La scienza, ma soprattutto i singoli scienziati non possono evadere da certi obblighi morali che si impongono naturalmente alla coscienza di ogni individuo: lavorare per il bene, con mezzi leciti e per retti fini.
A partire dal periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale ci si è resi conto dell’immenso potere della scienza. Se fino agli anni 1930-1940 si riconosceva l’utilità e perfino l’indispensabilità delle scoperte scientifiche per l’avanzamento delle conoscenze, della comprensione della natura, del mondo, dell’Universo, della società, della medicina, ecc. e anche il ruolo fondamentale di tali scoperte per il progresso tecnologico conseguente, con l’avvento della scoperta della bomba atomica si apre uno scenario tutto nuovo, inaspettato e conturbante: il destino stesso dell’umanità era ed è nelle mani degli scienziati. Con il successo del Progetto Manhattan gli alleati riuscirono a realizzare l’arma atomica e le sorti del Secondo Conflitto Mondiale si ribaltarono definitivamente a favore di Americani e Inglesi contro le forze dell’Asse. La tragica vicenda delle città nipponiche di Hiroshima e Nagasaki a distanza di sessant’anni domina ancora l’immaginario collettivo soggiogato dalla potenza distruttrice dell’atomo. Da allora si è molto dibattuto su cosa sarebbe potuto avvenire se fossero stati gli scienziati del terzo Reich ad anticipare gli scienziati di Los Alamos e quali sarebbero state le sorti dell’umanità nel caso in cui Hitler avesse avuto per primo a disposizione l’arma totale. La sua sinistra frase: «Dio mi perdoni gli ultimi tre giorni di guerra!» era un chiaro messaggio delle sue intenzioni. Le cose sono andate diversamente al punto tale che dobbiamo riconoscere al genio di R. Oppenheimer, A. Einstein, Heisenberg e di altri scienziati coinvolti nell’impresa (anche su fronti opposti) se oggi siamo qui a discutere il problema e a scrivere questo articolo.
C’è da notare che grazie ad altri studiosi come l’italiano Enrico Fermi l’energia atomica è stata per così dire “addomesticata” con la fabbricazione di centrali che sfruttano il calore prodotto dalla fissione nucleare per produrre corrente.
Negli anni ’60 del secolo scorso lo scienziato e scrittore inglese C. P. Snow si chiedeva se la scienza si potesse ritenere “moralmente neutrale”, cioè fino a che punto reggeva l’argomentazione classica degli studiosi per trarsi d’impaccio: «Noi produciamo gli strumenti, tocca a voi (sottinteso ai politici) dire come volete usare questi strumenti»[1].
Prima di anticipare le conclusioni a cui approdò Snow nelle sue considerazioni, proviamo noi a farci la stessa domanda: può la scienza considerarsi moralmente neutrale? Gli scienziati, nella loro attività di ricercatori, si possono ritenere al di sopra di ogni etica e regola morale? Oggi, come un “mantra” ossessivo essi ripetono: Le scoperte scientifiche non sono né un bene né un male, dipende dall’uso che se ne fa. Secondo questa concezione se un chimico – com’è successo – sintetizza una nuova sostanza allucinogena a basso costo (tipo LSD, crack, e le ultimissime bathsalts, roflcopter, ecc.) dovrebbe sentirsi completamente avulso dal problema della sua diffusione nella società. Poco conta se queste sostanze provocano febbre a 42 gradi, eccitazione, autolesionismo, follia omicida (addirittura è stato registrato qualche caso di cannibalismo [!] indotto dalla droga). Qualche settimana fa è morto novantenne Michail Kalashnikov, ingegnere e ufficiale dell’armata rossa che negli anni ’40 inventò l’omonimo fucile mitragliatore d’assalto (Ak-47), un’arma micidiale ed efficientissima copiata in decine di Paesi. Meccanicamente è stato un progetto magnifico, una perfetta fusione tra scienza degli esplosivi e balistica, peccato che non si contano i morti ammazzati con l’Ak-47.
Che dire poi degli “inventori” della “pillola del giorno dopo” RU486 o del Norlevo? Altro non sono che delle “bombe” ormonali che provocano la morte del nascituro appena concepito: in sostanza consentono un aborto fatto in casa. Le sicurezze di quelli che pensano che la scienza sia neutrale dovrebbero cominciare a vacillare.
In altri casi la distinzione tra pericolo ed utilità è più sfumata: il fisico statunitense di origine russa Vladimir Zworykin, anche se pochi lo sanno, è considerato il padre della televisione perché fu il primo a realizzare il cinescopio a raggi catodici. Ha fatto bene, ha fatto male? La televisione, regina dei “mass-media”, è stata la vera rivoluzione tecnologica del XX secolo, forse paragonabile solo a quella introdotta dall’automobile e dall’aereoplano. Chi la usa per diffondere notizie utili, di cronaca o per fare apostolato cristiano fa certamente del bene, chi la usa per spacciare pornografia, ridurla a banale intrattenimento o rendere i suoi fruitori dei teledipendenti fa del male. Così il telefonino, assolutamente indispensabile nella vita quotidiana, può diventare un’ossessione. Il computer capace di eseguire calcoli impressionanti in una frazione di secondo, ha mandato l’umanità sulla luna, ha rivoluzionato l’industria, ma è anche lo strumento che guida i missili balistici intercontinentali sugli obiettivi da distruggere. Internet, croce e delizia degli adolescenti è costata la vita a più di uno di loro.
A rigor di termini la Scienza, la vera scienza, quinto Dono dello Spirito Santo, non solo è un bene per l’umanità ma è intrinsecamente buona e moralmente ordinata al fine per cui è stata creata, cioè avvicinare l’uomo a Dio, dargli la conoscenza delle cose create, vivere meglio e trarne profitto spirituale e materiale.
La domanda perciò va riformulata più precisamente in questo modo: «L’attività scientifica è moralmente neutrale?». Gli scienziati sono uomini e come tutti gli esseri umani sono moralmente obbligati in tutto il loro agire. Noi non siamo computers inanimati, quando facciamo progetti, ragioniamo e compiamo azioni esercitiamo il Libero Arbitrio e usiamo tutte le nostre facoltà: la Volontà (per compiere scelte tra il bene e il male), l’Intelletto (che consente di comprendere le verità di base e di dedurne altre) e la capacità di interagire col mondo reale (il nostro corpo e i suoi cinque sensi). Lo scienziato che pratica la vera Scienza, adopera la logica, parla il linguaggio universale della matematica, applica la fisica, la chimica, l’elettronica, studia la natura, e diventa così un autentico ricercatore della verità (scientifica). Questo lo avvicina al Teologo che ricerca la Verità divina. La sua responsabilità è tanto maggiore quanto più elevati e numerosi sono i “talenti” che ha ricevuto dal Signore. Detiene un potere che gli deriva dalle sue cognizioni ma che gli viene comunque dato dall’Alto. La non neutralità morale nell’attività scientifica si esplica in tre modi:
1) Nella scelta dei fini, cioè degli obiettivi che lo scienziato si propone di raggiungere che devono essere rigorosamente conformi al bene comune.
2) Nella scelta dei mezzi, cioè nell’uso retto delle metodologie della ricerca che devono rispettare tutti i Comandamenti di Dio, in primis la sacralità della vita.
3) Nella scelta della comunicazione, cioè nel rendere pubblici i risultati raggiunti vagliando e filtrando opportunamente le cose da rendere note al prossimo.
Conviene fare qualche esempio esplicativo: prendiamo il caso di un biologo molecolare che si proponga di studiare la resistenza dei microrganismi all’azione degli antibiotici. è una cosa degnissima ed utilissima perché ogni progresso in questo campo può salvare molte vite umane.
Il fine è buono e conforme alle norme morali. Ma supponiamo che il biologo si proponga di modificare geneticamente un batterio (tipo l’antrace o il vibrione della peste bubbonica Pasteurella pestis) per realizzare in laboratorio un super-batterio immune da ogni farmaco e resistente ad ogni terapia antibiotica finora conosciuta. Salta immediatamente all’occhio la pericolosità immensa di una tale conquista: se un ceppo di tali batteri cadesse nelle mani del terrorismo internazionale si potrebbe scatenare il più atroce attacco di guerra batteriologica mai conosciuto dall’umanità e probabilmente le vittime sarebbero milioni e milioni. Allora? Il biologo è o non è obbligato a compiere scelte morali nel suo agire? Ammesso che fosse riuscito nel suo intento, farebbe bene a vagliare attentamente i canali di diffusione delle sue scoperte.
Anche nelle metodologie di ricerca si esplica una condotta etica, l’esempio seguente è tratto dalla cronaca dei nostri giorni: tutti ripongono grandi speranze nella terapia di malattie degenerative quali il morbo di Alzheimer, la SLA, ecc., con la tecnica dei fattori di crescita (FCT) mediante l’impiego di cellule staminali. Quelle cosiddette multi-potenti si trovano nei tessuti del nostro corpo e specialmente nel cordone ombelicale dei neonati. Quelle cosiddette toti-potenti si trovano negli embrioni dei bambini appena concepiti e sono le più “preziose” perché permettono, in teoria, di riformare qualsiasi tessuto danneggiato di qualsiasi organo. Adesso sorge la domanda: è lecito sopprimere un essere umano allo stadio di embrione per procurarsi le cellule staminali toti-potenti e per poterci fare gli esperimenti sopra? è questa una metodologia moralmente accettabile? La Chiesa Cattolica si è pronunciata più volte su tale materia ed ha ribadito il suo deciso no.
Anche lo scienziato Charles P. Snow, sebbene si appoggiasse a considerazioni di altro genere (eravamo in pieno clima di guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica), arrivò alle stesse conclusioni: la Scienza è intrinsecamente buona ma gli scienziati che la praticano sono vincolati ai principi etici. Paradossalmente, ad oltre cinquanta anni di distanza dall’olocausto nucleare, c’è ancora qualcuno che invece vorrebbe una scienza e una tecnologia anarchiche, svincolate da ogni regola di comportamento e asservite solo alla logica del profitto, dell’utilitarismo e del potere. Per molti scienziati, purtroppo, la parola “etica” è diventata un non-sense oppure un’elucubrazione mentale da filosofi perditempo.
[1] Vedi Scienza e governo, Einaudi, Torino 1966. Testualmente afferma: «Noi ci fermiamo qui. Spetta a voi, al resto dell’umanità, ai politici, dire come questi strumenti debbano essere usati. Essi possono essere impiegati per scopi che i più di noi considererebbero cattivi. Se è così, ce ne dispiace. Ma come scienziati la cosa non ci riguarda».