Nemica del rispetto umano, sant’Elisabetta d’Ungheria testimoniò la sua fedeltà a Cristo anche a palazzo, tanto da suscitare le critiche e le mormorazioni di chi non condivideva il suo modo di agire. La sua coerenza cristiana le costò la cacciata dal castello e una vita di stenti. Coronò il suo “martirio” consacrandosi al servizio di Cristo povero e crocifisso nei malati e nei sofferenti.
Sant’Elisabetta d’Ungheria nacque nel 1207 da Andrea II, re di Ungheria, e Gertrude di Andechs-Merania, duchessa tedesca e sorella di santa Edvige.
All’età di 14 anni fu portata nella sua nuova sede in Germania centrale: Elisabetta doveva diventare principessa di Turingia sposando Ludovico, figlio del langravio di quella regione, uno dei sovrani più ricchi ed influenti dell’epoca. Pur trattandosi di un fidanzamento deciso per motivi politici, tra i due giovani nacque un amore sincero che sigillarono davanti a Dio con il sacramento del Matrimonio. La celebrazione delle nozze non fu sfarzosa e le spese per il banchetto furono in parte devolute ai poveri. Ciò suscitò le prime critiche verso la Santa che non si comportava secondo le usanze di corte. Elisabetta non dava peso a tali dicerie: non sopportava i compromessi ed era ben decisa a comportarsi coerentemente, secondo la fede che professava, pur vivendo a corte.
Papa Benedetto XVI così sintetizzò la sua vita a palazzo: «Praticava assiduamente le opere di misericordia: dava da bere e da mangiare a chi bussava alla sua porta, procurava vestiti, pagava i debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti. Scendendo dal suo castello, si recava spesso con le sue ancelle nelle case dei poveri, portando pane, carne, farina e altri alimenti. Consegnava i cibi personalmente e controllava con attenzione gli abiti e i giacigli dei poveri». Le malelingue riferirono tale comportamento al marito, sperando di suscitarne l’indignazione, ma Ludovico, ammirato per la grande fede della sposa, le disse: «Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura».
Nel 1222 si colloca l’incontro di sant’Elisabetta con i Frati Minori. Quando le narrarono la conversione del ricco mercante di Assisi, san Francesco, la regina ne fu fortemente impressionata perché ella si ritrovava perfettamente in quanto san Francesco scrisse nel suo Testamento: «Ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo».
La vita le serbava ancora l’ultima e più grande prova. Ludovico si associò alla crociata dell’imperatore Federico II, ma la febbre decimò le truppe ed egli morì ad Otranto nel settembre 1227, all’età di ventisette anni. Elisabetta ne fu profondamente addolorata e si ritirò in solitudine, ma poi, fortificata dalla preghiera e consolata dalla speranza di rivederlo in Cielo, ricominciò ad interessarsi degli affari del regno. Suo cognato, dichiarandosi vero erede di Ludovico e accusando Elisabetta di essere una pia donna incompetente nel governare, usurpò il governo della Turingia e costrinse la giovane vedova – aveva solo 20 anni – e i suoi tre figli ad abbandonare il castello.
Peregrinando per i villaggi, Elisabetta lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, si colloca il seguente episodio riferito dal suo direttore spirituale a Papa Gregorio IX: «Il venerdì santo del 1228, poste le mani sull’altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti».
Sant’Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni nell’ospedale da lei fondato, servendo i malati, vegliando con i moribondi, svolgendo i servizi più umili e ripugnanti. Formò, con altre sue amiche, una comunità religiosa e morì il 17 novembre 1231. È patrona del Terzo Ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare.