monopolio il Tempio per il quale serviva a riparare o a far nuovo il “velo” che separava il “Santo dei Santi” da tutto il resto; un tessuto che pure serviva a confezionare il nobile abito che indossava il sommo sacerdote il giorno di Pasqua e il giorno dello Yom Kippur (=l’espiazione), quindi nelle sue funzioni sacerdotali più alte.
Solo Giuseppe d’Arimatea, ripetiamo, membro del sinedrio, poteva procurarsi un lenzuolo così – un tessuto sacerdotale – per il suo Gesù nel quale, egli come Nicodemo e le donne del seguito, soprattutto e in primo luogo Maria Santissima, sua Madre, credevano. Soltanto a uno come lui “la fabbrica del tempio” poteva vendere un tessuto così. Pensiamo che quei signori non fossero proprio d’accordo a venderglielo, trattandosi di Gesù di Nazareth, ma Giuseppe era ricco e metteva mano alla borsa, cui i commercianti ebrei sono sempre sensibili.
Così Gesù, morto sulla croce come un malfattore, fu avvolto in un tessuto, una sindone, un sudario che era di fatto “un abito sacerdotale”. Per dirlo con termini d’oggi, come se uno schiavo massacrato nella condanna a morte più infame, nella sua sepoltura fosse rivestito con i paramenti più belli del Romano Pontefice, che solo lui può portare.
La cosa fu compiuta con cognizione di causa. Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, la Madonna e gli altri amici, sapevano che Gesù non era un laico qualsiasi magari marginale, come dicono i modernisti di oggi, neppure era soltanto un illustrissimo e dottissimo Rabbi in Israele e non solo il più grande dei profeti che Israele avesse avuto nella sua storia già allora bimillenaria. Non era solo tutto questo, anzi superava ogni più grande dignità umana.
Vestendolo con il tessuto di cui era fatto “il velo del tempio”, essi dichiaravano che Gesù è il nuovo Tempio dato da Dio agli uomini, che al di là di quel velo steso sul suo Corpo, c’è Dio, che proprio Lui, Gesù, abilita a vedere faccia a faccia. Ma era pure il tessuto con cui si vestiva il sommo sacerdote. Quindi, essi dichiaravano che il nuovo e definitivo Sommo ed Eterno Sacerdote della Nuova Alleanza, è proprio Lui, Gesù. E che la sua crocifissione e morte atroce non era solo il martirio di un Giusto, ma il Sacrificio profetizzato da Isaia (cf. 53,1-12) con cui era stato espiato il peccato degli uomini e a loro era dato di entrare in comunione di grazia e di vita con Dio stesso.
Vivo, intercede per noi
Nel Nuovo Testamento, il testo che più di ogni altro illustra Gesù come Sommo ed Eterno Sacerdote della Nuova Alleanza è la Lettera di san Paolo agli ebrei; la quale non può essere stata scritta dopo il 67 d.C., anno del martirio dell’Apostolo. Ma la fede, già tanto sicura in Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote, era già chiara ai suoi primi amici, come Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, sua Madre e gli altri, che lo seppellirono rivestito dell’abito del tempio e del sommo sacerdozio. Ma essi sapevano che in quel sepolcro non sarebbe stato oltre tre giorni, come Lui aveva più volte assicurato ai suoi seguaci e ai suoi amici.
Così rotolarono sì la pietra all’ingresso del sepolcro, ma rimasero sicuri in attesa, con Maria sua Madre e Giovanni il prediletto. La fede nel Cristo non si è formata con il passare degli anni e dei decenni, come fosse elaborata dalla tabulazione di chissà quale comunità effervescente (così pensano i modernisti in gravissimo errore!), ma è sgorgata nei puri di cuore quando Egli era in mezzo a noi, in fondo non è stata scossa neppure dal suo supplizio, e si è affermata con la sua Risurrezione. In una parola, la fede in Lui, Gesù il Cristo, il Figlio di Dio, l’unico Salvatore, il Sommo ed Eterno Sacerdote, da subito, dalla sera del Venerdì Santo.
In quell’ora di tenebre, i suoi amici già espressero con i gesti della sepoltura che Gesù, il Vivente, «poiché resta sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di Lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo a intercedere a loro favore» (Eb 7,24-25).
Noi, Gesù, Tempio, Sacrificio e Sacerdote, lo troviamo nella Santa Messa e quale gioia poter pregare a ogni istante: “Padre, esaudiscimi per la mediazione di Gesù, il dilettissimo Figlio tuo, che si offre e intercede per noi!”. Che cosa non avremo dal Padre, per mezzo di Gesù? Tutto abbiamo in Lui.