SPIRITUALITÀ
Dalla Croce, la santità
dal Numero 33 del 11 settembre 2022
Paolo Risso

14 settembre: festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Celebrando tale festività, cara a noi tutti redenti dai patimenti di Cristo, vogliamo ripercorrere la storia del ritrovamento dello strumento prezioso attraverso cui si è operata la nostra redenzione, e che testimonia una volta di più che il Cristianesimo 
è una realtà storica e documentata.

Nella primavera del 312, Costantino dalla Gallia, con 40.000 uomini, scende in Italia e si dirige a Roma. Susa, Torino, Milano, Verona, Modena gli aprono le porte. Narrano Eusebio di Cesarea e Lattanzio che, il 27 ottobre 312, Costantino, alle porte di Roma, alla vigilia della battaglia decisiva con il suo rivale Massenzio, ebbe una visione: Gesù stesso che gli indicava la sua croce e lo invitava a porre questo segno sui vessilli delle sue legioni, con una promessa: «In hoc signo vinces! [Sotto questo segno vincerai!]». Ciò che Costantino fece. 
L’indomani, il 28 ottobre 312, a ponte Milvio ci fu lo scontro decisivo con la vittoria di Costantino su Massenzio. Il segno della Croce comparve non solo sui vessilli imperiali, ma sulle monete e sui documenti ufficiali dell’impero. L’anno successivo, nel marzo del 313, Costantino pubblicò l’editto di Milano che permetteva ai cristiani di professare liberamente la loro fede. L’imperatore medesimo – non solo un centurione come sul Calvario (cf Mc 15,39) –, il signore della più forte potenza di questo mondo, riconosceva come suo unico Dio il Crocifisso che mai avrebbe dovuto regnare.
Il segno più atroce della sconfitta – la Croce – diventava il segno più splendente della vittoria e del trionfo. Davvero «le legioni romane – come scriveva Bossuet – avevano marciato per secoli per Lui». Davvero “tutto era stato fatto per lui” (cf Gv 1,3; Col 1,15).
“Inventio Crucis”
Costantino è certo di una cosa: con il Crocifisso del Calvario, non può esimersi dal fare i conti. Nel vivere quotidiano e nel governare, si rende conto che il problema della vita e della morte, del bene e del male, trova risposta solo in Lui. Nello stesso tempo, non può ignorare che ormai la rivoluzione della Croce, la Religione del Crocifisso, nonostante le persecuzioni dei suoi predecessori, è vincente.
Nel 325 d.C., Costantino è promotore, accanto a papa Silvestro I, del grande Concilio di Nicea, in cui è condannato Ario, prete di Alessandria d’Egitto che negava la divinità di Gesù, ed è affermata la fede autentica in lui, «Luce da Luce, Dio da Dio, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre», come professiamo ogni domenica nel Credo, detto appunto “niceno” dal Concilio che lo ha formulato definitivamente.
L’anno successivo, il 326, l’imperatrice Elena, madre di Costantino, quasi ottantenne, intraprende un lungo viaggio in Palestina alla riscoperta dei luoghi dove appena tre secoli prima, era passato Gesù. Perché un viaggio così da parte di una donna, già avanti negli anni, quando viaggiare era assai difficile e pericoloso? Eppure Elena, che abitava a Roma nel Palazzo Sessoriano, si mette in viaggio per Gerusalemme, diventata, per opera di Adriano, “Aelia Capitolina”.
La fede abbracciata da Costantino e da Elena aveva molte attrattive, ma quella che più di tutte colpì entrambi fu il suo sorprendente carattere storico. I fatti narrati nei Vangeli erano avvenuti appena tre secoli prima, in un paese soggetto al dominio romano. Il pellegrinaggio di Elena voleva mantenere il contatto ininterrotto con Gesù: i luoghi dove Egli aveva vissuto, predicato e patito ed era risorto potevano essere identificati con facilità.
Affinché una dinastia imperiale possa far propria una fede, le è necessario risalire al luogo delle origini di questa fede, ai “cimeli” del suo santo Fondatore. Fede per ogni uomo, tanto più per il genio concreto e saldo di un latino, non è mai fideismo (credo buttandomi nel buio!), ma “ragionevole ossequio” dell’intelletto, di tutta la persona a Dio che si rivela.
In accordo con Macario, il patriarca di Gerusalemme, iniziarono gli scavi proprio là dove si riteneva da sempre che Gesù avesse compiuto il suo Sacrificio. A questo punto, venuta alla luce la roccia del Calvario, fu anche ritrovata la Croce su cui Gesù era stato appeso. È “l’inventio Crucis” (il ritrovamento della Croce) a cui, fino alla riforma del calendario liturgico del 1969, era dedicata una festa solenne il 3 maggio, appunto la festa dell’Invenzione della Santa Croce di Gesù. 
Il fatto ci è narrato da sant’Ambrogio vescovo di Milano con ricchezza di particolari nell’orazione funebre del 395 per la morte dell’imperatore Teodosio (De obitu Teodosii). Con maggiori particolari, ci è narrata nella Storia ecclesiastica del monaco Rufino di Aquileia (340-410), il quale scrisse la sua opera nel 402, dopo essere vissuto per circa 20 anni sul Monte degli ulivi. 
Inizia con questa “scoperta della Croce”, per opera di Elena e di Costantino, tutta l’attività edilizia nei luoghi santi. Questo “trionfo archeologico” spronò Costantino a pensare una nuova Gerusalemme, di cui la Basilica del Santo Sepolcro sarebbe stata il cuore. Nacquero così le basiliche cristiane sul Calvario, a Betlemme e in altri luoghi consacrati dal passaggio di Gesù. La Basilica del Santo Sepolcro, fatta costruire dalla stessa Elena sul Calvario, sarà consacrata il 13 settembre del 335. Verso il 348, Cirillo, ancora semplice prete (ma l’anno successivo, nel 349, sarebbe diventato patriarca di Gerusalemme) in una sua catechesi afferma che «il legno della Croce è ormai distribuito per tutta la terra, in piccoli frammenti». E ancora: «Da qui, la Croce, ridotta in frammenti, è partita per riempire di sé il mondo intero». 
Dal Crocifisso, tutto
Il giorno seguente alla consacrazione, il 14 settembre, si esponeva alla venerazione del popolo cristiano, a Gerusalemme, quanto rimaneva della Croce del nostro Salvatore. Da questa celebrazione ebbe origine la festa dell’Esaltazione della Santa Croce che si celebra appunto il 14 settembre di ogni anno, “il Venerdì Santo dell’autunno”, come dicono in Oriente.
Nel 614 l’esercito del re persiano Cosroe II invase la Palestina, al comando del generale Sarabaso, e il 5 maggio espugnò la Città Santa. La chiesa del Santo Sepolcro fu abbattuta e la Croce di Gesù fu mandata in dono a Meryem, la regina cristiana di Persia. La “prigionia” della Santa Croce non durò a lungo, poiché nel 627-628 l’imperatore bizantino Eraclio sconfisse i persiani a Ninive e riportò la Croce di Gesù a Gerusalemme.
La realtà materiale della Croce esercitò un enorme fascino sulla cristianità. Nel 569, l’arrivo di una reliquia della Croce nel monastero di Poitiers in Francia ispirò a Venanzio Fortunato i celebri inni in onore e adorazione del Crocifisso, quali il Vexilla Regis prodeunt e il Pange lingua gloriosi, tuttora cantati nell’ufficiatura del Tempo in Passione, in particolare il Venerdì Santo e durante il pio esercizio della Via Crucis.
Nella nostra civiltà la Croce – il Crocifisso – è il segno religioso più universalmente riconoscibile. Il suo significato continua ad attirare l’attenzione degli studiosi, anche non cristiani. La sua influenza si esercita sull’architettura, sull’iconografia, sulla liturgia della Chiesa, sull’ornamento religioso, sugli stemmi e sugli arredi sacri, sui segni usati per indicare intenzioni di pace e di servizio, di offerta sacrificale di se stessi, la socialità più alta. Mai un segno ha esercitato sull’umanità un uguale potere.
Con la Croce, la Chiesa delle origini fino ad oggi ha convertito il mondo a Cristo, ha costruito la vera civiltà e portato, Dio solo sa, quante anime in Paradiso. Oggi, a coloro che vogliono abolire la Croce (persino dalla teologia) e togliere il Crocifisso, noi ricordiamo che costoro imbarbariscono il mondo, rovinano la Chiesa e mandano le anime alla perdizione. «Solo la Croce – il Crocifisso – è la via regale della salvezza» (De Imitatione Christi, II, 12).
Elena e Costantino sapevano che valeva la pena di rischiare un’impresa fondata su solide basi storiche, grazie alle quali il Cristianesimo è un evento unico: una religione, una fede, radicata negli scritti storici di autori identificabili, in luoghi, fatti e oggetti riconoscibili. Il Cristianesimo non è soltanto “un sistema di credenze”, ma una carta topografica, un reliquiario, una biblioteca. Una realtà, ed ecco la parola giusta, un fatto, un avvenimento documentatissimo.
Il Cristianesimo offre a chi lo professa un paesaggio temporale e spaziale in cui ognuno trova il suo posto preciso rispetto alla venuta del Salvatore. Betlemme, Gerusalemme, la Terra Santa sono il centro del dramma, la sorgente dell’energia della fede. Chi si reca in quei luoghi, in particolare sul Calvario, sa che il suo Dio incarnato e fatto uomo sedette su quelle pietre, percorse quelle strade, fu crocifisso su quel colle, con una scritta di scherno sopra la testa, che il suo sepolcro è vuoto dal terzo giorno dopo la sua morte, perché Egli è risorto, il Vivente nei secoli, con le piaghe del suo Sacrificio ancora impresse sul suo corpo glorioso.
In una parola, si tratta della Verità eterna di Dio – la Verità assoluta ed eterna del Dio fatto uomo, Gesù Cristo, uomo-Dio, la Verità assoluta ed eterna del Cattolicesimo –, alla quale ogni uomo deve obbedienza.
Diversamente da quanto tentano di far credere i moderni negatori del Crocifisso, presenti dappertutto, con l’editto di Costantino (Milano, 313 d.C.) e il ritrovamento della Croce (326 d.C.) da parte di Elena, scaturisce non un lungo periodo di decadenza, ma la grande luminosa storia della Chiesa.
Proprio grazie al Crocifisso, creduto, amato, vissuto e predicato, il tempo, da Costantino in poi, porta con sé un’immensa vitalità della Chiesa, frutto della grazia che sgorga dalle piaghe aperte e dal Cuore squarciato del nostro divino Redentore. Il monachesimo in Oriente e in Occidente, i Sommi Pontefici garanti della Verità e della civiltà cristiana, i grandi santi e maestri, da sant’Agostino a san Tommaso, da san Benedetto a san Domenico e san Francesco d’Assisi, la riforma cattolica del Concilio di Trento con i santi a essa legati, i fondatori di nuove Famiglie religiose, l’impegno missionario fino alle lontane Americhe, all’Africa e all’Oceania, le moderne Congregazioni, i miracoli viventi come san Paolo della Croce, san Giovanni Bosco, san Massimiliano M. Kolbe, uomini e donne di grandezza incomparabile, bambini-prodigio della santità come san Domenico Savio, il beato Rolando Rivi e il venerabile Silvio Dissegna, che solo la Chiesa Cattolica possiede, sono il dono immenso, incommensurabile della grazia del Crocifisso. Tutto è venuto da Lui.  

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