Ecco un esempio di come la scienza e la tecnologia, unite all’ingegno, possono migliorare la vita delle persone: oggi le protesi robotiche integrate con il sistema scheletrico e nervoso sono una nuova realtà, impensabile fino a pochi anni prima.
La scienza e la tecnologia avanzano di pari passo. Una vera e propria rivoluzione è la realizzazione di una protesi robotica integrata in modo permanente con il sistema scheletrico e nervoso di una donna che aveva perduto la mano destra e parte del braccio in un incidente agricolo. Grazie a un’interfaccia uomo-macchina osseointegrata, la protesi è stata collegata direttamente ai muscoli e ai nervi residui della paziente. Il risultato, frutto anche della ricerca italiana, è stato descritto su Science Robotics e rientra nel progetto europeo DeTOP (Dexterous Transradial Osseointegrated Prosthesis with neural control and sensory feedback), coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Christian Cipriani, coordinatore del progetto e direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna ha affermato: «Questa collaborazione ha reso possibile il consolidamento di tecnologie protesiche e robotiche all’avanguardia che possono avere un impatto straordinario sulla vita delle persone». Del team di ricerca per l’Italia fanno parte anche l’Inail Prosthetic Center e l’Università Campus Bio-Medico.
Protagonista della ricerca è Karin, una donna svedese vittima, oltre 20 anni fa, di un incidente agricolo che le portò via una parte del braccio destro. Da allora la donna ha dovuto sopportare un dolore lancinante all’arto fantasma. Ha raccontato: «Mi sembrava di avere costantemente la mano in un tritacarne, il che mi creava un alto livello di stress e mi obbligava ad assumere dosi elevate di vari antidolorifici». Per Karin le protesi convenzionali erano scomode e inaffidabili, e quindi di scarso aiuto nelle attività quotidiane. Invece, grazie al nuovo impianto, ha potuto controllare in maniera naturale la sua mano bionica e compiere gesti precisi e delicati: fare una valigia, raccogliere una monetina, mangiare un chicco d’uva. La nuova protesi bionica ha alleviato il dolore.
L’interfaccia meccanica con l’arto residuo e l’affidabilità del controllo sono due delle maggiori sfide nella sostituzione degli arti con protesi artificiali. Per questi motivi, spesso le persone che hanno perso una mano rifiutano anche le protesi più sofisticate disponibili in commercio. Il gruppo multidisciplinare di ingegneri e chirurghi ha risolto questi problemi sviluppando un’interfaccia uomo-macchina che consente di fissare la mano bionica allo scheletro dell’utente tramite osseointegrazione, consentendo al contempo il collegamento elettrico con il sistema nervoso tramite elettrodi impiantati nei nervi e nei muscoli. Il fissaggio scheletrico della protesi avviene attraverso l’osseointegrazione, un processo mediante il quale il tessuto osseo ricresce all’interno del titanio, creando una forte connessione meccanica. Il risultato è meno dolore e movimenti più naturali. Ha spiegato il professore Ortiz Catalan, responsabile della ricerca sulle protesi neurali presso il Bionics Institute a Melbourne, in Australia: «Per controllare la protesi, Karin sta utilizzando un po’ le stesse risorse neurali che usava per la sua mano biologica». Proprio questo è uno degli aspetti sottolineati da Karin, che assicura di avere ora «un migliore controllo sulla mia protesi, ma soprattutto il mio dolore è diminuito. Oggi ho bisogno di molti meno farmaci».
La teoria dei sistemi, l’automazione, la robotica protesica, la neurochirurgia e l’osseointegrazione hanno unito le loro forze e sono giunte alla realizzazione di una protesi altamente tecnologica che migliora la qualità della vita di persone sfortunate, menomate da gravi incidenti, rendendo loro più facile l’esecuzione di movimenti e funzioni che per noi sono assolutamente normali. Questo è un esempio virtuoso di come i doni che riceviamo da Dio di conoscenza, di scienza, di ingegno e la capacità di tradurre in manufatti le loro potenzialità (“homo faber”) possono essere utilizzati per fare del bene. È una gioia e una conquista riconoscere che tra le opere di misericordia corporale possono essere annoverate anche queste applicazioni tecnologiche scaturite dal genio umano che erano praticamente sconosciute fino a pochi decenni orsono.
Nostro Signore Gesù Cristo non aveva bisogno di “costruire” protesi ma faceva camminare i paralitici con la potenza taumaturgica della sua Parola: «Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: “Alzati”, disse allora al paralitico, “prendi il tuo letto e va’ a casa tua”. Ed egli si alzò e andò a casa sua. A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini» (Mt 9,6-8).