RELIGIONE
Nel Costato di Cristo. San Bonaventura da Bagnoregio
dal Numero 19 del 12 maggio 2024
di Giuseppe M. Casadei

Nella ricorrenza dei 750 anni dalla morte di san Bonaventura, presentiamo un’opera del Dottore Serafico, il “Lignum vitæ”, una meditazione sulla Passione di Cristo che evidenzia tutta l’anima mistica del grande Santo che vuole penetrare nel segreto del Costato di Nostro Signore.

Nell’Ufficio delle letture della solennità del Sacro Cuore di Gesù, alla seconda lettura, troviamo alcuni stralci tratti da una stupenda opera di san Bonaventura. Si tratta del Lignum vitæ (il “Legno della vita”), un’opera che san Bonaventura scrisse intorno al 1260 con l’intento di mantenere vivo nei fedeli il ricordo dei momenti più significativi dell’esistenza del Redentore.


La scelta di inserire alcuni scritti del Dottore Serafico all’interno della liturgia di una festa la cui celebrazione si estenderà alla Chiesa parecchi secoli dopo (la festa del Sacratissimo Cuore, infatti, divenne universale per tutta la Chiesa Cattolica solo nel 1856) è quanto mai significativa. Ciò dimostra come san Bonaventura, con il suo sguardo mistico verso l’umanità di Cristo – così tipicamente francescano –, fosse già penetrato nel suo Costato scoprendone i sublimi misteri d’amore. La meditazione sul mistero della Passione e sulla lanciata di Longino permise al Santo di penetrare in quel Cuore che si rivelerà poi al mondo intero con le celebri apparizioni di Paray-le-Monial a santa Maria Margherita Alacoque (1673). 
Addentriamoci nella meditazione del mistero di questo Cuore trafitto, facendoci guidare proprio da san Bonaventura.


«Considera anche tu, o uomo redento, chi, quanto grande e di qual natura sia Colui che pende per te dalla Croce. La sua morte dà la vita ai morti, al suo trapasso piangono cielo e terra, le dure pietre si spaccano. Inoltre, perché dal fianco di Cristo morto in croce fosse formata la Chiesa e si adempisse la Scrittura che dice: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore, dà ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed è, per coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva “che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). Sorgi, dunque, o anima amica di Cristo. Sii come colomba “che pone il suo nido nelle pareti di una gola profonda” (Ger 48,28). Come “il passero che ha trovato la sua dimora” (Sal 83,4), non cessare di vegliare in questo santuario. Ivi, come tortora, nascondi i tuoi piccoli, nati da un casto amore. Ivi accosta la bocca per attingere le acque dalle sorgenti del Salvatore (cf Is 12,3)». 
Le parole di san Bonaventura sono davvero infuocate d’amore, amore sponsale che conduce l’anima proprio lì, dov’è il centro dell’amore: nel Cuore di Cristo. Il Santo, da vero francescano, non si accontenta di una meditazione puramente intellettiva della Passione di Cristo. No: egli, come colomba, penetra nel segreto del Costato di Cristo e vi pone il suo nido; vi accosta la bocca per attingere a questa misteriosa sorgente quell’acqua che sgorga per la Vita eterna. 


Il primo punto verso cui san Bonaventura vuole indirizzare la nostra meditazione è il considerare «chi, quanto grande e di qual natura sia Colui che pende per te dalla Croce». 
Gesù Crocifisso è Dio. La teologia francescana non manca mai di sottolineare questo particolare per nulla secondario. «A redimere il peccato – afferma padre Ciccarelli – non era necessaria, di necessità assoluta, la morte del Cristo: “A Dio non mancava davvero un altro modo di redimere l’uomo, essendo tutto sottoposto al suo volere”. Anzi, a rigor di logica, neppure era necessario che redimesse proprio Lui, il Verbo Incarnato, e con una morte tanto ignominiosa. È stato detto che il peccato di Adamo ha “una certa quale infinità”: però non è intrinsecamente infinito; non esiste un male infinito, né l’uomo e neppure l’angelo, creature limitate, potrebbero mai produrlo. Sostenere la necessità del sacrificio di un Uomo-Dio per riparare adeguatamente il peccato sarebbe quasi stabilire una equazione tra Dio – Sommo Bene e il peccato – sommo male. Il che è assurdo».


Quanto sarebbe bastato per riparare il peccato, però, non sarebbe bastato al suo amore. 
La lanciata di Longino, in particolare, è proprio la dimostrazione concreta di quanto l’amore di Gesù per noi, per ognuno di noi, superi di gran lunga i limiti posti dalla stessa morte: tutte le sofferenze che si potevano riversare sulla sua umanità santissima, tutte le piaghe che il suo adorabile Corpo poteva contenere, non bastavano; sebbene Egli fosse già morto, il suo amore per noi chiedeva di donarsi fino all’ultima stilla.
La ferita del Cuore di Cristo rappresenta davvero la “sovrabbondanza”, l’infinita misura dell’amore di Gesù per noi. E alla lancia di Longino si assimila la spada che trapassa l’anima di Maria Corredentrice. Questi due Cuori feriti per amore nostro sono davvero tutta la ragione della nostra speranza!
Concludiamo queste brevi riflessioni con alcune illuminanti parole di padre Stefano Maria Manelli che vede nel Voto mariano emesso dalla Famiglia religiosa da lui fondata – in piena armonia e continuità, quindi, con la teologia bonaventuriana – la risposta d’amore a questi due Cuori trafitti: «Fu la piena dell’amore redentivo, dunque, che aprì il Cuore di Gesù e di Maria alla sovraeffusione di ogni donazione d’amore. Ebbene, la piena dell’amore divino e la sovraeffusione di ogni donazione d’amore divino del Cuore di Gesù e di Maria sono il contenuto in pienezza del Voto mariano, ben radicato ed espresso nelle due frasi di Gesù: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi” (Gv 13,34) e “Nessuno ha un amore più grande di chi sacrifica la sua vita per gli altri” (Gv 15,13)».   

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