Mosè si avvicinò per studiare quel fenomeno, con uno spirito di curiosità umana, come avrebbe fatto uno dei sapienti dell’Egitto. Per questo il Signore gli fa togliere i calzari richiamando l’anima di lui alla realtà di quello che si svolgeva... facendogli intendere che si trovava non già innanzi ad un fenomeno strano, ma difronte ad un miracolo e difronte a Dio stesso.
La vera Scienza è una emanazione del quinto dono dello Spirito Santo che porta lo stesso nome: Scienza, ed è una delle due ali che permette allo spirito umano di innalzarsi verso Dio. L’altra ala è ancor più preziosa, sublime e necessaria: la Fede. Senza la Fede “non possiamo piacere a Dio”, dice la Sacra Scrittura (cf. Eb 11,6). Uno dei grandi mali che certamente affliggono la società moderna è la perdita del valore spirituale “portante” della Scienza. Un’ala senza portanza non decolla, non si innalza, non espleta la sua funzione anche in senso fisico. Ed è proprio la regina delle scienze naturali, la Fisica che ci rivela il cattivo uso che possiamo fare della Scienza. Non esiste la Scienza “buona” e la Scienza “cattiva”: la Scienza è sempre buona in sé ma l’uso che possiamo farne può essere buono o cattivo. Un caso paradigmatico di questa dicotomia che, in fondo, governa tutte le azioni umane, lo troviamo nel fuoco. Il fuoco è la più grande invenzione dell’umanità: utilissimo anzi indispensabile praticamente in tutti gli ambiti: dal riscaldamento delle case al funzionamento delle macchine, dalla preparazione dei cibi alla agricoltura, dall’industria all’illuminazione... senza l’intervento del fuoco non esisterebbe alcun progresso e vita civile. Ma cos’è esattamente il fuoco? Pur avendolo adoperato per millenni solo a partire dal XVIII secolo abbiamo compreso più a fondo la sua natura: il fuoco altro non è che una reazione chimica di ossidazione. C’è una sostanza (combustibile) che si unisce all’ossigeno dell’aria (comburente) ossidandosi in una reazione esotermica cioè che produce calore. La fiamma altro non è che un gas caldo che emette luce visibile come risultato dell’ossidazione.
Antoine Laurent de Lavoisier (1743 - 1794) è stato il pioniere degli studi della natura della combustione. Egli dimostrò con esperimenti che la combustione altro non è che un processo chimico di ossidazione. Prima di lui si credeva nell’esistenza di una fantomatica sostanza detta “flogisto” rilasciata da tutti i materiali che bruciano. In realtà il flogisto non esiste e ogni combustione è diversa dall’altra. La legna che arde nel camino o la fiammella di una candela cessano di esistere se private dell’aria: l’ossigeno dell’aria è il comburente, il legno o la cera il combustibile. Un missile che viaggia nello Spazio deve portare con sé sia il combustibile (Kerosene, Idrogeno, Metano, Etanolo, T-Stoff, acido nitrico, ecc.) sia l’Ossigeno liquido o composti che lo contengono per far avvenire la combustione anche nello spazio vuoto e far funzionare i motori a razzo. Con il fuoco possiamo dare vita e calore alle case e alle città, ma possiamo anche fabbricare armi micidiali.
Il fuoco convenzionale (non atomico-nucleare) è intrinsecamente “effimero”, dura poco, dura fintanto che c’è qualcosa da bruciare e quel che ne rimane è cenere o un residuo combusto. Quindi se ci troviamo dinanzi ad un fuoco che oggettivamente non si estingue siamo difronte ad un fenomeno “impossibile” a qualcosa di “metafisico” che viola le (ferree) leggi della chimica. Qualcosa del genere deve aver pensato un personaggio cruciale della Storia della salvezza: Mosè il grande profeta. Tra le pagine più suggestive e misteriose contenute nel Libro dell’Esodo si annovera infatti la bellissima vocazione di Mosè: «Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”. E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio» (Es 3,1ss). Dio lo chiama e Mosè risponde, si copre il volto e parla con l’Artefice dell’universo. Un uomo mite, umile, fragile nella sua fisicità, un fuggitivo, un omicida... è stato scelto per compiere una missione grandiosa: liberare un intero Popolo dall’oppressione del potentissimo Faraone Ramses II. Mosè indugia, è cosciente dei propri limiti e sa benissimo di rischiare la vita nel tornare in patria ma il Signore gli promette il suo aiuto e gli rivela il suo Nome: «Io sono colui che sono [...]. Ora va!».
Così inizia la missione del più grande profeta del Popolo eletto. Molti sono i significati di questa “teofania”. Il sacerdote don Dolindo Ruotolo nel suo monumentale Commento alla Sacra Scrittura ce ne fornisce alcuni. Egli si domanda: «Ma perché Dio appare in questa maniera così singolare a Mosè? Non avrebbe potuto semplicemente mostrarsi e parlargli, come fece ad Abramo, ad Isacco, ed a Giacobbe? Evidentemente doveva essere l’ora del vespro, poiché solo sull’imbrunire poteva essere ben visibile una fiamma [...]. Quale solenne spettacolo! La fiamma era infinitamente placida [...]. Regnava un silenzio grandioso in quel luogo [...] si sentiva una atmosfera di mistero e di pace immensa [...]. La missione che Dio stava per dare a Mosè era figura della Missione del Redentore, come il popolo oppresso dagli Egiziani era figura dell’umanità oppressa dal dominio di Satana. In quella fiamma che ardeva nel roveto senza consumarlo, c’era come l’emblema e la sintesi dell’opera della Redenzione, e dell’opera della liberazione del popolo ebreo... [Mosè] avendo dimorato per quarant’anni presso la corte egiziana, aveva una cultura umana che gli era di ostacolo a trattare col Signore, semplicemente per questo Dio prima di chiamarlo, gli si manifestò con un prodigio, col quale attirò l’attenzione di lui. Mosè si avvicinò per studiare quel fenomeno, con uno spirito di curiosità umana, come avrebbe fatto uno dei sapienti dell’Egitto. Per questo il Signore gli fa togliere i calzari richiamando l’anima di lui alla realtà di quello che si svolgeva [...] facendogli intendere che si trovava non già innanzi ad un fenomeno strano, ma difronte ad un miracolo e difronte a Dio stesso...». Mosè si tolse i calzari [...] e comprendendo che stava al cospetto di Dio si coprì il volto, preso da soprannaturale spavento. L’Uomo che si avvicina a Dio deve liberarsi dagli impacci della terra, da quello che in lui è frastuono, e deve coprirsi il volto, cioè deve avere un atteggiamento di profonda umiltà, e non guardare con l’occhio umano e con la ragione umana quello che è divino e soprannaturale. Non si va a Dio con tracotanza, ci si va con i piedi scalzi, nella più profonda umiliazione interna ed esterna».
Siamo difronte ad un uso “divino”, didattico, pedagogico quasi del fuoco. Un fatto “fisico” che diventa spiritualmente strumentale: il Signore attira a sé il grande Profeta facendo leva sul suo desiderio di conoscere il mondo, le realtà visibili ed invisibili. Un desiderio, questo, che lo stesso Autore della vita instilla nell’animo umano sia per un fine naturale che per un fine soprannaturale: farsi “riconoscere” nelle perfezioni create. Per questo Mosè ha tanto da insegnare agli uomini di oggi. È vero, egli non conosceva né la Matematica, né la Fisica, tanto meno la Relatività di Einstein o la Meccanica Quantistica, non disponeva neanche di un piccolo telescopio per guardare il cielo e le sue meraviglie o di un acceleratore di particelle per comprendere la natura intima della materia ma aveva l’animo libero, disponibile, non gretto, benevolo, scevro da pregiudizi, aperto alla trascendenza. Quanti miracoli e prodigi sono stati oggi analizzati in modo scientifico e sono stati derubricati a meri fatti “inesplicabili”. Le “grandi reliquie”: la Sacra Sindone di Torino, il Volto Santo di Manoppello, i Miracoli eucaristici, oppure le apparizioni della Santissima Vergine, le tantissime guarigioni di Lourdes... Quando si tratta di riconoscere un miracolo e l’intervento manifesto del Soprannaturale nel tessuto della realtà effettuale, sorgono mille dubbi, controversie, dibattiti, scetticismi, perplessità, diffidenze.
Miracoli a parte, cosa dovrebbero suggerirci le strabilianti scoperte riguardanti il Cosmo, lo Spazio-Tempo, le osservazioni effettuate con strumenti d’indagine avanzatissimi? Dinanzi ai nostri occhi si spalanca un Universo immenso, esteso oltre ogni comprensione, lo spettacolo rutilante di mondi lontani, armonie e perfezioni che richiedono in modo logicamente costrittivo l’esistenza di un “Disegno intelligente” soggiacente. Di più: la presenza inequivocabile ed ineludibile di un Artefice supremo del Tutto che non può essere il “caso” o il disordine, o l’improbabile intervento di un “Orologiaio cieco” come proposto da alcuni scienziati e scrittori atei nel secolo scorso. E quale dovrebbe essere l’effetto sull’animo umano del contemplare l’assoluta peculiarità della Terra, culla straripante e feconda di vita biologica: miliardi di esseri viventi dal più piccolo al più grande, dal microbo fino alle balene? Come fanno ad esistere, chi li ha “realizzati” traendoli dal buio freddo dello spazio interstellare? Quale fantasia e creatività li ha potuti generare in modo così multiforme, polimorfo e variegato assemblando atomi dispersi nei deserti aridi di pianeti inospitali? E poi: l’enorme complessità del DNA che contiene l’informazione genetica di ogni essere vivente: un “programma” (per meglio dire una meravigliosa sinfonia di “nucleotidi”) scritta nel linguaggio della biochimica ben più ampia e articolata di qualsiasi moderno programma informatico concepibile da mente umana. Uno degli scopritori del DNA, Francis Crick, nel libro Life itself, ha scritto: «Un uomo sincero, armato di tutte le conoscenze a nostra disposizione ora, potrebbe solo affermare che in un certo senso, l’origine della vita appare al momento quasi un miracolo, tante sono le condizioni che avrebbero dovuto essere soddisfatte per farla “funzionare”». La codifica dietro il DNA rivela una tale intelligenza da far barcollare l’immaginazione (1). L’ateo Antony Flew si è improvvisamente convertito quando ha studiato la struttura del DNA. Così spiega: «Quello che penso che abbia fatto il materiale DNA è dimostrare che deve essere stata coinvolta l’intelligenza per ottenere questi elementi così straordinariamente diversi tra loro» (2).
Dunque veri scienziati scorgono l’Impronta di un Dio Personale dietro le perfezioni naturali. Lo scienziato Arthur L. Schawlow, professore di fisica alla Stanford University, vincitore di un premio Nobel, afferma: «Mi sembra che quando si è difronte alle meraviglie della vita e dell’universo, ci si deve chiedere perché e non solo come. Le uniche risposte possibili sono religiose [...] trovo un bisogno di Dio nell’Universo e nella mia vita» (3). Purtroppo sono pochi gli scienziati che pur dichiarandosi agnostici come l’astronomo George Greenstein hanno riconosciuto onestamente la potenza apologetica della Scienza. Egli infatti afferma nel volume The Symbiotic Universe: «È possibile che improvvisamente, senza volerlo, siamo inciampati sulla prova scientifica dell’esistenza di un Essere Supremo». È amareggiante dover ammettere che l’umanità tenuta in ostaggio da un pensiero debole, che poco o nulla concede alla Metafisica, preferisce credere agli extraterrestri, agli omini verdi, piuttosto che a Dio Creatore. Hugh Ross in The Creator and the Cosmos è categorico: «La probabilità che la Vita umana sia stata possibile da un Big Bang è meno di una parte su trilioni di trilioni di trilioni di trilioni di trilioni… per 12 volte. Sarebbe di gran lunga più facile per una persona bendata scoprire al primo tentativo un granello di sabbia appositamente contrassegnato tra tutte le spiagge del mondo!». Dunque assistiamo a cose più prodigiose del Roveto ardente ma il nostro spirito rimane arido, chiuso, confuso, prigioniero di una malintesa logicità immanentista. Non vogliamo toglierci i sandali della superbia, non vogliamo coprirci il capo reso altero dalla pseudo scienza.
La Vergine Immacolata, di cui peraltro il Roveto ardente è simbolo (4), si è manifestata più volte in molti luoghi nel secolo scorso, ci ha parlato come una Madre amorosa, ci ha avvisati delle gravi conseguenze che si sarebbero abbattute sul nostro capo a causa della ribellione dell’umanità contro Dio, di questo neo-umanesimo antropocentrico che rifugge la Fede e mette al centro di tutto l’Uomo. Eppure non l’abbiamo ascoltata non le abbiamo creduto. La Sacra Scrittura e i Vangeli sono resoconto di uomini illuminati dallo Spirito Santo, riferiscono fatti storicamente avvenuti, sono la Parola di Dio rivelata, sono il lieto annuncio della Salvezza universale operata dal Cristo. La retta Scienza non è mai antagonista, nemica e oppositrice della Fede. Solo con queste due ali ci innalzeremo dalla terra al Cielo e comprenderemo il senso profondo delle parole dette da Dio a Mosè: «Il luogo sul quale tu stai è una terra santa!».
Note
1) Cf. Franco Pellizzari, La Scienza ha scoperto Dio?, 2013.
2) Dall’intervista: My Pilgrimage from atheism to Theism, 2005.
3) Cf. Henry Margenau - Roy Abraham Varghese, Cosmos, Bios, Theos..., La Salle 1992.
4) Don Dolindo Ruotolo afferma: «Il Roveto che brucia e non si consuma, era simbolo di Maria Santissima che generò il Verbo di Dio, rimanendo illesa nella verginità, e che portò Dio nel seno, sostenendone l’infinita maestà. Maria è raffigurata in un roveto ardente, perché fu tutta spine di angosce nella fiamma del suo amore».