Il “grande occhio” di Webb ha aperto nuovi orizzonti per l’astronomia e, come una “macchina del tempo”, ci riporta agli albori dell’universo, tra le galassie più antiche e lontane mai osservate prima. Dilata la pupilla ma ancor più il cuore dell’uomo, inconsapevole ricercatore di un Padre celeste e di una Patria lontana che lo attendono e occhieggiano dietro la cortina immensa dello spazio e del tempo.
Un “grande occhio” si è affacciato sul cielo e ne scruta l’abisso: lo scorso luglio il telescopio Webb ha dispiegato i suoi specchi e ha aperto nuovi orizzonti per l’astronomia. È il più grande telescopio mai inviato nello spazio, lanciato il 25 dicembre 2021, costato circa 10 miliardi e mezzo di dollari, amplierà i percorsi tracciati nell’universo dal suo predecessore, il telescopio Hubble.
Webb però non orbita attorno alla Terra ma attorno al Sole, si trova molto più lontano dalla Terra ed è stato posizionato nel punto di Lagrange L2 distante un milione e mezzo di chilometri. Questo è un luogo nel quale le forze gravitazionali del nostro pianeta e della Luna si neutralizzano e un satellite vi può girare intorno stabilmente.
Il telescopio ha impiegato un mese per arrivare in quell’area. Nato dalla collaborazione fra NASA, Agenzia Spaziale Europea (ESA) e Agenzia Spaziale Canadese (CSA), Webb ha dimostrato subito il suo enorme potenziale. Poco dopo la mezzanotte dello scorso 12 luglio è infatti arrivata al centro Goddard e allo Space Telescope Science Institute di Baltimora una foto dell’universo lontano: la più profonda, nitida, straordinaria e grandiosa che mai sia pervenuta sulla Terra della sorgente SMACS J0723.3-7327 nella costellazione del Pesce Volante nel cielo meridionale. Anche se l’immagine sembra essere in luce visibile, si tratta in realtà di un’immagine a infrarossi. Il James Webb Space Telescope (JWST) è in grado di registrare la radiazione a lunghezze d’onda comprese tra 2 e 28 micrometri e di scattare foto e rilevare spettri. Per poter essere percepite dai nostri occhi le istantanee devono essere “tradotte” in colori visibili cosicché “vediamo” gli oggetti celesti come se avessimo occhi in grado di rilevare i raggi infrarossi [1].
Ma che cos’ha di fenomenale e strabiliante questo panorama celeste? Le galassie in primo piano sono a 4,5 miliardi di anni luce da noi (la luce ha impiegato 4.500 milioni di anni per arrivare fino a noi) e funzionano come una lente gravitazionale per osservare le centinaia di galassie ancora più lontane, che si vedono sullo sfondo. Si tratta delle galassie più vecchie e lontane mai osservate! In effetti oltre che permettere la visione di oggetti evanescenti ed eterei situati ai confini dell’universo osservabile, il telescopio si comporta come una “macchina del tempo” perché ciò che osserviamo oggi è quello che è avvenuto in quelle remote regioni miliardi di anni fa. Gli scienziati affermano che Webb sarà in grado di osservare quella parte di spazio e di tempo mai visti prima, arrivando a 13,5 miliardi di anni fa, l’epoca in cui si sono formate le prime stelle e le prime galassie. La luce di quei primi oggetti celesti si è spostata verso il rosso per effetto dell’espansione dell’universo, e arriva oggi a noi come radiazione infrarossa. Il James Webb Space Telescope è stato studiato apposta per vedere questa luce infrarossa con una risoluzione e una sensibilità senza precedenti. Se Hubble arrivava a fotografare l’universo com’era 400 milioni di anni dopo la sua nascita, Webb andrà oltre, fino a cento milioni di anni. Queste cifre con tanti zeri ci possono dire poco, ma in realtà stiamo penetrando in un “santuario”: l’universo neonato. Uno dei temi scientifici che hanno ispirato la missione del telescopio è proprio l’universo primordiale insieme con l’evoluzione delle galassie nel tempo, il ciclo di vita delle stelle, e perfino la scoperta di pianeti extrasolari. La pupilla dell’occhio umano ha un diametro di pochi millimetri e a occhio nudo il cielo notturno ci mostra solo qualche migliaio di stelle appartenenti alla nostra galassia, che la fantasia ha raccolto in figure mitologiche, asterismi e costellazioni; la pupilla di Webb, invece, è costituita da un grande specchio primario di 6,5 metri di diametro (!), costituito da 18 specchi esagonali in berillio ultraleggero che raccolgono 42 milioni di volte in più la luce. Ecco perché riusciamo a vedere cose tanto distanti, sorgenti debolissime e centinaia di miliardi di galassie come la nostra... L’universo ci appare come uno spazio di una vastità e di una ampiezza impensabili, inimmaginabili anche solo cento anni fa. Lo stesso Albert Einstein resterebbe stupito nel saperlo così sconfinato.
L’“armamentario” di Webb costituisce il vertice della tecnologia attuale: gli strumenti di cui è dotato, sofisticatissimi, near infrared (NIRCam, NIRSpec, FGS/NIRISS) operano a circa 234 °C sotto zero! Lo strumento Mid-Infrared Instrument (MIRI) nel medio infrarosso funziona a una temperatura di 7 K (?266 °C), utilizzano un sistema criogenico a elio. Tutti gli strumenti devono essere mantenuti a una temperatura bassissima altrimenti il loro calore influenzerebbe le riprese... Ma quali sono i target e i corpi celesti selezionati dal comitato scientifico di NASA, ESA e CSA per iniziare questa nuova ed entusiasmante era di ricerca astronomica? Ecco una piccola carrellata di immagini meravigliose catturate dal grande ‘occhio’:
La Nebulosa della Carena (Nebulosa di Eta Carinæ, NGC 3372): è una delle nebulose a emissione più grandi e brillanti del cielo, nonché uno degli oggetti celesti più osservati in assoluto. Si trova a circa 7.600 anni luce di distanza, nella costellazione della Carena. Ospita molte stelle massicce, diverse volte più grandi del Sole, e al suo interno sono attivi fenomeni di formazione stellare. All’osservatore non esperto quelle che si vedono potrebbero sembrare montagne o canyon illuminati dalla Luna, ma invece si tratta di un complesso di gas caldissimi ionizzati, una regione di formazione stellare. La radiazione altamente energetica di queste stelle “scolpisce” la parete della nebulosa facendola brillare di luce evanescente. La sensibilità eccezionale del telescopio James Webb è riuscita a documentarla [2].
Il Quintetto di Stephan: è un gruppo di cinque galassie a 290 milioni di anni luce nella costellazione di Pegaso. È stato il primo gruppo compatto di galassie a essere scoperto ed è il più studiato fra tutti gli ammassi galattici compatti. La foto fornisce nuovi dettagli su come le interazioni gravitazionali e la curvatura dello spazio-tempo guidano l’evoluzione galattica dell’universo primordiale. In realtà le componenti del sistema sono quattro galassie interagenti, coinvolte in una serrata “danza celeste” con ripetuti incontri ravvicinati, mentre una quinta è stata associata al gruppetto per motivi prospettici. Questo enorme mosaico è la più grande immagine catturata dal – copre circa un quinto del diametro della Luna, e contiene circa 150 milioni di pixel... Si possono vedere per la prima volta dettagli finissimi, come ammassi di giovani stelle, code di gas e onde d’urto provocate da NGC 7318B (al centro della galassia). Un carosello di miliardi di “mondi” lontani.
WASP-96b: è un esopianeta gigante gassoso scoperto nel 2014 che si trova a circa 1.150 anni luce dalla Terra. Questo pianeta è simile al nostro Giove e orbita attorno alla sua stella ogni 3,4 giorni.
Il JWST ha rilevato la sua composizione atmosferica: nell’involucro che lo avvolge è stata rintracciata la firma inequivocabile dell’acqua, insieme alla presenza di nubi e foschia. Questo fatto è importantissimo perché ove vi fosse acqua allo stato liquido potrebbe (molto teoricamente) essere esportata la vita terrestre. Il 21 giugno il telescopio ha misurato la luce del sistema planetario mentre questo gigante gassoso transitava davanti alla sua stella. Un’anteprima delle riprese che il JWST effettuerà sugli esopianeti più promettenti.
La Nebulosa Anello del Sud (NGC 3132): è una nebulosa planetaria (cioè un involucro incandescente di gas espulso nella fase finale della vita delle stelle). Somiglia a una “piscina di luce”, un capolavoro estremo generato da una stella nell’ultima fase della sua evoluzione. Ha un diametro di circa metà anno luce e si trova a 2.000 anni luce dalla Terra. In queste nuove immagini della Nebulosa, riprese nel vicino infrarosso (a sinistra) e nel medio infrarosso (a destra) si notano dettagli mai visti prima dagli astronomi. Il JWST ha messo in luce per la prima volta la seconda stella all’interno della nebulosa. Due astri che “danzano” in un’orbita molto stretta plasmandone la forma. Grazie allo strumento MIRI del telescopio, è stato scoperto che la seconda stella meno brillante, circondata da un guscio di polveri, ha espulso almeno otto strati di gas e polveri nell’arco di migliaia di anni.
La domanda che tutti gli astronomi, planetologi ed eso-biologi si pongono da decenni è la seguente: “C’è vita nel cosmo?”. Anche se il James Webb Space Telescope è stato pensato per osservare le galassie lontane, esso permetterà anche di studiare origine ed evoluzione dei pianeti del nostro sistema e confrontarle con quelle dei pianeti extrasolari: il telescopio esplorerà quelli nella zona abitabile delle loro stelle usando una tecnica chiamata spettroscopia a trasmissione che filtra la luce della loro atmosfera per risalire alla composizione chimica. L’agenda dettagliata di questo primo anno di osservazioni non è stata comunicata, ma se ne saprà di più nei prossimi mesi.
Per ora, ecco qui di seguito una lista di domande alle quali gli scienziati sperano che il telescopio possa rispondere o almeno offrire qualche dato ulteriore di conoscenza:
- Che aspetto aveva l’universo primordiale?
- Quando si sono formate le prime stelle e le prime galassie?
- Come si sono evolute le prime galassie nel tempo?
- Che cosa sono la materia e l’energia oscura?
- Come si formano le stelle? Cosa ne determina la massa? Quando muoiono, quale impatto ha la loro fine sul mezzo in cui si trovano?
- Dove e come si formano i sistemi planetari? [3]
Queste corrispondono ad altrettante questioni ancora aperte nel campo della cosmologia e dell’astro-biologia. Questioni che per la loro rilevanza hanno giustificato l’imponente mole di investimenti seconda solo a quella impiegata per la costruzione di acceleratori di particelle. L’umanità è assetata di conoscenza. Da sempre gli studiosi (e non solo loro) si interrogano sull’eziologia, sulla genesi dell’universo e della vita che, sottoposti all’analisi scientifica, appaiono sempre più come eventi “miracolosi”. Seppure declinate nel linguaggio formale e un po’ asettico della scienza, quasi dissimulate, nascoste, celate sotto il manto della loro complessità, le domande poste a Webb altro non sono che le antiche domande che appassionano l’animo umano da secoli: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”. Si tratta di domande che Dio stesso ha scritto e “inscritto” nei nostri cuori. Sant’Agostino affermava: «Sei Tu [Dio] che lo stimoli [l’uomo] a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Le Confessioni, 1, 1, 5).
L’enigma dell’esistenza di Dio e quella della nostra stessa esistenza collocata su uno sconosciuto, anonimo pianeta tra i miliardi e miliardi di sistemi solari che popolano l’universo sconfinato, ci affascinano, ci avvincono, ci conquistano, al punto di non lesinare risorse, fatiche, impegno, studio, sacrificio pur di spingere la nostra conoscenza anche solo un gradino oltre, pur di sondare il mistero profondo un passo più in là. In fin dei conti questa è la vera scienza: la scienza – dono dello Spirito Santo – che avvicina a Dio. Nella Cappella Sistina affrescata da Michelangelo il dito di Adamo e quello proteso dal Creatore si sfiorano, si cercano, quasi si toccano sullo sfondo di un cielo luminoso. La sua onnipotenza, ma più ancora, la sua pacifica, umile, silenziosa misericordia si lasciano cercare e si donano agli uomini di buona volontà. La natura, i sentieri luminosi che si snodano fra le stelle, il turbinio degli astri sono il riflesso della sua multiforme perfezione, bellezza e infinita bontà. Così il profeta Davide poteva esclamare nel salmo 18: «I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. [...] La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice» (Sal 18,2.8). Il “grande occhio” del telescopio Webb dilata la pupilla ma ancor più dilata il cuore dell’umanità. «Signore, noi speriamo in te, al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio. La [nostra]... anima anela a te...» (Sal 26,8-9). Siamo inconsapevoli ricercatori di un Padre celeste e di una Patria lontana che ci attendono e occhieggiano dietro la cortina immensa dello spazio e del tempo.
Note
1) https://www.lescienze.it/news/2022/07/12/news/visione_piu_profonda_delluniverso_james_webb_telescope_prima_immagine-9820979/ (di Andreas Müller, Spektrum der Wissenschaft).
2) Si veda https://www.focus.it/scienza/spazio/james-webb-space-telescope-prime-foto (di Elisabetta Intini).
3) Ibidem.