Il venerabile padre Placido Cortese, durante la seconda Guerra mondiale, si adoperò, grazie ad una rete clandestina, per la salvezza di tanti cristiani, ebrei e altri perseguitati. Barbaramente torturato dalla Gestapo, il suo silenzio, con cui non tradì nessuno, e la sua fede, furono le armi più potenti.
Il 7 marzo del 1907 nasce nell’isola di Cherso, allora compresa nell’impero austro-ungarico, Nicolò Matteo Cortese da Matteo e Antonia Battaia. Nicolò era il primogenito di quattro figli e la famiglia Cortese era conosciuta per l’umiltà che accattivava la simpatia e la benevolenza di tutti. Anzi, nonostante la loro semplicità e la scarsità di mezzi erano tenuti in ammirazione dai vicini, tanta era la loro dignità nel portamento e nella condotta sempre onestissima.
Il Venerabile crebbe in una famiglia fortemente cristiana, anzi, diremmo piuttosto che si trattava semplicemente di una famiglia cristiana. Purtroppo, dobbiamo riconoscere che ai nostri giorni siamo talmente abituati a constatare lo sfacelo di molte delle famiglie odierne e la mancanza di fede generale che regna nella nostra società che sentiamo il bisogno di precisare la “convinzione nel vivere la fede cattolica” da parte di alcuni. E invece, questa dovrebbe essere la normalità! La famiglia Cortese, dunque, era una famiglia così come la vuole Dio, ossia piena di fede e autenticamente cristiana, proprio come dovrebbero essere tutte le famiglie.
Ma continuiamo con la breve narrazione della vita del nostro Venerabile: in un ambiente così ricco di fede e di sani principi è stato quasi naturale da parte di Nicolò la scelta di abbracciare la vita religiosa per una più completa donazione di sé al servizio di Dio e dei fratelli. Perciò, a soli 13 anni, fu accolto nel collegio di Camposampiero (Padova) dei Frati Minori Conventuali. Dopo alcuni anni di formazione scolastica e soprattutto dopo l’anno di noviziato, nel 1923, trascorso nel convento della Basilica di Sant’Antonio di Padova, dove il giovane verrà chiamato con il nuovo nome di fra Placido Cortese, il 10 ottobre 1924 emise i voti religiosi. Una volta completati gli studi a Roma nel Collegio internazionale dell’Ordine Francescano, il 6 luglio 1930 venne ordinato sacerdote nella chiesa del Pontificio Seminario Romano. A questo mirabile e importantissimo evento della sua ordinazione sacerdotale si sussegue un periodo trascorso nella Basilica di Sant’Antonio a Padova e nel 1933 viene inviato nella parrocchia “Immacolata e Sant’Antonio” di Milano.
Un altro importante incarico affidato a padre Placido era stato quello della direzione del mensile Messaggero di Sant’Antonio, che diresse per sette anni, dal gennaio 1937 al luglio 1943. Nel 1939 fondò anche la tipografia antoniana. Inoltre, è da precisare che il suo zelo apostolico era notissimo, tanto che riuscì a incrementare significativamente gli abbonati al Messaggero di Sant’Antonio, portandoli da 200.000 ai circa 800.000 del 1943.
Passiamo attraverso le principali tappe della breve ma intensa esistenza di padre Placido ed esponiamo come sia avvenuta la sua morte. Sappiamo bene che gli anni in cui visse il nostro Venerabile (1907-1944) videro non poche tragedie, tra le quali vi erano quella della guerra e del nazismo. Infatti, con gli eventi bellici e politici soprattutto dopo l’anno 1943, la sua opera assistenziale si ampliò nel Veneto, regione in preda allo sfascio delle istituzioni. Padre Placido era diventato membro e una delle principali guide di una rete di collaboratori e benefattori, che si adoperavano per mettere in salvo coloro che erano i più perseguitati, ossia i cristiani, gli ebrei e altri ancora, ispirando e motivando collaboratori e collaboratrici all’attività che era, ovviamente, ritenuta clandestina e un grande pericolo per le forze naziste.
Padre Placido, fin da piccolo si era sempre dimostrato un bambino speciale soprattutto nell’esercizio della carità; da sacerdote porterà al massimo grado questa virtù, fino all’adempimento dell’insegnamento evangelico: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Consapevole dei pericoli che incorreva nel perseverare in questo pericoloso apostolato per la salvezza e protezione dei perseguitati dai nazisti e noncurante di sé, continuò nella sua opera di carità.
Non tardò molto, però, e fu catturato e portato al bunker della Gestapo a Trieste. Lì, dopo lunghe torture che durarono circa venti giorni, morì. Alcune persone che hanno avuto l’opportunità di conoscerlo testimoniano la sua fedeltà e santità. Tra le testimonianze vi è quella del celebre pittore Anton Zoran Mušic: egli asserisce che era stato messo nella cella accanto a quella di padre Placido e che gli erano inflitte lunghe e dolorose torture giornaliere. Tali torture erano imposte con lo scopo di fargli rivelare i componenti dell’organizzazione di cui abbiamo già parlato. Tra le varie torture subite dal nostro Venerabile vi erano quella della fame, le dita spezzate, le battiture e altro. In tutto questo, l’eroico sacerdote rimase sempre sereno e mantenne un rigoroso silenzio. Sempre il Mušic testimonia che «lo si sentiva pregare sempre a mezza voce»; ciò che lo colpì poi era «la sua volontà, la fermezza e la fede del piccolo e fragile padre, che non si arrese e non tradì nulla».
Il giorno preciso della sua morte non si è mai saputo, sappiamo però che è avvenuta tra i primi di novembre del 1944. Vauhnik, tenente colonnello jugoslavo, descrive in maniera drammatica la morte di padre Placido: «Al religioso, la Gestapo cavò gli occhi, tagliò la lingua e lo seppellì vivo». Questo racconto fa davvero rabbrividire e se non ci fosse la fede non avremmo saputo scorgere in questi eventi che tragedia e disumanità: eppure il Venerabile ora è nella gloria coronato dell’aureola dei martiri.
Padre Placido Cortese è chiamato il “san Massimiliano dell’Italia”, in effetti, vi sono tra queste due anime alcuni punti in comune nel loro cammino ascetico verso la santità, come: l’apostolato mediante la stampa – per la salvezza delle anime – e anche la modalità del martirio che è detto di “carità”, ossia una forma di martirio che si differenzia dalla maggior parte degli altri dove vi è un carnefice che istiga la vittima a rinnegare la propria fede con la minaccia di morte. Il loro martirio è detto di “carità” perché entrambi – chi in un modo chi in un altro – si sono offerti per la salvezza dei propri fratelli.
Cosa possiamo imparare da questa figura? Il venerabile padre Placido, così mite ma al contempo così forte ed eroico ci possa essere di esempio e di sprono ad un impegno sempre più crescente nella nostra vita spirituale, che egli ci aiuti a essere fedele anche sotto le torture e a non rinnegare mai la nostra fede e nemmeno mancare mai precetto dell’amore che «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7).