«Io non sono e non mi ritengo uno storico di padre Pio e neppure un suo biografo ufficiale. Sono sempre stato un semplice cronista». Così si definisce Renzo Allegri, eppure negli anni successivi alla morte del Santo del Gargano, è gravitata attorno a lui una vera e propria galassia di testimoni, documenti, informazioni di prima importanza che, confluiti nei libri editi da Mondadori, hanno accompagnato milioni di italiani a scoprire l’autentica ed eccezionale santità di padre Pio.
Renzo Allegri è un giornalista che conobbe padre Pio. Ebbe con lui due importanti incontri diretti, che lo segnarono profondamente e originarono una lunga attività costituita da decine di articoli e una quindicina di libri. Ci intratteniamo con lui in queste pagine per parlare della sua storia che, dal giorno in cui rivolse quella prima domanda a padre Pio, si è intrecciata profondamente con quella del suo viaggio verso gli altari.
• Il 1967 è l’anno del suo primo incontro con Padre Pio. All’epoca lei era un giovane giornalista del nord Italia. Cosa la portò a San Giovanni Rotondo? Vi andò come devoto oppure era uno dei tanti scettici?
Fui mandato a San Giovanni Rotondo come inviato del settimanale Gente. Ci andai da cronista e, lo ammetto, un po’ controvoglia. Avevo studiato alla Cattolica di Milano e i giudizi che aveva dato su padre Pio padre Gemelli, luminare della scienza e una delle più prestigiose personalità della Chiesa italiana, avevano un certo peso. Avevo letto dei prodigi che avvenivano attorno a lui. Mi sembravano un’esagerazione! Ma ricordo ciò che accadde durante la prima volta che assistetti alla Messa celebrata da padre Pio nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, durante quel mio primo viaggio a San Giovanni Rotondo. La Messa era alle cinque del mattino. La chiesa era gremita all’inverosimile. Giravo per fare delle fotografie. Alla consacrazione mi fermai, e cominciai a sentire quel profumo legato a padre Pio di cui tutti parlavano. Mi misi a ridere. “Qualcuno vuole prenderci in giro”, pensai. E poi, come un segugio, continuai a passare tra la gente, e continuavo a sentire quel profumo. Scrutavo le pareti alla ricerca di diffusori, di marchingegni che spruzzassero l’aroma. Ma non riuscii a trovare niente di sospetto.
Dopo la Messa, il Padre si intratteneva per salutare in sacrestia un piccolo gruppo di persone e io ottenni il permesso di essere tra loro. Avevo la mia macchina fotografica e cominciavo a scattare immagini. In modo discreto, senza usare il flash, ma la cosa diede egualmente fastidio a padre Pio che ad un certo momento gridò, con un’espressione che faceva paura: «Bastaaaa». E ho fissato quella sua espressione in una immagine che conservo. Non potevo immaginare quanto la sua vita, che lui voleva solo tranquilla e di preghiera, fosse purtroppo piena anche di curiosi e di fotografi in cerca di sensazionalismi. «Padre – gli dissi –, faccio solo il mio lavoro». Allora, si addolcì di colpo. Io ero l’ultimo della fila. Arrivato il mio turno per il saluto, mi ha presentato la mano. Io l’ho presa e l’ho stretta con forza, facendolo sussultare per il dolore. In quel momento capì che le sue mani dovevano essere davvero piagate. Era il settembre 1967.
Nel maggio dell’anno successivo, incontrai un gesuita, padre Mario Mason, che aveva letto il mio articolo e voleva darmi una “notizia esclusiva”. Mi aveva raccontato di come padre Pio fosse stato miracolato dalla Madonna di Fatima nel 1959. Quell’anno, padre Pio era malato e da mesi non usciva dalla sua cella. Si diceva avesse un tumore ai polmoni e che stesse per morire. Erano i giorni in cui la statua della Madonna di Fatima veniva portata in pellegrinaggio nelle diocesi più importanti d’Italia e alcuni amici di padre Pio avevano fatto in modo che stazionasse per due giorni anche a San Giovanni Rotondo. Padre Pio aveva potuto, seppur con difficoltà, date le sue condizioni di salute, pregare davanti alla statua. Poi, trasportata da un elicottero, la Madonna era ripartita. Padre Pio, nel vederla dalla finestra, aveva detto: «Madonnina, sei arrivata ed ero ammalato. Ora te ne vai e sono ancora malato...». E di colpo si era messo a tremare come fosse stato attraversato dalla corrente. Era completamente guarito, all’istante.
L’episodio oggi è noto ma allora non lo conosceva nessuno. Padre Mason, che era l’organizzatore di quell’evento, desiderava che io incontrassi padre Pio e chiedessi a lui la conferma del fatto, facendogli una domanda precisa. Così qualche giorno dopo ero di nuovo a San Giovanni Rotondo. Ottenni il permesso di salire al piano superiore del convento, dove si trovava la cella di padre Pio, e attendere il Padre che il quel momento era in preghiera nel coro. Aspettai che uscisse per tornare nella sua cella. Come sempre avevo al collo la mia macchia fotografica pronto a scattare delle immagini. Ma quando il Padre uscì dal coro rimasi paralizzato. Camminava curvo e trascinava i piedi come fossero stati pesantissimi. Si appoggiava alla parete e ogni tre o quattro passi si fermava per prendere fiato. Vederlo avanzare in quel modo era una pena immensa. Rimasi sconvolto. Si percepiva la sua sofferenza, si capiva benissimo che era enorme. Arrivato vicino, mi guardò. I suoi erano occhi che sembravano infuocati. Ma nello stesso tempo erano carichi di una bontà che disarmava completamente. Non ho potuto fargli nemmeno una foto, mi sembrava di avere davanti “la sofferenza che camminava”, anzi, che cercava di camminare. In compenso avevo il registratore acceso. Staccandola dal muro, il Padre appoggiò la sua mano sulla mia spalla destra. Ricordo ancora la presa, era come un artiglio, gli serviva per reggersi in piedi. Mentre lo accompagnavo verso la sua stanza, non dimenticai di chiedergli della sua guarigione, secondo quanto mi aveva detto padre Mason. Si ricordava di lui, e dopo un momento di silenzio padre Pio scoppiò in lacrime. Singhiozzava come un bambino e diceva: «Sì, sì, la Vergine Santa mi ha guarito...!». Il Padre superiore del Convento poi mi disse: «Quando si parla di quel fatto, padre Pio si mette sempre a piangere. Ha cominciato a raccontarlo tante volte, ma non è mai riuscito a concluderlo perché la commozione lo fa scoppiare in lacrime».
Ricordo ancora benissimo lo sguardo profondo, affettuoso, lungo con cui ci siamo salutati sulla porta della sua stanza. È stata l’intervista più breve della mia vita! Ma la più importante.
• Cosa le hanno lasciato questi suoi incontri con il Padre?
Mi impressionò moltissimo. Non erano tanto i prodigi, che si diceva riuscisse a compiere, a colpirmi. Era la forza che sprigionava da tutta la sua persona, una forza morale che si avvertiva enorme. Padre Pio era un uomo che pativa in modo atroce, sopportando tutto come un eroe. Lo sguardo di padre Pio era penetrato in fondo al cuore e aveva lasciato un marchio indelebile.
• Lei è l’autore della prima inchiesta giornalistica a favore di padre Pio pubblicata dopo la sua morte, nel 1969, su un settimanale laico, molto popolare. L’effetto fu sorprendente perché, letta da milioni di italiani, ebbe il risultato di abbattere il muro di diffidenza e pregiudizi che da decenni esisteva attorno al “frate stimmatizzato”. Dopo quell’inchiesta qualcosa cominciò a cambiare nell’opinione comune attorno al Padre e di fatto il 4 novembre 1969 il Superiore generale dei Cappuccini chiese ed ottenne dal Vescovo di Manfredonia il permesso di iniziare a raccogliere materiale in vista della possibile apertura del processo di beatificazione. Troviamo anche lei quindi all’inizio del lungo cammino che ha portato a questa canonizzazione. Ci potrebbe raccontare com’è nata l’idea di questa inchiesta?
Dopo i miei incontri con padre Pio nel settembre 1967 e maggio 1968, il giornale per cui lavoravo mi aveva inviato varie altre volte a San Giovanni Rotondo per degli articoli.
Subito dopo la morte di padre Pio, il 23 settembre del 1968, San Giovanni Rotondo cominciò a diventare quasi un paese fantasma. Chiudevano i negozi, chiudevano gli alberghi. Ricordo che il Corriere della Sera uscì con un articolo in cui diceva che con la scomparsa di padre Pio tutto il business si era sgonfiato e questa era la prova di come tutto fosse stato una montatura. Un giorno, l’editore del giornale per cui lavoravo, Edilio Rusconi, mi convocò nel suo ufficio. Mi disse che avrei dovuto fare un’inchiesta forte “in difesa di padre Pio”. Si espresse proprio così. E mi regalò due libri degli anni Trenta sul frate, forse tra i primi che siano mai stati scritti. Uno di questi era il famoso Misteri di scienza e luci di fede del dottor Giorgio Festa che nel 1919 aveva visitato accuratamente padre Pio ed esaminato le stimmate. Il fatto che Rusconi possedesse quei libri mi fece pensare che da tempo seguisse le vicende legate a padre Pio. L’inchiesta andò avanti per diversi mesi. Per essere inattaccabile, intervistai famose personalità, tra scienziati e uomini di cultura, che avevano conosciuto padre Pio e che testimoniarono a favore della sua onestà.
Quella mia inchiesta in difesa del Padre fu la prima aperta e senza remore. I giornali cattolici, allora, non potevano scrivere e difendere padre Pio perché erano ancora in vigore, mai ritrattate, quattro condanne emesse dal Sant’Uffizio, il massimo tribunale ecclesiastico per la difesa della ortodossia. E i giornali laici, non prendevano le difese di padre Pio, ritenendo che se la massima autorità ecclesiastica lo condannava, la vicenda non poteva essere seria.
La mia inchiesta, che era pubblicata su un settimanale laico, ma rispettoso della Fede cattolica, ebbe un successo strepitoso. Anche perché il settimanale, di tipo familiare, diffuso in oltre un milione di copie la settimana, raggiungeva un pubblico enorme. Non poteva essere ignorata dal clero e da quei cattolici che, per obbedienza alle disposizioni ecclesiastiche, stavano lontani dal Padre, pur avendo per lui ammirazione.
L’esito fu in effetti sorprendente: la gente prenotava le copie del settimanale per leggere la “storia segreta del santo stimmatizzato”. In quell’occasione ricevetti anche delle querele da chi si sentiva offeso dai miei articoli, ma non ebbero seguito perché tutto era rigorosamente documentato.
• Come si era documentato?
Durante la mia prima visita a San Giovanni Rotondo nel 1967, avevo conosciuto Giuseppe Pagnossin, un industriale di Padova, che era stato molto amico di padre Pio e aveva lavorato insieme ad Emanuele Brunatto alla sua difesa contro le calunnie alle quali, purtroppo, anche il Vaticano aveva creduto. Pagnossin mi portò in una villa fuori città. C’erano stanze stipate fino al soffitto di documenti riguardanti padre Pio. Tutte copie, mi disse, dato che gli originali erano nascosti a Ginevra.
Trascorsi in quelle stanze alcuni giorni a studiare le carte. Pagnossin, che conosceva bene il materiale, mi guidava. Il compito che avevo concordato con l’editore era quello di dimostrare, attraverso documenti e testimonianze di persone qualificate, che le accuse rivolte a padre Pio, e continuamente riprese dai giornali, erano false.
Dall’archivio di Pagnossin presi dei documenti ma solo poca cosa. Se avessi dovuto esaminarli tutti sarei dovuto restare sei mesi in quelle stanze!
• Negli anni successivi quale clima si creò a San Giovanni Rotondo e attorno alla figura di padre Pio?
Subito dopo il suo insediamento a Manfredonia, il 22 agosto 1970, il vescovo Valentino Vailati invitò il clero e i fedeli della sua diocesi a portare in curia tutti gli scritti che potevano avere del Padre in modo da conservarli.
I Frati cappuccini cominciarono a lavorare alacremente per la grande avventura di un processo di beatificazione. Il superiore generale scelse due religiosi della provincia di Foggia, padre Lino Barbati e padre Gerardo Di Flumeri, e li incaricò, con il titolo di “delegati speciali per la causa di padre Pio”, di organizzare uffizio e lavoro. Padre Gerardo, che aveva allora 40 anni, si presentava particolarmente preparato all’impresa. Si buttò a capofitto in quel nuovo incarico, portandovi le sue doti di intelligenza e di cuore. Fondò una rivista mensile dal titolo Voce di Padre Pio. Il primo numero uscì nel luglio del 1970. Quella pubblicazione gli consentiva di tenere i contatti con tutti gli ammiratori del Padre sparsi per il mondo. E fu un’iniziativa preziosissima, attraverso la quale padre Gerardo raccolse innumerevoli testimonianze sulla santità del confratello. Inoltre, con i suoi articoli poteva trasmettere informazioni e resoconti di come procedeva la causa.
Il 20 febbraio 1971, papa Paolo VI, parlando ai superiori dell’Ordine cappuccino, espresse in pubblico il suo pensiero sulla santità di padre Pio con parole straordinarie che oggi è bello ripetere: «Succederà anche per voi il miracolo che è successo per il padre Pio. Guardate che fama che ha avuto! Che clientela mondiale ha adunato intorno a sé! Ma perché? Forse perché era un filosofo? Perché era un sapiente? Perché aveva mezzi a sua disposizione? No, perché diceva la Messa umilmente, confessava dal mattino alla sera, ed era, difficile a dire, rappresentante stampato delle stimmate di Nostro Signore. Era uomo di preghiera e sofferenza».
Nel maggio 1972 i Frati cappuccini organizzarono il primo convegno di studi sulla spiritualità del loro confratello. Le iniziative per conoscere e celebrare padre Pio crescevano di giorno in giorno. Il pubblico rispondeva. I pellegrinaggi erano ripresi. Ma da Roma, silenzio. All’inizio del 1973, il 16 gennaio, il nuovo vescovo, mons. Vailati, accompagnato dal postulatore generale dei Cappuccini e dai suoi due delegati, andò di persona alla Congregazione delle Cause dei Santi a consegnare nelle mani del Cardinale prefetto tutta la documentazione prevista dalle norme canoniche. La risposta giunse 17 mesi dopo, auspicando che un’eventuale apertura del processo non avvenisse prima di dieci anni dalla morte di padre Pio. Tutte le speranze si congelarono: il Sant’Uffizio negava l’autorizzazione necessaria a procedere.
Il tempo scorreva. Passarono gli anni, dal 1975 al 1978, e non accadde niente. Ma, alla fine del 1978, “arrivò da molto lontano” un grande profeta, un potente messaggero di Dio, Karol Wojtyla, e tornarono le speranze perché colui che la Provvidenza aveva messo sul trono di Pietro col nome di Giovanni Paolo II, era un grande amico di padre Pio.
• Davvero non è possibile ricordare l’evento del solenne riconoscimento della santità di padre Pio senza soffermarsi su colui che, oltre a proclamarla quel giorno in piazza San Pietro, ne fu sempre un convinto sostenitore. Quale parte ha avuto questo grande Pontefice nella storia di questa canonizzazione?
Una parte molto importante proprio perché Wojtyla era devoto di padre Pio da prima di diventare pontefice. Le ragioni di questa devozione risalgono al 1948. Nell’aprile di quell’anno, Karol Wojtyla, allora sacerdote da pochi mesi, trascorse alcuni giorni da padre Pio, potendo parlare con lui e farsi così un’idea precisa della sua spiritualità. Wojtyla studiava a Roma ed era molto interessato alla teologia mistica. Venne a sapere che in Puglia, sul Gargano, viveva un frate che aveva le stimmate, tipico segno mistico. Decise di andare a trovarlo. Durante una pausa dagli studi, partì per il Gargano e si fermò nel convento di padre Pio diversi giorni. Le cronache dicono che Wojtyla partecipò alla sua Messa e che poté confessarsi da lui. Nessuno sa cosa si dissero. Resta il fatto però che Wojtyla non dimenticò mai l’incontro avuto con padre Pio nel 1948, e dimostrò sempre di avere per il frate di San Giovanni Rotondo la più viva considerazione.
• E da Pontefice?
Carlo Campanini, il grande attore devotissimo di padre Pio, mi raccontò che nel 1981 aveva assistito alla Messa del Santo Padre nella sua Cappella privata. Dopo la Messa si intrattenne con il Pontefice e gli fece vedere alcune fotografie che lo ritraevano con padre Pio. Il Papa mostrò molto interesse e disse all’attore: «Preghi perché padre Pio salga presto sugli altari».
Negli anni Novanta, c’era un anno in cui ogni primo sabato del mese alle 20.45, il Papa recitava il Rosario alla Radio Vaticana; una sera tra le persone ammesse c’era anche Elena Caffaro di Roma. Terminato il Rosario, disse al Papa: «Santità, si ricordi di padre Pio». Il Santo Padre rispose: «Io lo prego sempre, padre Pio, tutti i giorni».
Nei tempi in cui il Sant’Uffizio continuava a mostrarsi reticente, fu il Pontefice a dare il colpo di grazia definitivo a quei tentennamenti, con un’iniziativa che equivaleva a un’autentica cerimonia di beatificazione. Nel maggio 1987 ricorreva il centenario della nascita di padre Pio e papa Wojtyla volle recarsi a San Giovanni Rotondo.
Prima di lasciare il convento, volle scendere nella cripta e, sotto i riflettori delle telecamere e dei fotografi, si inginocchiò davanti alla tomba di padre Pio, poggiando la sua mano sul grande blocco di granito, e rimanendo per alcuni minuti assorto in preghiera. Era la prima volta che un papa si inginocchiava dinanzi al sepolcro di una persona che non era stata proclamata santa. Padre Pio, allora, giuridicamente non era neppure beato, neppure venerabile. La foto di Giovanni Paolo II inginocchiato alla tomba di padre Pio fece il giro del mondo. Lui era già popolarissimo, e quell’immagine richiamò l’attenzione della stampa internazionale anche sulla figura di padre Pio, indicato come il “santo” di papa Wojtyla. Da quel giorno, aumentarono in modo incredibile i pellegrini alla tomba del “frate con le stimmate”. E si appianarono, un po’ alla volta, le varie difficoltà burocratiche che ne ostacolavano la causa di beatificazione.
La fase del processo “conoscitivo” si concluse il 21 gennaio 1990, e il 12 febbraio iniziava a Roma il “processo vero e proprio”. Il 2 maggio 1999, il Padre venne beatificato; tre anni dopo, il 16 giugno 2002, proclamato santo per la Chiesa universale.
• Nel 1984 uscì Padre Pio, l’uomo della speranza, il primo della lunga serie di libri che ha dedicato al nostro santo, tutti finiti nella prestigiosa collana “Best Seller Oscar Mondadori”. In questo libro furono pubblicate per la prima volta le lettere che il futuro Giovanni Paolo II scrisse a padre Pio. Come arrivarono tra le sue mani?
Stavo finendo questo libro su padre Pio dove raccontavo anche la miracolosa guarigione della dottoressa Poltawska e desideravo inserirvi le due lettere che Karol Wojtyla aveva scritto al Padre per chiedere preghiere. Chiesi ad Angelo Battisti ma mi disse che non poteva darmi niente. Passarono dei mesi. Una sera Battisti mi telefonò. Mi disse che desiderava vedermi perché aveva qualcosa di importante da darmi. Lo raggiunsi alcuni giorni dopo nella sua casa romana. Aveva preparato una cartella, voluminosa, infilata in una grande busta su cui aveva scritto il mio indirizzo e la dicitura “riservata”. «È per lei» mi disse Battisti consegnandomela. Cominciai ad aprirla. Lui provò a fermarmi: «No, faccia a casa sua». Ma io ero molto curioso. Continuai a scartare. Tra i documenti vi trovai, in fotocopia, anche le due lettere che Karol Wojtyla aveva scritto a padre Pio nel 1962. Chiesi a Battisti come mai mi desse quelle lettere che sei mesi prima mi aveva negato. Mi disse che padre Pio, quando gliele aveva consegnate, aveva detto: «Conservale perché un giorno diventeranno importanti». «Penso – aggiunse Battisti – che lei possa farle conoscere a un grande pubblico, e che possano diventare un documento prezioso per la causa di beatificazione. Sei mesi fa non potevo dargliele, ora ho avuto l’autorizzazione». Non indagai oltre. Ero felice di avere quel materiale. Pensai, in seguito, che, forse, i responsabili della causa di beatificazione avevano deciso di consegnarmi le lettere dopo aver saputo che il mio libro veniva pubblicato dalla più importante casa editrice italiana, la Mondadori. In questo modo, le lettere, e ciò che testimoniavano, avrebbero avuto una visibilità vastissima, richiamando l’attenzione su padre Pio e la sua santità.
• Come mai chiese ad Angelo Battisti quelle lettere?
Dobbiamo ricordare i fatti. Nel 1962, mons. Wojtyla era tornato in Italia e andò a Roma per partecipare al Concilio Vaticano II. Qui fu raggiunto da una dolorosa notizia: una sua collaboratrice, la dottoressa Wanda Poltawska, quarantenne, madre di quattro figlie, era all’ospedale colpita da un tumore. I medici non davano speranze. Quella lettera procurò molto dolore al vescovo Wojtyla. Con la dottoressa Poltawska stava svolgendo un apostolato straordinario a favore della famiglia. Doveva aiutarla, ricorse alla preghiera e il suo pensiero andò dritto a padre Pio. Il religioso era al centro di quella che fu definita la “seconda persecuzione”. C’era stata un’ennesima visita apostolica e nuove condanne e restrizioni disciplinari al suo ministero. Nessun ecclesiastico avrebbe avuto il coraggio di rivolgersi al religioso stimmatizzato, ma Wojtyla aveva la certezza che quell’uomo era un grande santo e si rivolse a lui chiedendo un miracolo. Gli scrisse una breve lettera che porta la data 17 novembre 1962. La scrisse a mano, in latino, da Roma. Voleva farla arrivare con urgenza a San Giovanni Rotondo. Si rivolse ad Andrzej Deskur, che da tempo risiedeva a Roma. Questi conosceva Angelo Battisti, che lavorava in Segreteria di Stato ed era anche l’amministratore di Casa Sollievo della Sofferenza. Lo chiamò e gli diede l’incarico di consegnare quella lettera.
• Lei seppe dallo stesso Battisti come andarono le cose?
Sì, Battisti mi raccontò che partì immediatamente e arrivò a San Giovanni Rotondo a sera inoltrata. Raggiunse padre Pio che era nella sua cella e lo trovò immerso, come sempre, nella preghiera. «Ho una lettera urgente per lei dal Vaticano», gli disse. Padre Pio, senza scomporsi, gli rispose: «Apri e leggi». Battisti eseguì. Al termine ci fu un lungo silenzio e poi il Padre disse: «A questo non si può dire di no». «Rimasi sbalordito – mi raccontò Battisti –. La frase “a questo non si può dire di no” significava che lo scrivente era un personaggio importantissimo. Nella lettera, chiedeva l’intercessione di padre Pio... Feci il viaggio di ritorno chiedendomi chi poteva essere il vescovo polacco che aveva scritto quella lettera. Non avevo mai sentito il suo nome». Dodici giorni dopo, Battisti ricevette ancora l’incarico di portare una seconda lettera a padre Pio. Qui, il vescovo Wojtyla ringraziava il Padre perché... la donna era guarita all’improvviso. Era accaduto l’impossibile: uno strepitoso miracolo che confermava quanto grande fosse la santità di quel religioso.
Angelo Battisti mi raccontò: «Andai da padre Pio, gli feci vedere la lettera e come al solito mi disse: “Apri e leggi”. Questa volta lessi con molta curiosità e adagio e rimasi stupito sentendo del prodigio. Guardai verso il Padre come per congratularmi con lui. Padre Pio era immerso nella preghiera. Sembrava non avesse neppure udito quanto avevo letto. Attesi in silenzio. Dopo qualche minuto, il Padre mi disse: “Angelino, conserva queste lettere, perché un giorno diventeranno importanti”».
Un episodio importantissimo perché faceva del Pontefice un testimone diretto di un miracolo ottenuto per intercessione di padre Pio. Esiste certamente un filo misterioso che lega padre Pio e papa Giovanni Paolo II. Due grandi santi del XX secolo, due mistici, due personaggi che hanno profondamente segnato la storia del loro tempo e della Chiesa.
• Alcuni dei suoi libri hanno portato alla conoscenza del grande pubblico anche aspetti molto intimi della vita di padre Pio (per es. A tu per tu con Padre Pio; Padre Pio un santo tra noi). Le biografie allora esistenti riferivano fatti, miracoli, polemiche, persecuzioni. Lei ha mostrato la tenerezza, la calda paternità, la ricchezza dell’umanità di colui che la gente conosceva come “il frate burbero”. Chi le ha rivelato il “cuore di padre Pio”?
Me lo hanno rivelato le persone che ho potuto conoscere e che erano state molto vicine a padre Pio. E me lo ha rivelato lui stesso, con il suo sguardo. Poi ho avuto la fortuna di conoscere Cleonice Morcaldi, scomparsa nel 1987. Lei viene spesso indicata come la sua più cara figlia spirituale ma in realtà fu molto di più di una delle pie donne che seguivano padre Pio. Lui la considerava infatti una vera e propria “figlia adottiva”. Lei ad un certo punto, prese l’abitudine di scrivere su una serie di diari le sue conversazioni con il Padre, le risposte che lui dava alle sue domande e che riguardavano la fede, il Vangelo, la Passione di Gesù, il mistero della Messa o anche la vita in generale. Per la loro confidenza, le domande che Cleonice Morcaldi rivolgeva al Padre erano semplici ed egli rispondeva con altrettanta semplicità, confidando il suo animo, la sua tenerezza, la parte più nascosta della sua grandissima umanità.
Leggendo quelle pagine, si entra nella parte più intima dell’essere di padre Pio. In quella zona del cuore e dell’animo dove non è possibile arrivare se non si è esplicitamente “invitati” e condotti per mano dallo stesso interessato.
Quei diari rappresentano perciò un tesoro preziosissimo per entrare nel “cuore di padre Pio”. Ho avuto tra le mani quelle pagine eccezionali e inedite e ho avuto quindi l’impressione di avere di fronte lo stesso padre Pio e di poter dialogare direttamente con lui.
Nel suo caso, ci si trova di fronte a una persona ricca di una tale tenerezza, di una tale carica affettiva, di un tale senso di sublime paternità da restare stupefatti e commossi.
• Qualche esempio?
Uno per tutti potrebbe essere la seguente lettera, anche se è difficile scegliere. Nel contesto di uno spiacevole incidente – gelosie e umane fragilità non mancano mai purtroppo nemmeno attorno ai santi – spicca la tenerezza del suo cuore di padre. Cleonice annota nei suoi diari: «Questa letterina commuovente il Padre me la scrisse in seguito a un mio quasi giusto risentimento. Una delle mie consorelle [una delle figlie spirituali], la più accanita e gelosa, mi ripeté fedelmente quello che io avevo svelato al Padre, riguardo alla mia coscienza. Rimasi esterrefatta, nel sentire che il Padre svelava i miei segreti ad altre. Dissi a lui che non gli avrei più scritto, per nessun motivo. Invece la colpa era mia, perché avevo smarrito il biglietto e la buona consorella lo aveva trovato e letto:
“Mia sempre cara figliola,
Gesù sia sempre l’unico centro di tutte le tue aspirazioni. Egli sia il tuo conforto, il tuo sostegno, la tua guida!
La tua lettera mi ha trafitto l’anima, non per quello che mi scrivi, che ne avresti tutte le ragioni, se rispondesse al vero, ma per quello che hai sofferto tu e per quello che soffri ancora.
Non sono stato io che ho detto quello di cui tu mi accusi, perché me ne sarei guardato bene dal farlo; ma sei stata tu stessa che l’hai fatto sapere [...]. Ricordi quegli appunti da te fatti in quel pezzo di carta: “Sogni reali”? Ebbene, tu lo smarristi vicino alla Vergine di Pompei. Lei lo trovò. Ecco spiegato l’enigma!... E dopo questo mi serberai ancora del rancore? Vorrai anche tu andartene via? Se lo vuoi, fallo pure. Io sarò sempre per te quello che fui. Sarò sempre per te il buon Padre del figliol prodigo. Piangerò... mi amareggerò per il tuo modo di fare non savio, ma, qual novello Tobia, starò sempre alla vedetta attendendo il ritorno del suo Tobiolo... e se avrò la fortuna di vedere ritornare il mio figlioletto gli correrò incontro, gli getterò le braccia al collo, lo stringerò al mio cuore, lo coprirò di amplessi e baci e piangerò di consolazione per aver riacquistato il mio figliolo perduto e ne benedirò il Padre celeste.
Ti benedico con tutte le tenerezze del mio cuore».
• Non ha avuto qualche esitazione a pubblicare quel materiale così intimo?
No, assolutamente. Tutto quel materiale era stato consegnato dalla stessa Cleonice Morcaldi a un suo amico sacerdote perché lo rendesse pubblico. E noi, facendolo, abbiamo realizzato un suo desiderio. Lei era a conoscenza dei sospetti e delle gravissime accuse che tanto avevano fatto soffrire lei e il Padre. Affidando al suo amico sacerdote i quaderni dei suoi diari e le lettere di padre Pio e chiedendogli che tutto fosse reso pubblico, voleva chiarire, far conoscere la verità sulla sua vita e sui suoi rapporti con padre Pio. Sapendo di essere vicina alla morte, il suo gesto è da considerarsi un autentico testamento spirituale che va rispettato alla lettera.
Per una serie strana di circostanze, che sarebbe lungo riferire, tutto questo materiale mi è stato portato, con la richiesta di pubblicarlo, proprio mentre mi accingevo a scrivere un libro su padre Pio. Avevo già raccolto molto materiale, muovendomi in altre direzioni. Il libro aveva un taglio diverso: ma quando ho letto quei quaderni, mi sono reso conto che avevano diritto di precedenza. Ho messo da parte le ricerche già fatte e ho dato spazio a quei documenti, che ritenevo estremamente illuminanti.
• E così, uno dopo l’altro, è arrivato a 12 libri su padre Pio, tutti pubblicati dalla Mondadori, tradotti in tante lingue, perfino in giapponese. Da uno dei suoi libri è stata tratta anche la sceneggiatura del famoso film su padre Pio interpretato da Sergio Castellitto, che viene trasmesso ancora in Tv almeno due volte l’anno perché non smette di interessare. Crediamo di non sbagliare a dire che il suo è stato un grande, fondamentale, contributo per l’avvicinamento degli italiani, sia clero che fedeli, a padre Pio, e di riflesso per la sua causa di canonizzazione.
Ne sono felice, e non l’avrei mai pensato. Ho solo fatto il mio mestiere di giornalista. I meriti sono dei padroni e dei direttori dei giornali per i quali ho lavorato. Credo che il vantaggio sia stato quello di scrivere per giornali ed editori laici, perché quelli cattolici, come ho già detto, non potevano esporsi su padre Pio. C’erano le condanne del Sant’Uffizio. Agli inizi – nel ’69-’70 – non era facile trovare nel campo del giornalismo cattolico chi credesse in lui. Per questo tutta la letteratura su padre Pio, edita in area cattolica, è venuta molto dopo.
I miei libri, così come gli articoli, non erano studiati a tavolino, ma nascevano da circostanze o richieste inaspettate e particolari. Solo una cosa me l’ero proposta e l’ho sempre mantenuta: raccontare testimonianze sicure, raccolte da persone che avevano vissuto i fatti in prima persona. Avevo coscienza di scrivere cose straordinarie, ma volevo che fossero documentate. Era anche una questione molto pratica: scrivendo su un settimanale di così vasta diffusione, se racconti qualcosa di minimamente inesatto, la settimana dopo arrivano telefonate e lettere a non finire. Ti spennano. Invece non ho mai ricevuto nessuna smentita, forse padre Pio mi ha tenuto sotto controllo!
• Ha continuato a tenerle quella sua mano sulla spalla?
Sì, probabilmente sì. Altrimenti avrei fatto brutta figura io... ma l’avrei fatta fare anche a lui!
• Ultima domanda. Nell’imminenza della beatificazione di padre Pio scriveva: «Il traguardo è ormai arrivato. Ed è alle porte anche l’ultimo atto: la canonizzazione, cioè il solenne riconoscimento della santità. La meta raggiunta ha significati e importanza che è difficile valutare adesso. Lo si potrà fare forse tra molti anni scoprendo che padre Pio sarà il santo emblematico del terzo millennio».
I molti anni sono passati, padre Pio è il santo emblematico del terzo millennio? Quali significati pensa che abbia avuto ed abbia la sua canonizzazione (la sua santità) per il nostro tempo?
Fino alla canonizzazione, padre Pio era conosciuto soltanto in Italia. Sì, anche negli USA, per esempio, aveva un seguito e in altri Paesi, ma restava un “fenomeno” tutto italiano. Con la canonizzazione invece la fama della sua santità ha valicato tutti i confini. Oggi è uno dei santi più amati in tutto il mondo, forse il più amato. Un santo universale.
Un giorno fra’ Modestino, un confratello di padre Pio, del quale è ora in corso il processo di beatificazione, mi disse: «Dimenticare le sue sofferenze significa tradirlo». «Padre Pio è stato soprattutto l’uomo della croce... Non è possibile pensare Gesù senza croce; non è possibile pensare padre Pio senza sofferenze. Vivendo accanto a lui ho visto guarigioni, conversioni, ho sentito i celestiali profumi che si sprigionavano all’improvviso dalle sue stimmate, sono stato testimone delle sue profezie, delle sue bilocazioni, e ogni volta provavo un grande stupore. Ma questi sono doni gratuiti di Dio. La santità di padre Pio sta in ciò che ha dato a Dio. E quella immane sofferenza che ha vissuto salendo ogni giorno sulla croce, come fece Gesù sul Calvario».
Questo è l’insegnamento di padre Pio: ci invita e insegna ad essere “corredentori”. Nel dolore poi padre Pio sperimentava una maggiore vicinanza del Signore. Credo che in un tempo come il nostro segnato da grandi prove e sofferenze, padre Pio sia il più adatto a insegnarci a saperle valorizzare e vivere in unione a Gesù, portando la croce, restando fedeli a Lui, in attesa di un tempo di risurrezione.