La semplicità viene espressa in maniera mirabile nel mistero del Natale: Dio onnipotente si fa umile e indifeso bambino. Rivestiamoci, dunque, anche noi della semplicità di Gesù Bambino in questo tempo di Avvento come fece san Francesco, e chiediamo al Signore di rendici piccoli e umili come Lui.
C’era una volta un piccolo pastore di nome Tommasino che tutti chiamavano “tonto” perché era un po’ lento. Una notte d’inverno, mentre dormiva insieme alla sua famiglia, fu svegliato dal canto di tanti angeli che dicevano: «Gloria in excelsis Deo... È nato un bambino, Egli è l’Emmanuele, il Re in terra. Seguite la stella cometa e lo troverete». Tutta la famiglia, tutti i pastori, si prepararono a partire. C’era anche lui, il pastorello tonto, ma faticava a camminare ed era sempre più dietro di tutti... Ad un certo punto si stava anche scoraggiando, ma un angelo dal cielo scese e gli disse: «Forza Tommasino, Gesù ti sta aspettando». Fu l’ultimo ad arrivare e a vedere Gesù Bambino: era piccolissimo, piangeva e tremava per il freddo. Il pastorello, che era un po’ bassino, riuscì a infilarsi tra le gambe dei pastori più grandi e ad andare proprio davanti a Gesù. Appena fu davanti al divino Infante, sentì una voce dal cuore che diceva: «Avvicinati. Voglio farti un dono». Il pastorello, stupito, si chiese: “Un dono a me? Io sono il più tonto, l’ultimo di tutti... Gesù, sei proprio sicuro?”. Il pastorello si avvicinò e Gesù gli diede tre perle. «Voglio donarti queste tre perle perché tu sei la persona più adatta per riceverle. La prima perla è la semplicità, la seconda è l’amabilità e la terza è l’abbandono. Fanne buon uso». Il pastorello sorrise e diede un bacio a Gesù Bambino. «Sì Gesù. Ne farò buon uso».
Ci avviciniamo al mistero del Natale: siamo nel periodo liturgico dell’Avvento, in cui attendiamo con trepidazione la nascita di Gesù. Per la spiritualità francescana, a partire dal suo Fondatore san Francesco, la predilezione per Betlemme e per il divino Bambino è sempre stata preponderante: ricordiamo cosa accadde a Greccio? Lì san Francesco, desiderando vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui Gesù Bambino si è trovato per mancanza del necessario, realizzò il primo presepe vivente.
San Francesco rimirava Gesù Bambino con occhio speciale: in Lui contemplava la concretezza dell’amore che si è fatto bambino umile e indifeso, per essere più vicino agli uomini, donando tutto se stesso. Contemplava anche l’amore della Vergine che ha generato Gesù, e, grazie alla sua corrispondenza, noi che prima eravamo maledetti ora siamo benedetti. L’infanzia del Figlio di Dio, dunque, è un mistero d’amore insondabile: più Gesù si fa vicino a noi, più è evidente l’immensa distanza tra Dio e noi, tra la sua potenza infinita e la nostra potenza limitata.
Il Serafico Padre, però, non si limitava solo all’adorazione o alla lode verso Gesù. Egli, come tutti i santi, vuole la concretezza, e scorge nell’infanzia di Gesù un modello specifico, una fonte di grazie per la santità: l’infanzia spirituale. E qui torniamo al nostro pastorello “tonto” Tommasino. Nella novella Gesù scelse proprio questo bambino, l’ultimo di tutti e il più lento, per fargli dono di tre perle: la prima di queste è la semplicità, che è una delle caratteristiche delle anime che posseggono lo stato interiore dell’infanzia spirituale.
Se non abbiamo la semplicità, non possiamo accostarci a Gesù; se non rinasciamo in Cristo, se non imitiamo Gesù in questa strada di cui è stato il fedele modello, non potremo mai diventare santi. La spiritualità francescana ci dimostra il valore di questa “perla”, di cui purtroppo solo pochi ne capiscono l’importanza: guardare le cose con occhio limpido, essere coerente nei comportamenti e nei pensieri, non conoscere falsità o doppiezze. L’anima semplice non conosce doppi fini, volge il suo sguardo costantemente a un unico centro di attrazione, Dio. Betlemme è mistero di semplicità: Gesù entra nel mondo nel silenzio, nel nascondimento, con le sembianze di un neonato, figlio di un modesto falegname, nato povero tra i poveri. La semplicità è la vera sapienza e questo molti dei figli di san Francesco lo hanno capito bene. «Padre – domandò frate Egidio a san Bonaventura – possono salvarsi sia i dotti che gli illetterati?». E il teologo gli rispose: «Una vecchierella che non sappia neppure leggere, può amare Dio meglio di frate Bonaventura!».
San Francesco si accosta alla culla di Gesù Bambino con questa perla di semplicità, e insieme a lui anche tutti i suoi figli: una schiera serafica infinita di anime che non vogliono avere il cuore diviso, ma si sono consacrati a Dio interamente, pensando solo a Lui e alla sua gloria. Sia anche per noi questo l’inizio di un santo Avvento francescano da vivere sotto lo sguardo del Serafico Padre e della Vergine Immacolata.