«Abbandonarmi senza eccezione in braccio e nel Cuore di Maria, mia dolcissima Mamma, affidarle tutti i miei bisogni, e supplicarla che mi aiuti ad amare tanto Gesù, e ad ogni costo farmi santa» (santa Bertilla).
In Veneto, verso la fine dell’Ottocento – come del resto in molte zone d’Italia – è diffusa ancora tanta povertà tra l’umile gente del popolo. Ma c’è pure fede... e una vita cristiana intensa e tenace, pur nella semplicità e nonostante la lotta contro la fede, svolta da chi pensa di saperla lunga.
Umile giovinezza
In questo clima, a Brendola (Vicenza), il 6 ottobre 1888 nasce Anna Francesca Boscardin da famiglia di contadini che lavorano la terra, da cui traggono il necessario per vivere. Il padre, Angelo, era tutt’altro che un angelo: era un uomo rude e manesco, spesso dominato dal vino e dall’ira. La madre era ricca di ogni virtù, capace di rabbonire il marito e autorevole nell’educazione dei figli.
Anna riceve, dalla mamma, semplice e forte educazione cristiana. Acquistato l’uso della ragione c’è un grande amore che entra nella sua fanciullezza, nella vita: Gesù, che diventa sempre più il suo Maestro, la sua Guida, fino a diventare il suo “Sposo”, l’unico amato. Fin da piccola, prega Gesù e la Madonna nelle gioie (poche) e nelle asprezze di ogni giorno.
A 6 anni sarebbe ora di andare a scuola. La bambina ci va, ma spesso rimane a casa, per dare una mano in famiglia e nei campi, e persino per fare la domestica in una casa vicina. Molti la considerano poco intelligente e la deridono. Qualcuno – che avrebbe dovuto prendersi cura di lei – la chiama “oca” perché poco “sveglia”.
Tuttavia, da lei trapela qualcosa di singolare che avvince. È mite e umile, di straordinario candore, sensibile e tenace, persino intraprendente. Imparato bene il catechismo (simile a quello di san Pio X, che sarà promulgato dal santo Papa veneto una decina d’anni dopo), nella primavera del 1897, a 8 anni e mezzo, è ammessa alla prima Comunione – il primo incontro con Gesù –, che al suo tempo non era permessa prima degli 11 anni.
A 12 anni, Anna dimostra di non essere affatto “un’oca”, tanto che viene accolta nell’associazione parrocchiale per i ragazzi: ha buon senso, sa dire la parola giusta, sempre quella di Gesù nel Vangelo, al tempo giusto. Il parroco le dona un catechismo: Anna, insieme al Vangelo, lo considera il suo tesoro. Spesso, appena può, lo sfoglia, lo legge e lo rilegge, lo fa suo in profondità e capisce che quel “libriccino” le basterà per farsi santa. Ella lo chiama “la dottrinella”, ma sa che è il testo più importante del mondo. «Il re dei libri – dice papa Pio XI – [che] ha più valore di un’enciclopedia: è il libro della vera saggezza, del ben vivere, della pace del cuore, della sicurezza nella prova».
«Mi farò suora»
A Brendola, Anna Francesca la chiamavano “Annetta”, ma ora è cresciuta e ha l’età delle scelte importanti. Nel suo paese ha visto con ammirazione le suore che andavano alla questua e ne era rimasta affascinata: «Quando sarò grande, anch’io mi farò suora», dice alla mamma. Il desiderio si fa proposito. Bussa a un istituto di suore, ma non è accettata “per la sua lentezza”. Ma né l’incertezza del suo parroco né la titubanza di suo padre estinguono in lei la fiamma della chiamata da parte di Gesù.
L’8 aprile 1905, a 17 anni, Annetta, accompagnata dai genitori, entra nella casa madre delle Suore Dorotee di Vicenza. La mamma le dice: «Sii buona, Anna, pensa solo a farti santa... prega per noi... per il papà tuo!». È postulante, poi veste l’abito e inizia il noviziato con il nome nuovo di suor Maria Bertilla. Alla Madre maestra delle novizie, dice: «Non so fare nulla. Sono una povera cosa, un’oca. Ma voglio essere una santa».
Sa pregare, e prega e prega. Allo stesso modo, lavora senza risparmiarsi. Il suo primo incarico è fare la lavandaia: per tre anni. Quanti bucati per amore a Gesù, non certo con lavatrice, ma sbucciandosi le mani. Prende sul serio i consigli della mamma: la sua vita sarà la fatica costante di tutte le virtù fino all’eroismo.
L’8 dicembre 1907, solennità dell’Immacolata, suor Maria Bertilla si consacra per sempre a Gesù con i santi voti nella casa di Vicenza.
Continua a fare la lavandaia, poi passa a servire in cucina, sempre nei lavori più umili. Non perde un attimo del suo tempo, neppure il più piccolo sacrificio. È appena 20enne, l’età dell’amore... e Bertilla fa tutto per il suo unico amore, Gesù, del quale è profondamente innamorata, e lo è ogni giorno di più: tutto per Gesù.
Oltre alla Messa-Comunione e alla preghiera quotidiana prevista dalla Regola, Bertilla, nel tempo libero (sono solo dei ritagli di tempo), legge e medita il catechismo – “la mia dottrinella”, come lei dice – e il Vangelo: è come una spugna che si imbeve dello spirito di Gesù. Inoltre, sgrana Rosari alla Madonna, per la quale ha tutta la tenerezza, la fiducia, l’incantevole semplicità di una figlia verso la Madre.
A servizio dei malati
Qualche tempo dopo, è mandata a Treviso a sostituire una consorella infermiera. Qualcuno si chiede che cosa potrà mai fare in un ospedale una che ha fatto sempre solo “la sguattera”. È ovvio che i superiori le fanno studiare infermieristica e, inaspettatamente, si rivela un’infermiera abilissima, fino a essere apprezzata e ricercata dai medici per i casi più difficili e delicati: dà l’impressione che “Qualcuno” la istruisca a proposito, nella mente e nel cuore. Ha un’intuizione straordinaria.
È subito molto benvoluta dai malati per i quali è mamma e sorella premurosa. Attraverso il suo stile umile ma inconfondibile, “è Gesù che passa”. Per questo insieme di competenza e tenerezza, viene assegnata alla cura di bambini difterici. È un’epoca in cui la difterite causa ancora vittime, ma Bertilla non teme il contagio e ha per i piccoli le cure più materne e più attente.
Intanto l’Italia nel maggio del 1915 è entrata in guerra contro l’Austria e la Germania: prima Guerra mondiale, che Benedetto XV, il papa allora regnante, definisce “inutile strage”. Il fronte bellico va dal lago di Garda all’Isonzo. Treviso si trova proprio in quello spazio e subisce incursioni aeree. L’ospedale dove lavora suor Bertilla è soggetto al controllo dei militari.
La situazione, già grave, si aggrava ancor più dopo la disfatta dell’esercito italiano a Caporetto. Seguono terrore e scompiglio nella città e nell’ospedale. I malati, i militari feriti hanno modo di ammirare in suor Bertilla l’angelica infermiera dalla carità eroica. Ella ha cura di tutti i suoi pazienti, in particolare di quelli troppo malati per i quali non c’è possibilità di guarigione.
Ella li cura e li avvicina a Dio con il suo stile di “angelo in carne”: tra giovani esasperati dal dolore e dalla violenza della guerra, intesse mirabili “storie di amore” con Gesù. Nei momenti più difficili e tristi, ella si inginocchia in mezzo ai reparti e recita il Rosario alla Madonna, finché il pericolo delle incursioni non è passato. Pone tutti i suoi assistiti nel Cuore della Madonna, affinché siano avvolti dalla sua consolazione e dalla grazia del Figlio suo Gesù.
Ma c’è una superiora che non apprezza il suo lavoro... e la rimanda per quattro mesi in lavanderia. Un’altra superiora, però, convinta che suor Bertilla è un’anima di Dio, la richiama a capo del reparto dei bambini che più hanno bisogno. Ma ora ella ha dato pressoché tutto...
Incontro allo Sposo
A 22 anni, era già stata operata (con i mezzi di allora!) a causa di un tumore. La sua robusta fibra aveva vinto, ma ora, all’inizio degli anni ’20, il male progrediva. Era stata molto felice quando, nel novembre 1918, la guerra era finita, ma l’Italia era sconvolta dall’epidemia della spagnola, dalle fazioni politiche “l’une contro l’altre armate” di odio e di violenza. Suor Bertilla prega e offre per la Chiesa, per l’Italia, per la salvezza delle anime.
La sua attività instancabile, le veglie continue, la sopportazione in silenzio del suo male, che nasconde con eroica pazienza, consumano la salute della piccola suora. Il 16 ottobre 1922 si tenta un intervento chirurgico, che però non riesce. Il 20 ottobre 1922, cento anni fa, a soli 34 anni, suor Maria Bertilla Boscardin va incontro al suo adorato Sposo Gesù “con la lampada più accesa che mai” (cf Mt 25,1ss).
Era solita dire: «A Dio tutta la gloria, al prossimo tutta la gioia, a me tutto il sacrificio». «Facciamoci sante anche noi, ma da Paradiso, non da altare». Prima di morire, alla superiora che la assiste, raccomanda: «Dica alle mie consorelle che lavorino solo per il Signore, che tutto è niente su questa terra». Quanto a lei, la sua regola era stata quella di Gesù: «È grande tra voi, chi si farà vostro servo» (Mt 20,26-27).
La fama di santità di suor Maria Bertilla si diffuse rapidamente. Un anno dopo la sua morte all’ospedale di Treviso, fu posta una lapide in suo ricordo. La sua tomba diventò meta di pellegrinaggio e luogo di preghiera. Nel 1925 ebbe inizio l’inchiesta per la sua beatificazione. Il Santo Padre Pio XII la beatificò l’8 giugno 1952, presenti alcuni membri della sua famiglia e persone che ella aveva curato. Papa Giovanni XXIII l’11 maggio 1961 la iscrisse tra i santi. La sua festa si celebra il 20 ottobre.
La piccola infermiera di Brendola con la “dottrinella” in tasca, il Rosario tra le mani, il Cristo delle anime ardenti nel cuore, la medesima che da piccola era detta “un’oca”, risplende di luce in tutta la Chiesa tra “i laureati in santità”, gli eroi del Vangelo.