La storia di Annamaria è quella di una mamma “normale” che, di fronte al dramma della disabilità del figlio, non tradisce la sua fede nella bontà e provvidenza di Dio. Ella vive a pieno la sua “buona battaglia”, manifestando l’eroicità dell’amore che rafforza e unisce tutta la famiglia.
Quando mi è stato chiesto di scrivere un commento sul libro La forza dell’amore. Storia di una mamma che combatte senza fare la guerra (di Luca Maurelli, Edizioni Guida, pp. 120) , ho accettato di buon grado, ma non mi sono resa conto della difficoltà a cui andavo incontro. Non so cosa dire, perché la lettura di quel libro, tutto sommato piccolo e senza apparenti pretese, mi ha lasciato senza parole. Non esagero. Ma ora, superata la confusione iniziale, non farò una lettura ragionata del testo, come spesso si fa, ma mi limiterò a trascrivere alcune considerazioni ed alcune emozioni che mi hanno colto come un’ondata calda e avvolgente.
La prima osservazione è che, leggendo il libro, tutto sia estremamente vero. Ho la fortuna di conoscere la famiglia Pedrizzi da decenni (da quando in qualità presidente del Forum delle Famiglie seguivo da vicino le vicende legislative che riguardavano la famiglia, e Riccardo Pedrizzi, allora presidente della Commissione Finanze del Senato, convocava il Forum alle audizioni ed era uno dei pochi che ci ascoltava con interesse e rispetto), e quindi ho avuto il privilegio di frequentare la loro casa e di conoscere suo figlio Roberto. Dunque parlo per esperienza personale: nulla di quanto è raccontato è “montato” o esagerato, anche se la storia di Annamaria — moglie di Riccardo — e della sua famiglia potrebbe farlo pensare. Una storia incredibile eppure autentica, che è stato giusto raccontare. Mi ritrovo in alcuni passaggi drammatici che ho condiviso e che mi fanno ribadire l’immensa ammirazione che ho sempre avuto per Annamaria, per Riccardo e per i loro tre splendidi figli. Nel raccontare la storia di questa “mamma coraggio” dei nostri tempi non c’è nulla di agiografico come sarebbe stato logico e possibile, e per questo mi sento di ringraziare l’autore di questo libro – Luca Maurelli — che non si è lasciato trasportare dalle emozioni, non ha fatto sconti di alcun genere; non ha cercato a tutti i costi una eroina, o una storia edificante, ma ha visto la realtà con gli stessi occhi di chiunque abbia frequentato quella casa: occhi ammirati sì, ma non occhi sdolcinati o pietosi. Tutto vero e tutto “normale”.
E a proposito di normale devo dire che l’ammirazione che nasce verso la famiglia Pedrizzi è dovuta proprio al fatto che vivono la loro situazione in modo del tutto “normale”. Ed essendo tutto normale non suscita e non vuole suscitare la pietà di nessuno. La stragrande maggioranza dei colleghi e degli amici di Riccardo non sapevano o non sanno della loro “tragedia”, semplicemente perché loro si sono sempre rifiutati di viverla come tale, e il libro lo sottolinea più volte. Avere un figlio disabile, gravemente disabile, sembra, anzi è una fortuna e Roberto è il figlio “più bello, più in gamba, più vero del mondo” per il quale ringraziare la Provvidenza. Conosco molte persone che hanno figli disabili e sono in ogni caso famiglie sante ed eroiche. Ma in alcune si fa molto sentire la tentazione di “usare” questa situazione per suscitare comprensione, ammirazione, aiuto, in altre parole pietà; realtà, questa, enfatizzata soprattutto dai media che divengono una cassa di risonanza e un altoparlante di queste particolari vicende familiari. Ciò suscita in me un certo disagio, anche se è una cosa del tutto umana e comprensibile, perché far leva sui propri tormenti e sulle proprie lacrime, anche se autentici, non è segno di nobiltà d’animo e di relazioni autentiche fondate sull’amore. Ecco, Annamaria e Riccardo non sono neanche sfiorati da questa “tentazione”. Per loro tutto è “normale” anche se non sono mancati momenti bui, periodi difficilissimi, colpi terribili che avrebbero minato la fede e la speranza di chiunque.
I successi e la carriera di Riccardo, gli interessi, le scelte e le esperienze di Annamaria, in poche parole la loro vita davvero straordinaria, sono lì a dimostrarlo. Carriera politica, carriera lavorativa, vita sociale ad alto livello, viaggi ovunque, numerosi e veri amici, cene di gran classe ad ogni occasione, vacanze bellissime, accompagnamento costante dei figli nella scuola e nella vita, la quotidiana costruzione di una famiglia unita ed esemplare, successi e sconfitte, gioie e dolori, allegria e lacrime. Tutto normale come nella vita di tutti noi, ma il libro racconta bene quali fatiche siano state affrontate, quali sforzi siano stati fatti, quali problemi siano stati risolti, quali ansie e patemi d’animo siano stati compagni di viaggio perché tutto fosse “normale”.
Infine un’ultima considerazione, anche se non si finirebbe mai di leggere, rileggere, riflettere e condividere questo libro. A proposito della malattia di Roberto Annamaria afferma: «Mai provato rabbia, solo dispiacere. Ma il Signore non c’entra, non è colpa sua, chiaro?». Basterebbe questa frase per fare di questo libro un manuale per la formazione cristiana dei giovani: il Signore non ha colpa. Questo significa aver percorso un cammino di fede fuori dall’ordinario ed essersi messi davanti alla Croce in silenzio, in piedi, con dignità, ponendo la propria croce, grande o piccola che sia, ai piedi di Quella e avere il coraggio, l’umiltà e la fede per dire: “Tu non hai colpa”.
I cristiani sono chiamati ad essere testimoni, missionari, protagonisti della propria vita e di quella altrui. Non conosco nessuno che sia missionario e testimone come Annamaria. E per esserlo non è sufficiente trascorrere ore e ore in chiesa, o fare prediche bellissime o ostentare tutti i giorni il proprio amore per Dio. No, occorre abbracciare la propria croce, riconoscere Cristo nel prossimo, sorridere, amare la vita oltre ogni speranza e oltre ogni attesa, ringraziare il Signore e dire: “Tu non hai colpa”. E per questo mi sento di formulare un infinito grazie ad Annamaria, “una mamma che combatte senza fare la guerra”, per essere quello che è e per onorarmi della sua amicizia.
«Noi due non abbiamo paura di niente». «Per noi i termini come sfortuna, disgrazia, incidenti sono banditi. E il nostro primo comandamento è stato sempre: non attirare pietismo». «Se non avessi avuto la fede sarei stata disperata». «Io sono Annamaria, ho due figli eccezionali, Giuseppe e Stefano, e un terzo straordinariamente normale, Roberto, la definizione che preferisco per lui che combatte tutti i giorni una sua personale battaglia col destino». Ecco, queste sono le frasi di Annamaria da portare nel cuore. Tra le tante, ne aggiungo due dell’Autore che ha colto perfettamente il carattere e lo spirito che animano Annamaria: «La famiglia per lei è una tavola da apparecchiare»; «Annamaria è una donna che vive in trincea con i tacchi e il profumo migliore».