Se allargassimo le nostre vedute, in tante situazioni non vedremmo altro che l’amore di Dio che vuole elevarci fino a Lui. Molto spesso, invece, lasciamo vincere il nostro povero io, causa di tante sofferenze.
Ci sono pagine di don Dolindo Ruotolo così ricche di contenuti e di sfumature preziose che potrebbero considerarsi dei piccoli trattati. Una di queste la ritroviamo in una lettera scritta ad una figlia spirituale. Le scrive così: «Io noto ora che per la grande delicatezza il Signore ti ha umiliata. Egli ha voluto evitarti il pericolo di insuperbirti e tu hai creduto invece che Egli ti mettesse in disparte. Sei ingrata al suo amore quando non capisci queste delicatezze e quando ti sconvolgi. Tu non puoi dare al Signore un dolore più grande quanto quello di disconoscere il suo amore intenso per te. Ed io credo che il Signore ti dia tante pene, perché da queste pene deve spuntare in te il fiore della santa umiltà e della santa semplicità».
La lettera in questione è scritta in un momento molto delicato della vita del sacerdote napoletano. Siamo nel periodo in cui gli venne tolta la facoltà di predicare. In compenso, però, su invito delle autorità religiose, alcune laiche da lui formate si dedicarono all’istruzione e formazione di diversi gruppi. Possiamo presumere dal contesto che la lettera fosse indirizzata a un’anima esclusa da tale compito e per questo rammaricata.
Gli effetti dell’esclusione erano ben sperimentati innanzitutto dal pio sacerdote. Egli aveva chiaro il quadro della prova spirituale che la destinataria della lettera stava vivendo e, pertanto, i suoi consigli erano sempre molto pertinenti.
Da essa si deducono almeno due sfumature dell’umiliazione: una incolpevole, l’altra colpevole. Con l’umiliazione incolpevole «è Gesù che inaridisce l’anima per rifarla a nuovo». Quella colpevole, invece, deriva dalle «mancanze giornaliere che la disseccano [l’anima]».
In entrambi i casi l’azione pedagogica e misericordiosa della grazia vuole far progredire l’anima. Nel caso in cui c’è mancanza di colpa, il Signore vuole portare l’anima a livelli più alti di santità, ad una gradazione più elevata di amore. In caso di colpa, invece, il Signore vuole richiamare l’anima ad una più perfetta adesione alla sua volontà. Sia nel primo che nel secondo caso, perché l’anima progredisca, è necessario che eserciti la virtù dell’umiltà, a prescindere dalla presenza di consolazioni interne. Con l’accettazione amorosa dell’umiliazione incolpevole l’anima progredirà a grandi passi nella via della santità fino ad arrivare a quello stato della vita spirituale che i maestri chiamano “mistica”, la cui essenza non consiste nel percepire sensibilmente la presenza di Dio, ma nell’esercizio delle virtù eroiche. Forse si potrebbe anche aggiungere che l’umiliazione incolpevole ha più una valenza espiatoria che purificatrice; l’umiliazione colpevole, invece, ha principalmente valore di purificazione, e secondariamente un valore espiatorio per gli altri.
Purtroppo, il nostro ego ci impedisce di vedere la realtà e, come all’anima a cui sono rivolti gli ammonimenti, anche a noi può capitare di mostrare disappunto per l’essere stati messi da parte. Il Nostro, con il suo acume spirituale, insegna come si debba reagire qualora ci si vedesse messi da parte.
Innanzitutto, bisognerebbe considerare la situazione come un atto di amore di Dio per l’anima e, questo, costituirebbe un ottimo motivo sul quale meditare, poiché questa visione soprannaturale dell’umiliazione attua già una vera e propria “rivoluzione copernicana” del pensare e del sentire. Vedere l’umiliazione subita in questa luce significa operare un vero e proprio ribaltamento dei consueti punti di riferimento a cui si rifà l’uomo per emettere i suoi giudizi. In questo modo si realizza una restaurazione della vita interiore dell’uomo secondo l’ordine spirituale voluto da Dio.
Dunque, evidenzia giustamente don Dolindo, il rattristarsi perché si è stati esclusi è un peccato d’ingratitudine verso Dio. Egli sottolinea anche che con l’umiliazione subita l’anima viene preservata dalla superbia, e quindi che si radichi in lei questo terribile vizio capitale.
Per chi ha una concezione “buonista” di Dio è incomprensibile come Egli possa permettere l’umiliazione. Per comprendere ciò è necessario considerare che tale permissione è solo in vista di un bene più grande, che è quello di consente all’anima di crescere nell’amore divino. Combattendo lo sconvolgimento interiore che deriva dall’umiliazione, e che rischia di arenare l’anima ad un livello basso della vita spirituale, essa progredisce a livelli sempre maggiori.
Qui cogliamo un tratto pedagogico che si ripresenta spesso in don Dolindo: quello di trarre dai propri errori nuovo slancio per il progresso dello spirito. Egli educa l’anima a ringraziare Dio anziché avvilirsi. Ovviamente non si sta affermando che l’errore sia necessario per l’avanzamento spirituale, ma che, una volta che si verifica la caduta a causa della fragilità umana, si deve trarre anche da essa l’occasione per una nuova ripartenza. Don Dolindo invita l’anima a considerarsi un nulla, a benedire Dio e a gioire se si ottiene il bene della Chiesa per mezzo dell’opera di altre persone, piuttosto che per il proprio intervento; a ringraziare Dio per l’esistenza di anime capaci di diffondere il Regno di Dio tra gli uomini contro la propria incapacità; a esprimere gratitudine verso Dio per l’esistenza di persone più degne di se stessi. Inoltre, in tal modo, offre anche un rimedio efficacissimo per combattere la gelosia. Ma perché tutto ciò possa attuarsi bisogna abbassarsi fino all’inverosimile, e don Dolindo, da vero campione d’umiltà, lo fa. In tanti suoi scritti si è sempre definito e considerato un nulla, ma in questa lettera arriva anche oltre definendosi, per ben due volte, “sterco”.