L’ultimo film della Nicchiarelli sulla figura di santa Chiara d’Assisi merita alcune osservazioni. Quella presentata dal film in oggetto, infatti, non rassomiglia neanche lontanamente alla Chiara agiografica ed è bene schiarire le idee e dissipare i dubbi.
È uscito nelle sale cinematografiche italiane lo scorso 7 dicembre. Chiara, film diretto da Susanna Nicchiarelli, è a dir poco nauseabondo e sconvolgente agli occhi di noi cattolici, e ancor più dei seguaci della spiritualità serafica.
È stato confortante apprendere dalle molte recensioni la disapprovazione di personaggi senz’altro più competenti di noi sull’aspetto tecnico, scenografico, interpretativo di questo film. Di solito lo studio dell’ambientazione, del linguaggio, dello stile di vita del tempo è propedeutico alla regia di un film, peraltro ambizioso e presuntuoso come quello in oggetto. Al riguardo, invece, troviamo giudizi critici e scontenti. Ci si domanda, ad esempio, da dove mai provenga la scelta di un idioma ciociaro-romanesco, quando la vicenda storica di santa Chiara si ambienta nell’Umbria del 1200. «La recitazione dei due protagonisti è assolutamente indegna, insulsa, inespressiva» afferma uno dei recensori. Insomma, una realizzazione alquanto audace quella della Nicchiarelli, eppure il film si è trovato immeritatamente in concorso a Venezia 2022 ed infine nelle nostre sale cinematografiche. Un film che dovrebbe non avere seguito, date le analisi degli esperti, ma sappiamo che le valutazioni del mondo hanno spesso ben poco di oggettivo e soprattutto di professionale. Quando si tratta di prodotti che sponsorizzano una realtà rivoluzionaria, femminista e diremmo persino anticlericale come questo, le porte del successo si spalancano. Che se ne parli, poi, anche male, non conta, l’importante è che se ne parli, insomma... e intanto il male si propaga.
Ma quello che più interessa a noi denunciare non è tanto l’aspetto tecnico-professionale del film. Il nostro rimarrebbe un giudizio superficiale, perché manchiamo di preparazione e della professionalità del campo. Vogliamo invece accusare il film della Nicchiarelli di falsità e menzogna. Non ha nulla di storico questo film, perché la Chiara ideata dalla regista e interpretata dalla giovanissima Margherita Mazzucco non ha nulla a che vedere con la nostra santa Chiara d’Assisi. Per amore alla verità, ci sentiamo in dovere di svelare il vero volto di santa Chiara d’Assisi al pubblico forse ignaro dei fatti, o forse confuso dalle notizie traviate fornite da questo e da molti altri film (difatti nulla di nuovo sugli schermi, poiché la storia di riportare a una dimensione laica l’esperienza di san Francesco e di santa Chiara è vecchia quanto il cinema e la letteratura moderni...). Ella è un’anima serafica, splendida, sublime, pura e cristallina, «vera icona della Madre di Dio», come si espresse con appropriatezza di termini il suo primo biografo, il beato Tommaso da Celano.
Ribelle e rivoluzionaria?
Sì, ribelle e rivoluzionaria: dicono bene gli entusiasti di “Chiara”; anche santa Chiara è stata una ribelle e una rivoluzionaria. Ma ridimensioniamo un po’ il significato di questi termini...
Chiara d’Assisi si è ribellata alle ideologie e massime del mondo, sui passi di Nostro Signore, il quale ammonisce: «Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!» (1Gv 2,15-17). E ancora: «Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo sta in potere del Maligno» (1Gv 5,19).
Santa Chiara, illuminata dalle parole di san Francesco, ha deciso di dissentire agli schemi ordinari della vita: spinta da un amore più grande, da una chiamata più alta, ossia l’amore e la chiamata di Dio, Chiara ha deciso di non seguire la rotta ordinaria della vita matrimoniale, ha invece scelto liberamente di lasciare la casa paterna, per seguire Cristo povero e crocifisso, sull’esempio del Serafico Padre.
Attratta in maniera sublime e tutta soprannaturale dall’ideale di san Francesco, santa Chiara ha voluto e saputo lottare per difendere quella serafica povertà che Dio stesso aveva ispirato al Serafico Padre, di cui ella è stata pianticella verginale e casta. E proprio in questa lotta e in questa difesa sta la sua rivoluzione, che ha portato alla Chiesa un dono assolutamente nuovo e originale, di cui lo Spirito Santo è l’autore.
Amore tra Francesco e Chiara?
Sì, si sono amati in modo intenso, ma di un amore che questo mondo sensuale e perverso non sa cogliere. Un amore che si innalza su una dimensione così alta e sublime, che, se avesse qualcosa di materiale, dovremmo dire che supererebbe l’altezza delle stelle e delle galassie, talmente è inarrivabile e irraggiungibile.
Gli incontri tra san Francesco e santa Chiara sono ricchi di spiritualità. Santa Chiara ascoltava le prediche del Santo, e ogni volta sentiva «un fuoco ardente che penetrava fino alle più occulte fibre del cuore» (FF 358). Di cosa parlava Francesco? Dei vizi, delle virtù, della pena che attende i peccatori non pentiti e della gloria promessa ai veri seguaci di Cristo (cf FF 99). Accresceva in santa Chiara la luce interiore, che la innamorava sempre più di Cristo e del Vangelo. Desiderava vivere come Francesco, povera di tutto per arricchirsi sempre più unicamente di Dio. Il Serafico la esorta «a disprezzare il mondo – riferisce il Celano –, dimostrandole, con vivacità di linguaggio, come sia arida la mondana speranza e fallace l’apparenza; istilla nelle sue orecchie la dolcezza delle nozze con Cristo, convincendola a custodire la gemma della purezza verginale con quel beato Sposo, fattosi uomo per amore» (FF 3164).
Chiara ha visto nel Serafico il padre della sua anima, quello strumento di Dio per il quale ella ha ricevuto l’abbondanza della grazia, che le ha fatto scoprire e corrispondere in pienezza alla chiamata divina, che l’ha resa sposa pura e innocente di Cristo.
A sua volta, san Francesco ha amato santa Chiara di un amore tutto interiore e celestiale, vedendo in lei la prima «pianticella» (FF 2751) del ramo femminile attraverso cui Dio voleva espandere il carisma a lui ispirato, per ergere quella che sarebbe poi divenuta la grande pianta novella dell’Ordine Serafico, che avrebbe donato alla Chiesa una ricchezza prima d’allora impensata.
Frustrata tra le mura del chiostro?
A dir poco ridicolo quello che la Nicchiarelli mette in bocca alla sua Chiara capricciosa e insoddisfatta: «Non voglio la clausura, voglio stare tra la gente». Niente di più falso per un’anima che anelava all’unione più intima con Dio.
Un’ottima biografia della Santa d’Assisi, tra le più recenti, afferma che santa Chiara, poi seguita dalla sorella Agnese, anelava ad una «sistemazione in un luogo dove menare una vita evangelica così pura e radicale da non poter desiderare di meglio sulla terra. [...] Si è nel 1211 allorché santa Chiara e sant’Agnese fanno ingresso nella povera abitazione di San Damiano, desiderose soltanto di immolarsi in totalità d’amore senza riserve, di povertà – la più spoglia e nuda –, di penitenza rigorosa, di orazione incessante, di nascondimento anche esteriore tra quelle pareti, dove anni prima lo stesso san Francesco era vissuto nascosto per sfuggire all’ira del padre» [1].
Chiara ama il suo piccolo chiostro, e a testimonianza di ciò abbiamo le parole del papa Innocenzo IV, scritte nella Bolla di approvazione della Regola di santa Chiara, dove afferma: «Avete scelto di abitare rinchiuse [...] per poter con animo libero servire a Lui» (FF 2748). Una libera scelta, quella di seguire Cristo e di rinchiudersi in un chiostro verginale solo per Lui, sommamente amato e desiderato.
Povertà... pauperistica?
Santa Chiara non è la ragazzina vivace ed esuberante che rivendica una libertà intesa come desiderio di evasione da restrizioni e canoni (anche giusti) imposti dalla famiglia, dalla società o dalla Chiesa. Non è quindi la ragazzina che alla prima scena del film sgattaiola di notte da casa con la sua migliore amica per andare a inseguire il giovane mitico eroe dei suoi sogni, come vorrebbero mostrare Francesco. Non è la ragazzina ostinata e presuntuosa che disobbedisce persino al papa per rivendicare un desiderio di povertà che diventa invece pauperismo e mostra una giovane che ama mischiarsi tra la gente, danzare e cantare come un giullare, immersa in una dimensione esclusivamente corporea e antropocentrica.
La povertà è una “virtù regale”, insegna san Francesco d’Assisi, perché ha rivestito il sommo Re e la Regina sua Madre. Francesco volle rivestirsi di povertà, amandola di amore così appassionato da diventare il Poverello per antonomasia, deciso a difendere la povertà da ogni attacco. Santa Chiara, la figlia primogenita ed erede dello spirito di san Francesco, volle fare altrettanto, rivestendosi dentro e fuori della povertà, così da meritare di essere chiamata nella stessa Bolla di Canonizzazione «la prima dei poveri» (FF 3296), degna «emula di Francesco nel conservare intatta la povertà del Figlio di Dio» (FF 1667).
«O povertà beata! – scrive santa Chiara ad una sua lontana consorella – A chi t’ama e t’abbraccia procuri ricchezze eterne! O povertà santa! A quanti ti possiedono e desiderano, Dio promette il Regno dei cieli, ed offre in modo infallibile eterna gloria e vita beata» (FF 2864).
Questa è la vera povertà per santa Chiara. Per questo ella, al pari del Serafico Padre, è pronta a lottare per difendere questa perla preziosa di inestimabile valore, e chiede al Sommo Pontefice il cosiddetto “privilegio della povertà”, che le consenta di vivere senza alcun possedimento sia personale che comunitario, completamente abbandonata alla divina Provvidenza. Si tratta di un privilegio unico nella storia, e qui sta la nota rivoluzionaria della nostra Santa. E lo ottiene, Chiara, con la sua fermezza e soprattutto con la sua orazione e la sua santità, con i suoi modi rispettosi di figlia nei confronti del Santo Padre, senza nulla di pretenzioso e di superbo.
Un meraviglioso richiamo alla vita di grazia
Insomma, vi è un evidente abisso tra la Chiara storica dell’agiografia e la Chiara delle sale cinematografiche... Se la seconda ci entusiasma a insane demenze, la prima ci sprona alle meraviglie di una vita autenticamente cristiana, che è vita di grazia, che è vita tesa a quella reale felicità che è la meta ambita da ogni uomo, ma a cui pochi sanno pervenire.
Sul letto di morte le consorelle di santa Chiara, di cui ella era madre badessa, assistono ad una scena indimenticabile. Suor Benvenuta di Diambra, che le stava accanto, ebbe una visione: vide una moltitudine di vergini vestite di bianco, coronate sul capo, avvicinarsi alla stanza in cui giaceva la Santa, prossima alla dipartita. Tra queste vergini ve ne era una più splendente, bellissima, che portava sul capo una corona più grande e preziosa delle altre: era la Santa Vergine. Tutte si avvicinano al letto della morente, e la Vergine Maria si china e accosta il suo volto a quello di Chiara. Meraviglia: i due volti erano così simili da non potersi distinguere l’uno dall’altro. Una testimonianza reale del grado di santità e di cristificazione raggiunto da santa Chiara, che le ha meritato il titolo di “Icona e impronta della Madre di Dio”.
Anche noi siamo chiamati alla santità, abbiamo il dovere di conformarci a Cristo, nostro sublime modello. È giunta l’ora, dunque, di sottrarre parecchio del nostro tempo ad attività futili come quello di inventare storie che distorcono la vita dei santi (al fine di deformare l’immagine di Cristo e della Vergine), ed occuparlo in attività vantaggiose per la nostra anima, che ci aiutino a crescere spiritualmente, dottrinalmente, e in santità.
Nota
1) Padre S. M. Manelli, Santa Chiara d’Assisi. Vita, Lettere, Testamento, Casa Mariana Editrice, Frigento 2016, pp. 65-66.