SPIRITUALITÀ
«Io sono il Pane della vita» (Gv 6,35)
dal Numero 23 del 11 giugno 2023
di Candido Nepote

Nel gesto mirabile dell’istituzione del Sacramento eucaristico, Gesù compendia tutta la nostra fede, tutta la ragione della sua venuta in mezzo a noi: donarci una “vita” diversa, una “vita” nuova, che viene da Dio e a Lui conduce.

Il Corpus Domini è una delle più maestose e belle solennità dell’anno liturgico, ma, per chi crede, ogni giorno è Corpus Domini, perché ogni giorno ci è dato, volendo, di ricevere quel Pane unico che è Gesù stesso, il quale, solo al mondo, ci dà la vera vita, la vita che non tramonta. Ogni giorno, pertanto, la nostra esistenza di viandanti sulla terra deve raccogliersi attorno alla piccola Ostia che, essendo Gesù, è tutto, anzi è la nostra vita.
Cafarnao, cittadina sull’angolo nord-ovest del lago di Tiberiade: Gesù la scelse come seconda patria e vi svolse gran parte della sua missione. Si era vicini alla Pasqua ed era tempo di primavera, anno 29. Gesù si era recato sulla sponda orientale del lago, e la gente ammirata e incantata per quanto Lui diceva e per i prodigi che compiva, lo aveva seguito.
Gesù sedeva con i suoi amici su di un’altura verdeggiante che si specchiava nel lago e aspettava il grande incontro da Lui previsto in modo da farne echeggiare i secoli sino alla fine del mondo. Tutti i particolari, anche quello del prato con l’erba verde, sono riportati nel Vangelo.
Sapeva ciò che stava per fare
«Levati dunque gli occhi e vedendo che gran folla veniva a Lui, Gesù dice a Filippo: “Dove potremo comprare dei pani perché costoro possano mangiare?”. Però diceva ciò per metterlo alla prova, perché sapeva ciò che stava per fare» (Gv 6,1-6). Sì, lo sapeva per quell’ora e per tutte le ore della storia futura che sarebbero venute, segnate dalla sua presenza per sempre.
«Filippo gli rispose: “Duecento denari di pane non basteranno perché ognuno di loro né abbia un pezzo”. Uno dei discepoli, Andrea, il fratello di Simon Pietro, dice a Gesù: “C’è qui un ragazzino che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma che cos’è questo per tanta gente?”» (Gv 6,7-9). In ogni grande storia del Vangelo e della Chiesa c’è sempre un ragazzino, un piccolo prediletto da Dio, che collabora in modo singolare.
«Disse Gesù: “Fateli sedere”. C’era molta erba in quel luogo. Si sedettero, gli uomini, in numero di quasi cinquemila. Gesù allora prese i pani e rese grazie, li distribuì alla gente seduta; così fece anche con i pesci, finché ne vollero» (Gv 6,10-11). Grande prodigio, ma segno di un prodigio infinitamente più grande che Gesù ha in mente e che sarebbe durato per sempre.
La mia carne per la vita del mondo
Quella gente, esaltata dall’avvenimento, si mosse paurosamente verso Gesù, con l’intenzione di proclamarlo re: non avevano più dubbi che fosse Lui il Messia, l’Inviato di Dio, anche se il Messia se lo immaginavano a modo loro. Certamente, se il Messia fosse stato capace di dar da mangiare a tutti in quel modo, sarebbe stato un Messia davvero desiderabile.
Gesù ama quella gente, facile a entusiasmarsi ma onesta. Non vuole però che un atto di entusiasmo collettivo faccia pensare a un Messia “umanitario” e sia interpretato dall’autorità giudaica e romana come un inizio di rivolta. Si ritira allora con prudenza verso la collina, quindi di notte attraversa il lago e raggiunge la sponda occidentale. Il giorno dopo, la folla non trova più Gesù. Informata da qualcuno, essa sale sulle barche quasi tumultuando, e invade Cafarno “per cercarlo” (cf Gv 6,24), dice il Vangelo, con insistenza commossa. Gesù, ieri e oggi, nonostante tutto, è sempre il più ricercato.
Lui si fa trovare. Si fa trovare perché sta per dare l’annuncio del suo più grande dono all’umanità: se stesso, continuamente offerto in Sacrificio. Alcuni più coraggiosi gli chiedono: «Rabbì [Maestro], quando sei venuto qui?» (Gv 6,25). Come a dire: “Ma perché sei fuggito di notte, mentre noi volevamo soltanto farti nostro Re?”. Gesù è pronto all’incontro, e con uno dei suoi colpi d’ala, solleva quella gente dal desiderio di un regno terreno alla visione del suo Regno celeste. Inizia così lo stupendo discorso sul “Pane della vita”.
«Procuratevi non il nutrimento che perisce, ma il nutrimento che resta per la vita eterna, quella che il Figlio dell’uomo [Lui stesso] vi darà [...]. Io sono il pane della vita; chi viene a me, non avrà più fame, e chi crede in me, non avrà mai sete [...]. Perché la volontà del Padre mio è che chiunque vede il Figlio e crede in Lui, abbia la vita eterna, e io lo risusciti nell’ultimo giorno [...]. In verità in verità vi dico: chi crede in me, ha la vita eterna [...]. Io sono il pane vivo disceso dal cielo: se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno: e il pane che io darò, è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,27-51).
Continua Gesù: «In verità in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Poiché la mia carne è vero cibo, e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me, e io in lui. Come io vivo per il Padre, così anche chi mangia me, vivrà per me [...]. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51-58). Dopo il discorso di Gesù, scoppiano polemiche, anche aspre, fino al punto che altri discepoli da quel momento abbandonano Gesù e non vanno più con Lui.
Discorso della vita
Eppure non era la prima volta che Gesù aveva parlato di una “vita” diversa e nuova, di una vita che viene da Dio; di una vita che trasforma la nostra vita nell’arco breve e fulgente del nostro esistere terreno e poi la prolunga nell’eternità. Lo aveva detto nel colloquio cordiale con Nicodemo: «Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo» (Gv 3,3). Lo aveva annunciato alla samaritana che attingeva acqua al pozzo di Sichar: «L’acqua che io gli darò, diverrà in lui fonte zampillante per la vita eterna» (Gv 4,14). Poi, solennemente, nel Tempio di Gerusalemme: «Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole [...]. In verità in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non è sottomesso a condanna, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv 5,21.24). E ancora a Gerusalemme: Gesù, in piedi, disse ad alta voce: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura: Fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv 7,37-38). In una parola, Gesù afferma: “Io sono la rinascita, io sono L’acqua viva, io sono il Pane della vita, io sono la Vita nuova”. È la vita divina di Gesù stesso; è la grazia santificante che Gesù vuole che passi in noi. Tutto questo – che è la nostra elevazione all’ordine soprannaturale –, a cominciare dai sedicenti maestri della “nouvelle théologie”, il neomodernismo, è messo da parte, dimenticato, negato. Così la nostra fede cattolica è svuotata e ridotta a soli valori umani che non salvano nessuno né edificano il vero umanesimo dell’uomo redento.
Nel Cenacolo, l’ultima sera della sua vita terrena con gli amici, Gesù volle compiere il gesto inatteso che da solo compendia e realizza tutta la nostra fede: l’istituzione dell’Eucaristia. «Poi Gesù prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Questo è il mio corpo sacrificato per voi”. Similmente dopo la cena, prese il calice dicendo: “Questo è il calice del mio sangue, sparso per voi. Fate questo in memoria di me”» (Lc 22,19-20). Quella sera, l’annuncio di Cafarnao è divenuto realtà strepitosa e vivente. Gesù, realmente e sostanzialmente presente, nel Pane e nel Vino consacrati, con tutto se stesso, con la realtà del suo Sacrificio ripresentato ogni giorno nei secoli, e della comunione con la sua vita divina data a noi. Solo un Dio poteva inventare una realtà così.
Il gesto, sublime e affascinante, è avvolto in quel colloquio traboccante di volontà di “vita” che l’evangelista Giovanni, intimo di Gesù, ci ha conservato: «Io sono la vera vite [...]. Rimanete in me e io rimarrò in voi. Come il tralcio non può portar frutto da se stesso se non resta nella vite, così neppure voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,1.4-5). C’è come una cascata di vita che dal Padre si effonde nel Figlio Gesù, e da Gesù straripa in chi, credendo e amando, aderisce a Lui con il Battesimo, la Confessione e l’Eucaristia, “il Pane della vita”.
Noi, di vita conosciamo quella umana che viviamo. La quale affascina al sorgere e turba allo spegnersi. La vita fa riflettere e pone problemi senza fine. Gesù Cristo, l’uomo-Dio, sacrificato sulla Croce per noi e risorto il terzo giorno, ci introduce in un altro superiore universo di vita – l’universo soprannaturale, “le surnaturel”, quello vero! – mai scoperto da uomo, donatoci da Dio per la mediazione del Figlio suo. Una “vita” misteriosa e potente, realissima e inesauribile: la vita di Dio.
Vita che in Dio è, perché Dio è il Vivente. Vita che, attraverso Gesù, si riversa in noi come dono, come grazia, per usare la dolce parola antica. Ma sempre vita divina, partecipata, è vero, ma vita. Vita che ci fa ascendere di grado, dalla natura alla soprannatura, che ci inserisce nella famiglia dei figli di Dio (la Chiesa), nell’intimità di Dio. Il Cattolicesimo è proprio questo: vita di Dio in noi. Cristo è per noi la sorgente, la cascata, il fiume immortale.
Cristo non mi toglie nulla della vita che ho, ma la perfeziona, aggiungendo questa “nuova vita”. Perché non accogliere lo stupendo dono? Molti lo rifiutano, senza sapere ciò che buttano via. Anche a Cafarnao c’erano di quelli che seguivano Gesù quasi solo con il pretesto di fare gratis una merenda sui prati in fiore. A loro di vita divina non importava nulla. Ma che cosa hanno guadagnato dal loro rifiuto? Che cosa posso guadagnare io? Se accolgo la vita del Cristo, guadagno tutto. 

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