Una vita semplice, rurale, in obbedienza alla volontà di Dio: questo il segreto della famiglia dei genitori dei Pastorelli prediletti da Dio per la loro fedeltà al patto coniugale.
I genitori dei Pastorelli di Fatima possedevano dei modesti appezzamenti di terreno dai quali traevano il sostentamento per le loro famiglie numerose e, quasi, nulla più. Come diceva san Paolo: «Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci» (1Tm 6,8).
Vivevano del lavoro delle loro mani callose. Non erano ricchi, ma nemmeno mancava loro il necessario ad una vita sana e robusta. Gli attrezzi agricoli, come si può vedere tutt’oggi nel piccolo museo di Aljustrel, erano quanto mai semplici, quasi “primitivi”. Lavorare la terra con quei mezzi artigianali richiedeva una grande fatica, da affrontare serenamente, in obbedienza alla volontà di Dio: «Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (Gn 3,19).
Anche la vita in casa, priva di elettrodomestici e cucina a gas, era assai faticosa. Dal bucato con cenere e acqua di pozzo agli impasti del pane cotti nel forno a legna, tutto era fatto a mano. Così venivano educati i figli, alla scuola della preghiera e del lavoro.
Le famiglie contadine di quel tempo non avevano certo bisogno di dedicarsi allo sport per fare esercizio fisico. Tutta la loro vita era un continuo esercizio fisico, dalla mattina alla sera, e per questo godevano di una buona salute. Anche l’alimentazione, semplice e genuina, contribuiva al loro benessere, preservandoli dalle malattie endemiche che oggi affliggono la popolazione sedentaria del mondo industrializzato: «Mens sana in corpore sano» (Satire di Giovenale).
Sana era soprattutto la loro psicologia, che godeva della pace dei figli di Dio, frutto dello Spirito Santo (cf Gal 5,22), e di una totale fiducia nella divina Provvidenza. Non si facevano la polizza sulla vita e non avevano bisogno della melatonina per dormire la sera. Stanchi per le lunghe ore di intenso lavoro, concludevano la giornata con la recita del Rosario in famiglia, ringraziando per quanto era stato fatto e mettendo nelle mani di Dio le intenzioni e le ansietà del giorno seguente. Non credevano “in se stessi”, ma in Colui che è la nostra forza, «nel quale viviamo, ci muoviamo e esistiamo» (At 17,28), e che giorno dopo giorno ci sostiene e ci guida nell’adempimento dei nostri doveri. Non avevano problemi di autostima, perché sapevano bene, per esperienza, che senza Dio non potevano far nulla di buono: «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori» (Sal 127,1), e se Dio non fa crescere e maturare i frutti dei campi, invano lavora il contadino.
La loro sapienza era appresa dalla legge della natura, trasmessa e accresciuta di generazione in generazione, portata a perfezione dalle istruzioni domenicali sulla fede e sulla morale impartite dal parroco, nonché dalle abbondanti predicazioni quaresimali e festive. Non avevano mezzi di comunicazione sociale e anche la stampa doveva comparire assai raramente nelle loro case, perché erano perlopiù analfabeti.
La natura era lo spettacolo che incantava i bambini, che rimanevano affascinati soprattutto dalla grandiosa bellezza della volta stellata: le stelle erano candele accese dagli angeli e la luna era la candela accesa dalla Madonna. Di giorno, poi, si accendeva la candela maggiore di Gesù Cristo, il «sole che sorge» (Lc 1,78).
Lucia era la settima e ultima figlia di Antonio dos Santos e di Maria Rosa (uno dei figli morì poco dopo il parto). Ricevé un’educazione semplice, ma molto concreta, edificata sui Comandamenti divini e sulle virtù domestiche. Una fede solida, con i “piedi per terra”. Sin dalla prima infanzia, strinse una forte amicizia con i cuginetti Francesco e Giacinta, anche loro figli ultimogeniti di Olimpia Marto, che erano nove in tutto: sette di Manuel Marto, il papà di Francesco e Giacinta, e due del precedente matrimonio, del quale era rimasta vedova.
Olimpia, essendo la sorella del papà di Lucia, era zia di quest’ultima e Francesco e Giacinta, perciò, erano suoi cugini di primo grado.
Anche qui si vede una predilezione per gli ultimi figli di famiglie numerose. Davide era l’ultimo degli otto figli di Jesse, ed era un pastorello. Santa Caterina da Siena – Dottore della Chiesa e compatrona d’Italia e d’Europa – era l’ultima di ventitré figli, illetterata, ma ispirata da Dio; ebbe a che fare con vescovi e papi. L’analogia è evidente.
Il segreto di questa predilezione sta, probabilmente, nel merito dei genitori sempre fedeli a Dio e al loro patto matrimoniale, generosamente aperti alla vita, anche nella loro età non più giovanile. Quale lezione per una certa malintesa – e oggi abusata – “paternità responsabile”! Troppo spesso essa diventa paravento dell’egoismo irresponsabile che, se di qualcosa è “responsabile”, questo “qualcosa” è il suicidio demografico in atto nella nostra società occidentale, opulenta e agonizzante!
/continua