In occasione della chiusura del centenario della nascita di santa Gianna Beretta Molla, offriamo ai Lettori il profilo di quattro splendide figure di mamme che ci fanno respirare aria di Paradiso, insegnandoci che l’amore materno, l’amore vero e immortale è sacrificio e non conosce compromessi, anche a prezzo della vita.
La mentalità odierna ci vuole consumatori seriali tutti concentrati a godere di piaceri effimeri, inseguendo la prossima esperienza di fugace meraviglia e schivando ogni fatica o gravoso impegno. Una corsa a soddisfare se stessi che nei fatti ci ha resi un’umanità bassa e degradata, senza alcun orizzonte più alto che davvero faccia la vita bella e buona. Fortunatamente abbiamo degli esempi di segno contrario che ci spronano alle cose alte e a una gioia vera. Al concludersi del centenario della nascita di santa Gianna Beretta Molla, vogliamo raccontare la sua vita e quella di altre tre donne coraggiose, anzi eroiche. Mamme che nel sacrificio e nella rinuncia hanno saputo donarsi e donare amore e vita. La loro esistenza terrena è finita troppo presto, ma continuano a dare frutto anche oggi.
Gianna Beretta nasce il giorno di san Francesco del 1922 da papà e mamma entrambi terziari francescani. Una famiglia ricca di fede e di figli, ben tredici, di cui due diventeranno missionari in India e Brasile e uno sacerdote diocesano. Cresce con un grande amore alla santa Comunione e molto attiva nell’Azione Cattolica. Ma era anche una ragazza piena di voglia di vivere che amava la montagna, lo sci e l’alpinismo, cosa all’epoca non così scontata come oggi specie per una ragazza, ancor più se consideriamo che Gianna aveva affrontato sin da piccola diversi problemi di salute. Ormai quasi donna, mentre studiava medicina si interrogava, pregando, su quale fosse la sua strada nella vita. Fra i suoi appunti leggiamo: «Tutte le cose hanno un fine particolare. Tutte obbediscono a una legge: le stelle seguono la loro orbita, le stagioni si seguono in modo perfetto. [...] Tutti gli animali seguono un istinto naturale. Anche a ciascuno di noi Dio ha segnato la via, la vocazione, oltre la vita fisica, la vita della grazia... Dal seguire bene la nostra vocazione dipende la nostra felicità terrena ed eterna...» [1].
A un certo punto voleva seguire il fratello padre Alberto in missione in Brasile, ma data la sua costituzione gracile il padre spirituale la sconsigliò. E poco dopo, proprio il giorno dell’Immacolata,
l’8 dicembre del 1954, incontrò Pietro Molla, un giovane uomo anche lui saldo nella fede, che lavorava in una grossa fabbrica come dirigente e per cui provò subito grande affetto. Il Signore le mostrava la sua vocazione. E in meno di un anno, nel settembre del ’55, il grande amore sbocciò nel matrimonio e poi negli anni successivi in tre figli. Oltre a una vita di intensa preghiera familiare, ai doveri di brava mamma, Gianna metteva tutto il suo impegno nella professione di medico pediatra, spendendosi soprattutto per le famiglie più povere. Insomma parliamo di una donna dalle tante sfaccettature e che in ogni campo cercava di seguire Gesù.
Alla fine dell’estate del ’61 un’altra bella notizia, la quarta gravidanza, si trasforma nell’inizio del suo calvario personale. Infatti scopre subito dopo di avere un fibroma uterino. L’operazione di rimozione chirurgica è fattibile ma per effettuarla in modo integrale si metterebbe a rischio la vita della bimba che porta in grembo. Gianna chiede fermamente al chirurgo di fare solo quello che è possibile senza danneggiare la piccolina, anche a costo di mettere a rischio la sua futura salute. E così avviene. Sembra che tutto sia andato bene sul momento ma la sua salute ne risente: il 21 aprile del 1962 dà alla luce con un complicato parto cesareo Emanuela Gianna (una figlia meravigliosa che ancora oggi si può incontrare alla testa delle manifestazioni per la vita in Italia) e poche ore dopo rimane vittima di una peritonite settica con febbre altissima e terribili dolori addominali. «Gianna ha rifiutato ogni calmante [...] per essere lucida nel suo rapporto con il suo Gesù, che costantemente invocava», ricorda madre Virginia, sua sorella e suora missionaria in India che provvidenzialmente si trovò al suo fianco in quei giorni. «Sapessi quale conforto ho ricevuto baciando il tuo crocifisso! Oh, se non ci fosse Gesù che ci consola in certi momenti!», le disse Gianna. La situazione andò peggiorando e in pochi giorni Gianna Beretta Molla si spense, era il 28 aprile del ’62 e lei aveva 39 anni. Ma Gianna non ha lasciato solo un esempio di vero sacrificio per dare la vita a sua figlia, ha lasciato un’eredità spirituale e due miracoli inspiegabili scientificamente che hanno salvato dei bambini nel 1977 e nel 2000. Così nel 2004 è anche arrivata sugli altari, santa, con suo marito ancora vivo a piazza San Pietro a celebrarla.
Chiara Corbella è una bella ragazza romana nata nel 1984, sin da piccola abituata ad una intensa vita di fede. A 18 anni durante un viaggio conosce un ragazzo, di cinque anni più grande, che stava facendo un ritiro con la sua comunità, Enrico Petrillo. Sono ragazzi di oggi, figli di una società in cui è più difficile discernere la volontà di Dio. Si fidanzano poco dopo l’incontro ma ci mettono sei anni a sposarsi, anni per Chiara difficili, puntellati da rotture e discussioni, ma che alla fine maturano in un cammino di fede serio con i francescani di Assisi e poi nel matrimonio avvenuto nel 2008. Arriva la prima gravidanza ma le ecografie mostrano che la bimba – chiamata Maria Grazia Letizia – ha una anencefalia. I due coniugi non permettono che la piccolina venga abortita nonostante la grave malformazione, e la creatura nasce il 10 giugno 2009 e muore poco dopo, battezzata. Dice Chiara: «Il momento in cui l’ho vista è stato un momento che non dimenticherò mai: ho capito che eravamo legate per la vita. Non pensavo al fatto che sarebbe stata poco con noi. È stata una mezz’ora indimenticabile. [...] Quello che voglio dire alle mamme che hanno perso dei bambini è questo: noi siamo state mamme, abbiamo avuto questo dono. Non conta il tempo: un mese, due mesi, poche ore... conta il fatto che noi abbiamo avuto questo dono». Il funerale, un tempo sarebbe stata una Missa de angelis [2], è una festa luminosa in cui i genitori suonano strumenti per la musica liturgica. Un dolore immenso si trasforma in una lode al Signore.
Nei mesi successivi si ripete una vicenda simile, che riportiamo secondo la biografia ufficiale di Chiara: «È nuovamente incinta. A questo bambino, cui verrà dato il nome di Davide Giovanni, viene però diagnosticata una grave malformazione viscerale alle pelvi con assenza degli arti inferiori. Anche lui morirà poco dopo essere nato, il 24 giugno 2010. E anche il suo funerale sarà vissuto come una festa». Chiara dice che il Signore «ci ha chiesto di accompagnarli soltanto fino alla nascita, ci ha permesso di abbracciarli, battezzarli e consegnarli nelle mani del Padre in una serenità e una gioia sconvolgente».
Il dubbio nei due genitori è di avere qualche malattia genetica trasmissibile, ma appurano che non è così e anzi arriva un terzo bambino questa volta sano. E quando tutto sembra parlare di gioia arriva la prova più grande: una settimana dopo aver scoperto la gravidanza, Chiara si accorge di una lesione sulla lingua. È un carcinoma e la giovane mamma permette solo che si faccia un preintervento per asportare la massa, lasciando il resto dell’operazione a dopo che il piccolo Francesco sia nato, per non metterlo in pericolo. Ma così ipoteca la sua stessa vita, persino opponendosi all’induzione di un parto precoce per curarsi: «Per la maggior parte dei medici Francesco era solo un feto di sette mesi. E quella che doveva essere salvata ero io. Ma io non avevo nessuna intenzione di mettere a rischio la vita di Francesco per delle statistiche per niente certe che mi volevano dimostrare che dovevo far nascere mio figlio prematuro per potermi operare», testimonia Chiara. Un coraggio davvero fuori dal comune. Il piccolo nasce a fine maggio 2011 e «il 3 giugno, con lo stesso ricovero del parto, Chiara affronta la seconda fase dell’intervento iniziato a marzo. Tornata a casa, non appena le è possibile comincia chemioterapia e radioterapia ma il tumore si estenderà comunque a linfonodi, polmoni, fegato e persino all’occhio destro, che Chiara coprirà con una benda per limitare le difficoltà visive. [...] Nelle settimane che seguono, trascorse insieme a suo marito in disparte e lontano dalla città,
[...] Chiara si prepara all’incontro con lo Sposo. [...] Muore a mezzogiorno del 13 giugno 2012, dopo aver salutato tutti, parenti ed amici, uno a uno».
Anche il suo funerale è una porta verso il Cielo e non un’esaltazione dei ricordi terreni. Il coraggioso cammino di Chiara è stato percorso, sotto il peso della croce, anche dal marito Enrico che da vero coniuge l’ha accompagnata verso il Golgota e poi alla risurrezione e oggi al mondo testimonia la fede di sua moglie in incontri e catechesi.
Mariacristina Cella, nata nel 1969, sin da piccola mostra una fede non comune e oltre a fare la catechista frequenta le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret e le Figlie di Maria Ausiliatrice, pensando anche alla vocazione religiosa. Nel 1985 però conosce un altro ragazzo di fede salda, Carlo Mocellin: nasce un grande amore, dolce e inebriante come gli amori adolescenziali ma fondato sulla roccia di Cristo. Presto questo amore si deve confrontare con un sarcoma che la colpisce a una gamba a soli 18 anni. La ragazza riesce a curarsi e poi sposa Carlo nel 1991. Subito arrivano due figli, Francesco e Lucia. La vita sembra procedere nella più grande gioia quando arriva la terza gravidanza ma, poche settimane dopo, il tumore alla stessa gamba si ripresenta e Mariacristina, supportata da Carlo, decide di fare solo quei trattamenti che non danneggiano il nascituro. Riccardo, così lo chiamano, nasce nel luglio 1994, ma la sua mamma, dopo mesi dolorosi di cure ormai inutili, muore nell’ottobre del 1995 a soli 26 anni. Nel 2021 papa Francesco ha autorizzato il decreto con cui è stata dichiarata venerabile.
Chiudiamo questa panoramica con Emilia Kaczorowska, la madre di Giovanni Paolo II, il papa che ha riportato un po’ di ordine nella chiesa dopo i catastrofici anni del post-Concilio e che ha contribuito alla sconfitta del comunismo. Un papa forte nato da una donna gracile, di salute inferma, ma coraggiosa. Il 26 marzo 1884 Emilia nasce a Cracovia, quinta di tredici figli. A febbraio del 1906 sposò Karol Wojty?a (padre del papa) ed ebbe negli anni successivi due figli, il primo Edmund, nato sano, e la seconda Olga, morta dopo un parto difficile che minò ulteriormente il fisico di Emilia. Quando nel 1919, a 35 anni, si presenta una nuova gravidanza, il medico le dice: «La tua gravidanza è seriamente a rischio e non c’è possibilità di portarla a termine o di avere un bambino vivo e rimanere in buona salute». Ma Emilia risolutamente decide di non abortire. Nasce il futuro papa Giovanni Paolo II ma la salute della mamma peggiora ancor di più, eppure, come ricorda la sua amica Maria Janina, Emilia «non parlava mai dei suoi disturbi e riusciva sempre a tenere un sorriso dolce e sereno sulle labbra, anche nei momenti di maggior sofferenza». Il piccolo Karol cresce con l’esempio di una madre che in modo eroico si sacrifica ogni giorno nel fare le faccende di casa e nell’aiuto al coniuge, una santità familiare che lo ispirerà anche nella sua battaglia per la difesa della famiglia cattolica. Nel 1929 Emilia si spegne, ma lascia la sua luce nel cuore di un bambino di 9 anni che qualche decennio dopo avrebbe cambiato il mondo. «Sulla tua tomba bianca fioriscono bianchi fiori della vita», scrisse Karol in una poesia molti anni dopo, commemorandola.
Cosa ci insegnano queste storie?
Primo: che fare il proprio dovere di stato ogni giorno – cucinare, educare i figli, pulire la casa, cucire un abito – è già santificarsi.
Secondo: che alle volte il Signore ci chiede di più e permette che la malattia o il dolore ci colpiscano e in queste situazioni un’anima cristiana può trovare occasione di salire ancora più in alto e offrire un amore eroico che lascia una scia di bene inarrestabile.
Terzo: Chiara, Gianna, Mariacristina, Emilia sono stati baluardi della famiglia in un’epoca in cui questa è sotto attacco. Non hanno scritto libri, leggi o trattati, hanno vissuto, e la loro vita era già battaglia contro il male.
Quarto: queste donne sono felici, nonostante quello che hanno passato, felici e realizzate. Su questo riflettano le ragazze che oggi cercano un modello a cui ispirarsi, sarà facile comparare queste quattro eroine alle tante attrici, cantanti e modelle che saturano i media. Figure queste ultime invece effimere che balzano da un amorazzo all’altro, da un divorzio al successivo, passando spesso per aborti, droghe, depressioni, scandali, e finendo qualche volta suicide. Da un lato insomma vediamo una felicità conquistata con il coraggio, dall’altro una infelicità già in questa vita – e poi eterna – comprata con la moneta dei piaceri e della fama, piaceri e fama che presto, molto presto, passano. Mentre le nostre quattro eroine rimangono eternamente giovani.
Note
1) Santa Gianna Beretta Molla, Quaderno dei ricordi durante i santi esercizi, 1944-1948.
2) Nel rito antico si tratta di una Messa votiva in memoria dei bambini battezzati deceduti prima dell’uso della ragione e che quindi non hanno bisogno di suffragi, essendo già certamente in Paradiso.