SPIRITUALITÀ
21 luglio | San Lorenzo da Brindisi
dal Numero 28 del 16 luglio 2023
di Paolo Risso

«La grazia è un dono che rende l’uomo simile a Dio, come la luce rende la luna simile al sole. Ed è una grande e meravigliosa cosa la somiglianza divina, che l’uomo sia simile a Dio. Dio solo, infatti, è l’essere di maestà, autorità, potenza, sapienza, bontà, clemenza e liberalità infinita. E nel mondo non v’è niente che l’uomo desideri più di questa divina somiglianza». 

L’Europa era scossa dalla rivoluzione di Lutero che stava separando le terre del nord dalla Chiesa Cattolica. Le guerre si succedevano alle guerre, i saraceni scorrazzavano sulle coste e penetravano nell’entroterra, puntando a soppiantare il Cattolicesimo con l’islam. C’era bisogno di militi, di combattenti, di condottieri. Il Concilio di Trento, i santi che pure fiorivano, primo tra i quali il santo papa Pio V, promuovevano un Cattolicesimo militante.

Giulio Cesare?

In questo clima, nel 1559, a Brindisi, nella famiglia dei signori Russo, nacque un bellissimo bambino, che al Battesimo venne chiamato Giulio Cesare. Era molto impegnativo essere chiamato con il nome del fondatore dell’impero di Roma. Ma i suoi genitori non intendevano né pensavano che il piccolo, crescendo, emulasse il grande politico e militare. Sicuramente però, senza saperlo, furono “profeti”: mutato nome e abito, il loro Giulio Cesare sarebbe stato davvero un grande condottiero per la “causa” di Gesù Cristo.
Impugnando una grande croce di legno, egli diventerà l’animatore degli eserciti di Filippo Emanuele di Lorena, impegnati a bloccare l’avanzata dei saraceni che puntavano a impadronirsi di Vienna, una delle prime capitali dell’Europa cattolica.
La Puglia, dove era nato Giulio Cesare Russo, con i suoi numerosi chilometri di costa era spazio favorevole per le continue scorribande dei saraceni, che avevano la loro base in Albania. Queste scorribande segnarono in profondità la vita della famiglia Russo. Per liberarsi della vita di terrore provocata dalle loro invasioni, dalle ruberie e dalle violenze di quei predoni, la madre del bambino, rimasta presto vedova, lasciò la Puglia e si sistemò a Venezia dove vivevano dei loro parenti e la vita era tranquilla e sicura.
A Venezia, il giovanissimo Giulio Cesare, che cresceva educato nella fede cattolica, si sentì chiamato da Gesù a consacrarsi a Lui sulle orme di san Francesco d’Assisi, che, nonostante il paganesimo del cosiddetto “rinascimento”, attraeva ancora la gioventù alla “sequela” di Cristo: il ragazzo ci provò dapprima tra i Conventuali, ma non si trovò a suo agio. Lui cercava una vita religiosa con tutta la passione, l’austerità e la gioia intensa di appartenere solo a Gesù Cristo. Entrò pertanto tra i Cappuccini, un movimento di frati i quali da alcuni decenni avevano attuato nell’Ordine Francescano una vera riforma per vivere nello spirito delle origini con lo stile autentico di san Francesco. Così, meno che ventenne, Giulio vestì il saio cappuccino di ruvido panno e l’ampio cappuccio e diventò “fra Lorenzo da Brindisi”.

Padre Lorenzo
Dopo la vestizione, fu novizio a Verona. Seguirono i primi voti, poi gli studi teologici nel suo convento e all’Università di Padova per “addottorarsi”. La sua intelligenza si apriva a una conoscenza straordinaria dell’uomo e di Dio, della nostra fede cattolica che lui sentiva di dover difendere dagli attacchi del protestantesimo e dell’umanesimo pagano. Si impadronì di una vasta crescente cultura e imparò a parlare diverse lingue.
A 23 anni fu ordinato sacerdote e subito si impose per esemplarità di vita, dottrina e capacità di governo. Percorse tutti i gradi della gerarchia nell’Ordine dei Frati Cappuccini, fino a diventare nel 1596, a soli 37 anni, Definitore generale. Presto, come chiunque poteva notare, religioso in vista per la sua singolare autorevolezza, si impose in diversi settori e in molteplici compiti della Chiesa. Prima di tutto fu “padre Lorenzo” nella direzione e santificazione delle anime, poi assurse, per volere della Chiesa, a mansioni di primissimo piano. 
Come san Francesco e i suoi seguaci della prima ora, era mobilitato da un ardente incontenibile amore a Gesù. Per amore suo, si fece missionario e intrepido lottatore in difesa della verità del Cattolicesimo contro eretici di ogni risma. “Padre delle anime”, che voleva a tutti i costi salvare dalla morte eterna. Le sue “missioni” ebbero risonanza in tutta Europa: per mezzo di lui era Gesù e la sua Chiesa che parlava e chiedeva obbedienza.
Nel 1599, il papa Clemente VIII lo mandò a predicare una grande missione a Praga, poi a Budapest e in tutta l’Ungheria. La popolazione, in gran parte ribelle alla Chiesa Cattolica, e in quegli anni sotto l’imperversare della peste, dapprima lo osteggiò fortemente, poi fu conquisa dalla sua santità e dalla sua dottrina, dalla sua pedagogia nel guidare a Gesù e alla Chiesa le anime che lo ascoltavano. Si guadagnò così anche la stima e la venerazione dei principali ministri dell’impero e perfino degli eretici.
Padre Lorenzo da Brindisi diventò notissimo quando nel 1601, regnante ancora il papa Clemente VIII, presso Albareale (Székesfehérvár), in Ungheria, realizzò prodigi di valore e di sacrificio nella guerra contro i turchi che abbiamo citato all’inizio. Rianimando i soldati cattolici sfiduciati, e suggerendo agli stessi ufficiali dei coraggiosi e azzeccati progetti di battaglia, portò un contributo decisivo alla vittoria sui turchi. Questo contributo gli fu riconosciuto dal rappresentante dell’imperatore che lo definì “il miglior soldato dell’esercito [miles optimum imperii!]”.

Difensore della fede
Padre Lorenzo tornò di nuovo a Praga nel 1606: lo aveva invitato l’imperatore per confutare i protestanti guidati da Leiser, predicatore al servizio dell’elettore di Sassonia, Cristiano II. Lorenzo, forte nella dottrina cattolica e nell’amore a Gesù, confutò Leiser fino all’ultimo argomento, arrivando a sfidarlo persino in una pubblica disputa. Il predicatore protestante, impaurito da quel “pugile” della fede, non si presentò. A questo punto, padre Lorenzo, per non lasciare nulla di intentato per salvare quelle anime cadute nell’eresia, raccolse le sue argomentazioni in un libro che intitolò Lutheranismi Hypotyposis, una totale confutazione di tutto il luteranesimo.
Quando ormai era più che mai abile nella diplomazia, il papa Paolo V lo scelse come rappresentante della Santa Sede presso le corti di Spagna e di Baviera. Quando la sua “carriera” sembra al culmine, sempre segnata dall’amore a Cristo e dal sacrificio per Lui, nel 1613 rientrò in Italia, dove ancora una volta fu confermato Definitore dell’Ordine Cappuccino.
Viaggiava verso Brindisi, la sua terra d’origine, quando si riammalò di gotta che da anni lo faceva soffrire. Fu costretto a fermarsi a Napoli, ma i napoletani approfittarono della sua presenza in città per eleggerlo loro ambasciatore presso Filippo III di Spagna con il compito di protestare contro il mal governo del viceré spagnolo... Superando con abilità le insidie che gli poneva il duca di Osuna, colpevole dei guai patiti dai napoletani, san Lorenzo riuscì a partire dal piccolo porto di Torre del Greco. In breve raggiunse Genova, dove si imbarcò, con immane coraggio, per Lisbona, dove in quel momento si trovava Filippo III.
Iniziò subito le trattative, ma la sua salute peggiorò in modo irreversibile, e il 22 luglio 1619, all’età di 60 anni (era anziano per il suo tempo!), l’intrepido Cappuccino andò incontro a Dio. Nel 1881, il papa Leone XIII lo ascrisse tra i santi. Nel 1959, a 400 anni dalla sua nascita, il Santo Padre Giovanni XXIII lo onorò con il titolo di Dottore della Chiesa. Si chiamava Giulio Cesare, ma per fortuna e per grazia di Dio, non era stato né uguale né simile al generale di Roma (100-56 a.C.), ma un grande condottiero di Cristo – e delle anime a Cristo –, questo sì, lo era stato dall’Italia alle più diverse vie d’Europa. Condottiero e apologeta della fede. Ci servono uomini così, anche oggi. 

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