Santa Coletta di Corbie, riformatrice delle Clarisse, nel suo testamento spirituale difende con grande ardore l’ideale della povertà serafica, perla preziosa da pochi amata, ma che ci conforma in tutto a Gesù Crocifisso e povero.
La grande riformatrice del Secondo Ordine Francescano ha lasciato alle sue figlie e discepole un testamento spirituale in cui riassume tutto il suo pensiero ascetico e mistico sulla sequela di Cristo secondo la forma di vita clariana.
Si tratta di uno scritto importante per tutti gli studiosi di francescanesimo e per tutti coloro che desiderano una visione genuina della spiritualità francescana, riportata alla primitiva autenticità nonostante i tanti rilassamenti subiti nel passare dei secoli. Non dimentichiamo che santa Coletta fu chiamata dal Cielo a riformare la famiglia delle Clarisse, che si trovavano ormai in piena rottura con gli ideali della santa Fondatrice. Fu lo stesso san Francesco che, apparendole più volte, le affidò questo incarico.
Pietra di inciampo, come sempre, era il voto di povertà serafica, quella povertà per difendere la quale santa Chiara fece attendere addirittura la morte. Solo dopo aver ricevuto da Roma il Privilegium paupertatis – che permetteva alle sue monache di vivere totalmente povere di tutto, sia personalmente che comunitariamente, sia affettivamente che effettivamente –, santa Chiara poté infatti chiudere tranquillamente gli occhi, certa di aver fatto tutto il possibile per garantire la perfetta fedeltà all’ideale di povertà del Serafico Padre.
Circa 150 anni dopo la morte di santa Chiara, santa Coletta di Corbie, certa della volontà di Dio su di lei a motivo dell’approvazione di Papa Benedetto XIII, avviò la missione di riforma del Secondo Ordine. Comprese subito che non era possibile alcuna riforma senza partire proprio dalla ripresa della povertà serafica vissuta nella sua genuinità.
Addentriamoci ora nella lettura di questo testamento, vera ventata di seraficità autentica da respirare a pieni polmoni.
La Santa comincia citando la frase evangelica pronunciata da Gesù: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). La divide in tre parti, accostando a ciascuna parte uno dei consigli evangelici. Nello specifico: “Rinneghi se stesso” - voto di obbedienza; “Prenda la sua croce” - voto di povertà; “Mi segua” - voto di castità.
Per la Santa, quindi, la povertà è una croce: «Croce pesante, senza dubbio – afferma –, perché esige di non voler nulla sotto il Cielo se non Colui il quale ha portato la Croce sulle spalle e che per amore si è degnato di morire su questa Croce, dopo essere stato inchiodato, coronato di spine, coperto di sputi e di percosse ed avere il Costato squarciato». La povertà fa rinunciare a tutto per conformarsi pienamente a Gesù, è vero. Ma è Gesù Crocifisso Colui al quale ci si deve conformare. Tale conformità, quindi, è un lavoro che costa e che implica sofferenza.
«O santa povertà! Gioiello della nostra Redenzione! Gemma preziosa! Garanzia di salvezza! È alla santa povertà che il Re del Cielo ha promesso il pieno possesso del suo Regno, un possesso duraturo, senza fine! O figli di Adamo, perché non amate questa pietra preziosa, questa perla di valore inestimabile, il cui prezzo e la cui dignità valgono il Regno dei Cieli, valgono veramente assai più di tutto il cosmo». Purtroppo sono davvero pochi coloro che comprendono il valore di questa “perla” e decidono di acquistarla vendendo tutto ciò che possiedono (cf Mt 13,46). Le ricchezze abbagliano gli uomini e non permettono di comprendere il vero valore della povertà.
Seguiamo ancora la Santa in questo breve ma denso trattato sulla povertà evangelica: «O sorelle mie carissime, amate, amate, amate in modo perfetto questa nobile, preziosa e meravigliosa virtù – la povertà evangelica –, amata da Dio, odiata dal mondo. Sull’esempio di Gesù Cristo, che non ha avuto un luogo dove posare la testa e sull’esempio del nostro glorioso Padre san Francesco e della nostra Madre Chiara, siate felici per il vostro abito povero, concesso dalla Regola, ed usate con circospezione tutto il resto [...]. Abbiate invece soltanto le cose puramente indispensabili, e tutto in comune. Durante il cammino di questa vita contentatevi dello stretto necessario per giungere più celermente a godere i veri beni del Regno celeste, che già possedete in anticipo con la santa povertà, promessa volontariamente con voto, pronunciato per amore di Dio». La penna di santa Coletta diventa sempre più ardente. Il suo scritto si fa ora preghiera e persuasione per le sue figlie clarisse e conclude dicendo categoricamente: «Il Regno di Dio non ci sarà dunque tolto, se non verremo meno al nostro impegno assunto da noi nei confronti della nostra signora, la santa povertà».
Abbiamo visto come la Santa sia partita proprio dalla Croce di Cristo per parlare del voto di povertà. Ora, al termine di questa magistrale trattazione, ritorna ancora alla Croce e conclude dicendo: «Vivete e morite come vere povere, figlie mie amatissime, così come ha fatto sulla Croce per noi il nostro dolce Salvatore: e se anche poche persone amano la povertà, questo deve essere per voi un motivo più valido per amarla».