FEDE E SCIENZA
La missione del tiglio
dal Numero 25 del 25 giugno 2023
di Antonio Farina

Partendo dalla botanica e dalla farmacologia vegetale, persino la pianta del tiglio ci consente di esaltare Dio Creatore e Ordinatore del cosmo e della natura, e lodare il Redentore che con la sua santa Croce, vero albero della vita, ha salvato il genere umano nell’inverno spirituale del peccato.

Nel grande disegno della Creazione, Dio Onnipotente ha generato ogni forma di vita. 
Rifulge ai nostri occhi la bellezza e l’eccellenza dell’essere umano creato a “immagine e somiglianza” di Dio stesso (cf Gn 1,26) e dotato di una dignità che supera di gran lunga quella di ogni altro essere da Lui plasmato. Il Signore della vita ha fatto bene ogni cosa e ha chiamato all’esistenza anche le innumerevoli forme di vita vegetale e animale che popolano la terra. Cosicché la terra è diventata “il pianeta della vita”. Tutto è stato poi assoggettato all’uomo: «E Dio disse: “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno [...]. Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno» (Gn 1,11ss). 
C’è una pianta in particolare, un albero, nel quale appare con meravigliosa evidenza il decreto del Creatore: il tiglio. 
I tigli sono quegli alberi dalla grande chioma e dai fiori odorosissimi che punteggiano viali, giardini, parchi segnando con il loro profumo il pieno della stagione estiva. La botanica ci aiuta ad identificarli: tilia, genere di piante arboree o arbustive della famiglia delle Malvacee, originarie dell’emisfero boreale. Il nome del genere deriva dal greco ?????? (ptilon) “ala”, per la caratteristica forma della foglia che facilita la disseminazione anemocora dei frutti. Si tratta di alberi di notevoli dimensioni, hanno una vita lunga (arrivano fino a 250 anni o più) e sono dotati di un apparato radicale espanso e profondo. Possiedono tronco robusto, con corteccia dapprima liscia poi, più in alto, segnata da screpolature longitudinali. In Europa esistono tre tipi di tiglio: la tilia cordata, la tilia platyphyllos e la tilia vulgaris, quella più diffusa, che nasce dall’ibrido tra le prime due [1] Quando è lasciato libero di crescere e prendere la sua forma, il tiglio sviluppa una chioma di forma simil-conica che spesso ricorda un cuore rovesciato. La medesima forma cardioide si manifesta nella foglia, dalla consistenza morbida e delicata. 
Le piante di tiglio risalgono al XVI secolo. Anche nella mitologia greca il tiglio è stato sempre simbolo di accoglienza e di amore. I poeti hanno cantato la sua grazia e la pace che sa portare nel cuore dell’uomo: qualità confermata dalle proprietà mediche dei suoi fiori, che da molto tempo sono utilizzati in tisane per alleviare raffreddore, tosse e stati d’ansia. Le donne delle campagne europee hanno sempre fatto tesoro di questi fiori dal profumo intenso che nel mese di giugno e luglio si aprono in innumerevoli ombrellini gialli e verde chiaro. Per celti e germani il tiglio era importante anche perché lo strato interno della sua corteccia (libro) forniva le fibre con le quali si tessevano abiti. Come pianta medicinale, nella farmacopea ufficiale vengono utilizzati i fiori (tiliæ flores) per la presenza del glucoside tiliacina, di tannini e mucillagini. È raccomandata, sempre sotto consiglio medico, l’assunzione di infusi e tisane a base di corteccia e foglie essiccate. Si trovano in commercio anche preparati come gli estratti e le tinture dotate di proprietà antianemiche e antinfluenzali. Ricco di vitamina C, il tiglio previene i malesseri invernali, favorisce l’assorbimento del ferro e ha la capacità di abbassare la pressione sanguigna. 
Più comunemente è utilizzato come antipiretico: abbassa la febbre perché favorisce la sudorazione durante l’attacco febbrile; come sedativo in caso di ansia, tosse e insonnia, grazie ai principi attivi che hanno azione rilassante sul sistema nervoso; è ottimo anche come espettorante perché svolge un’azione emolliente, antinfiammatoria e mucolitica grazie al ricco complesso di flavonoidi e mucillagini, in particolare per la tosse grassa; antispasmodico: indicato soprattutto in caso di intestino irritabile; cicatrizzante: grazie ad una sostanza contenuta nelle foglie, applicate sotto forma di cataplasmi in caso di piccole ferite [2]
Notissimo è il miele del tiglio che possiede un caratteristico colore oro, una consistenza sciropposa e cristallina e ha diverse proprietà che derivano da quelle della pianta stessa, per cui svolge un’azione rilassante e calmante, favorisce il sonno, calma la tosse e il mal di gola, ed è un protettivo del fegato. Come calmante della tosse si può usare il miele disciolto in un bicchiere di latte caldo con una testa d’aglio pestato, da sorbire lentamente. 
Naturalmente, come per tutti i farmaci, anche per quelli di origine naturale esistono delle controindicazioni. Se ne sconsiglia l’uso ai cardiopatici, alle donne in gravidanza e in fase di allattamento. Sono stati riportati casi di dermatiti e reazioni anche gravi in chi è allergico ad uno dei suoi principi attivi. Ad alte dosi può avere effetti lassativi. 
Se queste sono le proprietà farmacologiche del tiglio, ancor più apprezzabili sono le sue funzioni nell’interdipendenza tra piante e animali. Infatti le piante e gli animali intessono spesso relazioni reciprocamente vantaggiose. Nel 1879 il micologo tedesco Heinrich Anton de Bary definì la simbiosi come una “convivenza di organismi diversi”. Oggi il significato è stato allargato anche all’interazione biologica tra diversi organismi che può essere di natura mutualistica, parassitaria e perfino “commensalistica”, ossia le piante e gli animali si aiutano reciprocamente nella nutrizione. 
In questo senso il tiglio si rivela un vero e proprio “benefattore vegetale”. Infatti in primavera si riveste di rigoglioso fogliame attingendo dal terreno le sostanze nutritive e sfruttando la luce solare per la fotosintesi. In estate genera infiorescenze “a corimbo” erette e pendule, composte da 4/12 fiori gialli delicatissimi e ricolmi di polline e nettare dal profumo così intenso e penetrante da attirare nugoli di api anche a decine di chilometri di distanza. Tutti gli insetti impollinatori – bombi, vespe, calabroni e moscerini – fanno festa fra i suoi rami rubando alle api il prezioso nettare. In tal modo la pianta “assolve” un duplice compito: quello di ottenere la fecondazione degli stami per la produzione dei frutti, e quella, molto “altruistica”, di soddisfare la fame di nettare di moltissimi insetti. 
In ottobre spuntano grappoli di frutti sotto forma di “capsule piriformi” contenenti semi di color bruno. A questo punto avviene qualcosa di veramente unico: all’arrivo dei primi freddi il tiglio non si spoglia affatto delle foglie e dei frutti come fanno gli altri alberi, ma conserva per tutto l’inverno il suo aspetto estivo. Anche sotto abbondanti nevicate le foglie rimangono verdi, i frutti si ricoprono di ghiaccio ma restano pervicacemente al loro posto. La chioma si trasforma così in una specie di “igloo” che spunta dal suolo. In alcune zone pianeggianti l’unica cosa che affiora dal terreno innevato è il tiglio. Allora gli uccellini, i passerotti, i pettirossi, le piche, i colombi, i piccioni selvatici e tutti gli uccelli stanziali che non lasciano il territorio per le migrazioni si rifugiano tra i suoi rami fronzuti e si cibano dei frutti ancor pieni e maturi. Queste creature devono letteralmente la loro sopravvivenza al tiglio che funge da rifugio e “mensa comune” per una miriade di uccelli. Ma a cosa si deve questo “comportamento” così singolare del tiglio? La risposta è che esso è perfettamente innestato nel meraviglioso ecosistema naturale pensato e realizzato da Dio per il sostentamento di tutte le creature. In definitiva il tiglio, a modo suo, vive e lascia vivere comportandosi come uno strumento della provvidenza divina. 
Tale argomentazione “creazionista” non convince tutti. Dinanzi a questa singolare generosità che rende il tiglio un elemento unico nel variegato panorama botanico, molti studiosi si sono domandati se esistesse una spiegazione più “triviale”. Secondo il biologo inglese Richard Dawkins [3], autore nel 1976 del saggio Il Gene egoista, il ciclo biologico di piante e insetti che si comportano come “benefattori” di altre specie altro non sarebbe che il riflesso di un “egoismo del DNA” il quale cerca di trasmettersi nella generazione futura. La tesi di Dawkins è stata da molti definita “riduzionismo genetico”; Dawkins propone di spostare l’attenzione dall’individuo all’elemento che rende possibile la trasmissione dei caratteri ereditari, che oggi sappiamo essere il gene. 
Il pensiero di questo scienziato, la sua “esegesi” della realtà naturale travalica il mondo vegetale-animale e deborda (in modo devastante) nell’antropologia. Egli stesso chiarisce le sue tesi; l’argomento centrale, intorno a cui ruota tutto il libro, è così riassunto: «Noi siamo macchine da sopravvivenza, robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste note sotto il nome di geni. Questa è una verità che non cessa mai di stupirmi e, anche se la conosco da anni, non riesco mai ad abituarmici del tutto» (p. VIII). 
Come si può notare da questa frase di apertura – anche se il libro intende esporre contenuti essenzialmente scientifici, e non vuole entrare esplicitamente nell’ambito filosofico –, le convinzioni dell’Autore esprimono una visione materialista e meccanicista dell’intera natura e dell’uomo stesso. Per questo motivo le opere di Dawkins hanno riscosso molto successo presso intellettuali e circoli culturali di orientamento ateistico [4]. Questo mutamento di prospettiva nella teoria dell’evoluzione, dall’individuo al gene, permette, secondo Dawkins, rendersi conto di alcuni fenomeni osservati nel mondo animale, e che sembrano andare contro la legge della sopravvivenza del più adatto. Attività di cooperazione, solidarietà familiare, comportamenti altruistici fino al punto che un animale mette a repentaglio la propria vita a favore di altri individui della sua specie hanno portato alcuni a ritenere che, almeno in certi casi, l’evoluzione operi per il bene della specie e non dei singoli individui che la compongono. È proprio contro questa interpretazione dell’evoluzione che si indirizzano le argomentazioni di Dawkins, volte a dimostrare come le manifestazioni di altruismo osservate negli animali trovino una spiegazione diversa se si sposta l’attenzione sui geni anziché sugli individui. In tal modo possiamo comprendere, ad esempio, il vero motivo per cui l’ape può sacrificarsi attaccando col proprio pungiglione gli animali che minacciano di razziare il miele: questo comportamento appare difficile da spiegare nell’ottica del bene dell’individuo, poiché l’ape dà la vita per una risorsa di cui potranno usufruire solo le altre componenti del suo gruppo, e si potrebbe pensare che essa stia operando per il bene dell’alveare. In realtà ciò avviene perché il gene che ha predisposto tale comportamento ha maggiore probabilità di propagarsi nelle generazioni rispetto ad un eventuale gene che la invitasse ad evitare l’atto suicida [5]. In altri termini l’altruismo sarebbe solo uno stratagemma di facciata per raggiungere lo scopo individualistico di massimizzare le probabilità di riprodursi. 
Nel caso del tiglio la schiera di volatili che si nutrono dei frutti invernali digeriscono solo la parte mielosa della bacca lasciando inalterati i semi, cosicché i loro escrementi li diffondono nel terreno anche in zone lontanissime dalla pianta madre. In tal modo il “gene egoista” del tiglio anche senza l’aiuto del vento disseminerebbe se stesso in prati, valli, boschi e monti. 
Questa spiegazione riduzionista non è scevra di critiche ed è bene osservare che ipotesi di questo tipo non sono accettate da tutti gli scienziati con la stessa radicalità con cui le utilizza Dawkins. Critici del riduzionismo genetico si sono dichiarati, tra gli altri, il celebre paleontologo Stephen Jay Gould e il microbiologo Richard Lewontin. Ci si domanda infatti come mai altre specie diffusissime come il grano, i cereali, le fruttifere, i rovi, le rose e tutti i fiori che in inverno vanno in letargo e dormono non hanno adottato la medesima strategia, se è così utile alla riproduzione. 
Nel paradigma del “riduzionismo metodologico” rimane pertanto un enigma il “meccanismo” generoso adottato dal tiglio che implica anche “sacrificio e abnegazione”. Spesso il peso della neve spezza i rami, rovina la chioma che perde la forma di cuore, il gelo fa soffrire le foglie verdi, i frutti sono quasi lignificati... il tiglio viene fuori dall’inverno malconcio e danneggiato. Se volessimo umanizzarlo si potrebbe dire che esso sopporta con pazienza, si sacrifica, offre riparo e nutrimento a tutti gli animaletti che lo visitano. La natura ancorché minata dalla corruttibilità e affetta dalle conseguenze del peccato al punto che, dice san Paolo, «geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,18), reca ancora impresse le perfezioni del Creatore che in modo ineffabile e misterioso ha impresso anche nel tiglio un segno chiaro della sua Paternità universale... «Tu provvedi loro il cibo a suo tempo. Tu apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente» (Sal 144,15). 
Una scienza che non ammetta l’esistenza di Dio non solo è falsa e fuorviante ma è anche paradossale. I geni altro non sono che sequenze di molecole organiche e di atomi che codificano per la costruzione di proteine all’interno delle cellule. Esistono geni per i capelli neri o per i denti bianchi... voler convincere la gente che i geni possiedano una loro identità autonoma, un loro “io” egocentrico che li spinge a “voler” essere immortali è come voler convincere le persone che un ferro da stiro possieda un’anima. Il trattato di Dawkins pertanto è – senza offesa – semanticamente paragonabile alla filastrocca Jabberwocky recitata da Alice ad Humpty Dumpty in Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò: «Era brillosto, e i tospi agìluti facean girelli nella civa» [6], sembra dire qualcosa ma in realtà non dice niente: è un “non sense”. 
Dawkins ha mietuto riconoscimenti, raccolto allori, onori, premi, titoli accademici perfino, ma questi non provano la veridicità del suo pensiero. Oltre che offensive per la figura di Dio, le tesi aberranti di Dawkins suonano offensive anche per la nostra intelligenza perché in definitiva egli sostiene che è preferibile credere che un ferro da stiro senta, pensi e agisca piuttosto che credere in un Dio Creatore e Ordinatore del cosmo. Rinnegare Dio, dubitare della sua esistenza non è mai stato un buon affare per il genere umano. Dio è dispiaciuto per il voltafaccia ateistico del mondo: «Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire; Israele, se tu mi ascoltassi! Non ci sia in mezzo a te un altro dio e non prostrarti a un dio straniero» (Sal 80,9). Soprattutto se questo dio straniero ha le sembianze indefinite, confuse e un po’ conturbanti del “caso”... un idolo euristico che usurpa la gloria di Dio.
La vera scienza, al contrario, svela il volto paterno di un Artefice, di un «consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5), la cui gloria si riflette nelle cose e nei viventi. Egli ci affascina, ci ammalia, ci attira a sé con vincoli d’amore. 
I dogmi del materialismo ateo che attribuiscono ad un “orologiaio cieco” (sempre il caso) la meravigliosa completezza e mutualità della natura rimangono confusi e disorientati dinanzi al sacrificio eroico dell’ape guerriera come davanti a questo umile alberello che riflette così chiaramente la provvidenza di Dio. Il tiglio d’inverno diventa l’albero della vita e si fa nutrimento, cibo e riparo per tante creature. Se si rimane così ammirati ed edificati dall’abnegazione del tiglio che è una semplice creatura vegetale, quanto più si dovrebbe ammirare, amare e contemplare con gratitudine il Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo che con la sua Passione, Morte e Risurrezione ha distrutto la morte ridando vita all’umanità intera. L’albero della Croce è il vero albero della vita e Gesù stesso si è fatto nutrimento, cibo e riparo per le nostre anime nella Santissima Eucaristia. 
Ecco che il tiglio visto sotto questa luce spirituale diventa un’immagine, un’icona, una metafora di una più elevata realtà. Nell’inverno del peccato Dio ha suscitato un Salvatore che ha fatto della Croce un albero di vita e concede i suoi frutti ai rinati nel Battesimo. Il Redentore ha riaperto le porte del Cielo ad una moltitudine di uomini per una ineffabile, nuova, eterna primavera di salvezza.

Note
1) Si veda:  HYPERLINK "https://blog.treedom.net/it/blog/post/i-segreti-del-tiglio-l-albero-del-cuore-175" https://blog.treedom.net/it/blog/post/i-segreti-del-tiglio-l-albero-del-cuore-175
2) Si veda: https://www.tuttogreen.it/tiglio-proprieta-utilizzi-benefici/-- Erika Facciolla14 Ottobre 2017
3) Richard Dawkins è nato a Nairobi nel 1941, ha conseguito la laurea e il dottorato ad Oxford, sotto la guida di Nikolaas Tinbergen. Per la sua opera di divulgazione scientifica ha ricevuto numerosi riconoscimenti: per L’Orologiaio Cieco si è aggiudicato, nel 1987, sia il premio della “Royal Society of Literature” sia quello del Los Angeles Times, e nel 1996 il premio “Humanist of the Year”.
4) Si veda: www.Disf.org: Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente.
5) Cf ibidem.
6) Traduzione di Masolino D’Amico, 1978.

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