RELIGIONE
Una pedagogia per il Paradiso L’oratorio di don Bosco
dal Numero 04 del 26 gennaio 2025
di Cristina Siccardi
Riscoprire il vero spirito dell’oratorio di don Bosco che accoglieva fino a 600 ragazzi e il metodo pedagogico con cui il Santo sapeva formare le anime dei piccoli, significa rispondere alla crisi di valori che i nostri giovani, avvinti dai vizi, vivono oggi nel mondo.
La profonda crisi che la Chiesa vive oggi è determinata, in particolare, dalla sua sudditanza rispetto al “sentire” del mondo e dal non considerare che il Cristianesimo di Santa Romana Chiesa non poggia sul mondo sensibile, pur essendo un’istituzione che vive nel mondo, ma sul Regno che “non è di questo mondo” come disse Cristo a Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18,36). Ecco che anche gli oratori, da diverso tempo, soffrono la stessa crisi, per la stessa, identica ragione: molte parrocchie hanno più a cuore di inseguire ciò che aggrada ai giovani, piuttosto che proporre ciò che li può cambiare nell’anima, ciò che esattamente ebbe per obiettivo san Giovanni Bosco, il grande artefice degli oratori. Il termine “oratorio” deriva dal latino orare, ossia pregare. Il primo oratorio, nel senso di gruppo cattolico che si riunisce per pregare, fu istituito da san Filippo Neri (1515-1595) verso il 1550, con l’intento di creare una comunità di religiosi e fedeli periodicamente riuniti e uniti nella preghiera e nella carità. Nel 1575 Papa Gregorio XIII (1501-1585) eresse la Congregazione dell’Oratorio, concedendole la chiesa di Santa Maria in Vallicella di Roma, che divenne il luogo del primo oratorio, attraverso il quale san Filippo Neri educava anche i fanciulli, togliendoli dalla strada. San Giovanni Bosco tre secoli dopo si ispirò proprio all’oratorio del Fondatore dei Filippini. Tutto ebbe inizio l’8 dicembre del 1841, festività dell’Immacolata, quando il sacerdote astigiano conobbe a Torino, nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi, Bartolomeo Garelli, muratorino di Asti, il primo “ambasciatore” di don Bosco fra i ragazzini, ai quali racconto? l’incontro con il prete simpatico «che sapeva fischiare anche lui». Quattro giorni dopo, la domenica, nella sacrestia della stessa chiesa, entrarono in nove. I giovani man mano si moltiplicarono a dismisura. L’incontro con Bartolomeo, sedicenne, orfano e analfabeta, ce lo descrive lo stesso don Bosco nelle Memorie dell’Oratorio: «Stavo indossando i paramenti per celebrare la santa Messa. Il sacrestano, Giuseppe Comotti, vedendo un ragazzo in un angolo, lo invitò a servire la Messa. “Non sono capace” rispose tutto mortificato. “Dai, vieni a servire questa Messa” insistette. “Ma non sono capace, non l’ho mai servita”. “Allora sei un bestione!”, si infuriò il sacrestano. “Se non sai servire Messa, perché vieni in sacrestia?”. Sempre in furia afferrò la canna che gli serviva per accendere le candele e la menò sulle spalle e sulla testa del povero ragazzo, che scappò a gambe levate. Allora gridai al sacrestano: “Ma cosa fa? Perché picchia quel ragazzo? Che male le ha fatto?”. “Viene in sacrestia e non sa nemmeno servire Messa!”. “E per questo bisogna picchiarlo?”. “A lei cosa importa?”. “Importa molto, perché è un mio amico. Lo chiami subito. Ho bisogno di parlare con lui”. Allora, il sacrestano corse dietro al giovane e lo condusse da don Bosco, il quale domandò con amorevolezza: “Hai già ascoltato la Messa?”. “No”. “Vieni ad ascoltarla. Dopo ho da parlarti di un affare che ti farà piacere”». Così avvenne. Don Bosco celebrò la Santa Messa, recitò le preghiere di ringraziamento, poi condusse Bartolomeo in una cappellina per conoscerlo e, saputo che non andava a catechismo, gli propose quello stesso giorno la prima lezione. Ecco, gli oratori di san Giovanni Bosco, che ebbero uno straordinario sviluppo e successo costruttivo nella formazione di generazioni e generazioni di giovani, sono stati concepiti innanzitutto per formare cristianamente – nella verità dottrinale, nella vita dei sacramenti e nella gioia del sano gioco e divertimento – le “anime in erba” con un preciso metodo pedagogico, definito da don Bosco il “sistema preventivo”, basato su tre pilastri: ragione- religione- amorevolezza. È chiaro, a questo punto, affermare che la prima scuola che don Bosco aprì fu proprio l’oratorio di San Francesco di Sales a Valdocco. Così spiega il padre e maestro dei giovani: «Sono questi oratori certe radunanze in cui si trattiene la gioventù in piacevole ed onesta ricreazione, dopo di aver assistito alle sacre funzioni di chiesa»; inoltre, «si possono definire luoghi destinati a trattenere ne’ giorni festivi i giovanetti pericolanti con piacevole ed onesta ricreazione dopo di aver assistito alle sacre funzioni di chiesa». Un anonimo redattore di un importante periodico dell’epoca, L’Armonia della Religione con la Civiltà, scriveva il 2 aprile 1849: «Uno zelante sacerdote ansioso del bene delle anime si è consacrato interamente al pietoso ufficio di strappare al vizio, all’ozio ed all’ignoranza quel gran numero di fanciulli, i quali abitanti in quei contorni, per le strettezze o l’incuria dei genitori, crescevano purtroppo sprovvisti di religiosa e di civile coltura. Quest’ecclesiastico, che ha nome D. Bosco, prese a pigione alcune casuccie ed un piccolo recinto, si è recato ad abitare in quel sito, e vi ha aperto un piccolo Oratorio sotto l’invocazione del gran vescovo di Ginevra, S. Francesco di Sales; egli ha cercato di attirarvi quei poveri giovani...». Quanto scritto dall’Autore di questo articolo richiama inequivocabilmente la condizione dei nostri malsani giorni quando parla del vizio, dell’ozio – l’uso sfrenato dei social non è forse un’attività oziosa e viziosa? –, delle strettezze e dell’incuria dei genitori, tutti elementi che provocano una crescita sprovvista “di religiosa e civile coltura”. Il 7 aprile dello stesso anno, l’arcivescovo di Torino Lorenzo Gastaldi (1815-1883) scriveva della casetta e della cappella Pinardi, sedi del primo oratorio di don Bosco, su un altro giornale, il Conciliatore torinese: «Un umile prete fornito di nessun’altra ricchezza che d’una immensa carità, già da più anni vi raccoglie ogni dì festivo da cinque a seicento giovinetti per ammaestrarli nelle virtù cristiane, e renderli a un tempo figliuoli di Dio, e ottimi cittadini». Educatore già da bambino, il Giovannino che a nove anni vide Maria Santissima e il Buon Pastore Gesù che gli indicavano la sua missione futura, ossia trasformare i ragazzi lupi in agnelli, da sacerdote venne formato alla scuola di san Giuseppe Cafasso (1811-1860) e da questo suo direttore spirituale indirizzato alla vocazione educativa. Desideroso di compiere unicamente la volontà di Dio, con l’aiuto di Maria Ausiliatrice e della sua santa madre, la venerabile mamma Margherita (1788-1856), che lasciò per sempre (portando con sé il corredo nuziale, fino ad allora conservato, per metterlo a disposizione dell’opera salesiana) il paese Becchi di Castelnuovo (oggi Castelnuovo Don Bosco, in provincia di Asti) per aiutare il figlio a Torino nell’accudire i suoi ragazzi, aprì l’oratorio di San Francesco di Sales senza nessun’altro collaboratore e in estrema povertà. Lascia scritto don Bosco nelle Memorie dell’Oratorio: «Una sera mia madre, che era sempre di buon umore, mi cantava ridendo: “Guai al mondo se ci sente. Forestieri senza niente”». Lavorando instancabilmente per il Regno di Dio in terra e con la sua invincibile fede, san Giovanni Bosco “spostò le montagne”: invidie, attentati alla sua vita, ostacoli, fatiche, sacrifici immensi, umiliazioni, dileggiamenti... È ancora l’arcivescovo Gastaldi nel Conciliatore torinese a darcene testimonianza: «La vista di tanti garzoncelli, che ... crescevano nella più crassa ignoranza ... esposti a tutte le corruttele che nascono dall’ozio e da pessime compagnie ... il punse così vivamente nel cuore, che deliberò di porvi quel rimedio ch’ei sapesse migliore ... Consigliatosi col suo zelo, armatosi d’una pazienza a tutte prove, vestitosi di tutta la dolcezza e umiltà, che ben conosceva richiedersi all’alta sua impresa, diedesi a girare ne’ dì festivi pei dintorni di Torino, e quanti vedesse crocchi di giovani intenti a’ trastulli, avvicinarli... È facile il pensare con quanti scherni sarà stato assai delle volte ricevuto il suo invito, e quante ripulse avrà dovuto soffrire: ma la sua costanza e la sua dolcezza a poco a poco trionfarono in un modo prodigioso: ed i fanciulli più riottosi, i giovanetti più scapestrati, vinti da tanta umiltà e da tanta mitezza di modi, si lasciarono condurre all’umile recinto» dell’oratorio. Con il suo fare paterno, con la luce divina che irradiava dai suoi amabili occhi, nel “solitario recinto” dell’oratorio della prima ora, teneva già a bada dai 500 ai 600 ragazzi sopra gli otto anni, allontanandoli dai pericoli e istruendoli nella conoscenza delle realtà soprannaturali oltre che di quelle terrene. Infondeva sicurezza e gioia di vivere alla luce della verità rivelata da Cristo Nostro Signore e il suo mistico e mariano vivere produceva frutti copiosi, alimentati da grazie e miracoli. Vivere santamente significa affrontare qualsiasi problema, significa insegnare il senso della vita e della morte, significa usare le chiavi pedagogiche corrette per liberare i giovani di questa contemporanea generazione avvinta alle catene di vizi, di violenza verbale e fisica. San Giovanni Bosco vinse la battaglia educativa salvando vite in terra e preparandole per il Paradiso. Recuperare la sua santa pedagogia significherebbe riappropriarsi del vero spirito dell’oratorio e con esso molti giovani sarebbero liberati da stordimento, ubriachezze e tossiche dipendenze.
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