Se tale appello, quello della sofferenza vicaria, è così pressante e se sempre più anime sono dal Signore e dalla Madonna ingaggiate per questo ufficio per sé così drammatico, quanto deve essere grave la situazione del mondo, quanto deve essere impregnato ed avvelenato di peccato questo povero pianeta su cui viviamo? Nel panorama della folta schiera di “anime vittime” provvidenzialmente operanti e sofferenti nel secolo scorso e in quello presente, l’attenzione si posa volentieri su san Pio da Pietrelcina, colui che potrebbe essere definito il corifeo di questa schiera di anime generose, colui che ha vissuto il mistero di questa sofferenza vicaria anche con una visibilità straordinaria, avendo portato impressi nel suo corpo per 50 anni i segni sanguinanti della Passione del Cristo.
La sua missione, la missione dello stimmatizzato del Gargano, era rinnovare e riattualizzare la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo e i suoi frutti redentivi. «Che sia Gesù venuto di nuovo su questa terra sotto la veste di frate?», è quanto si domandava esterrefatta Cleonice Morcaldi, una delle più intime confidenti e figlie spirituali di padre Pio da Pietrelcina dopo il loro primo incontro. Tale era lo stupore di tutti quelli che accostavano quel misterioso Frate. La domanda della Morcaldi riassume lo stato interiore, la sorpresa delle centinaia di migliaia di uomini e donne che hanno potuto avvicinare il Padre lungo l’arco della sua vita. Ma quella domanda ha anche il pregio di riassumere la questione sorgiva inerente alla persona, al mistero, alla vocazione di padre Pio: quel frate era davvero un “alter Christus Crucifixus” e da questo fatto fondamentale si spiegano tutte le altre cose straordinarie che avvenivano in lui e attraverso di lui: prodigi, miracoli, profezie, locuzioni, bilocazioni e carismi di vario genere. Un altro Gesù, insomma, riedizione attuale del Nazzareno, mandato sulla terra da Dio per salvare l’umanità camminante pericolosamente sull’orlo dell’abisso proprio nel secolo che, di tutti, è stato il peggiore e più disastroso. Chi ha visto padre Pio, in pratica, ha visto Cristo redivivo e ha sperimentato la potenza vivificante dell’opera redentrice e salvatrice di Lui, Morto e Risorto.
L’impegnativa missione affidata dal Cielo al Frate di Pietrelcina comportava sofferenze fisiche e spirituali inaudite. Egli, con il trascorrere del tempo, comprendeva sempre più a fondo il significato di quelle sofferenze che lo avevano segnato fin da piccolo. Le piaghe dell’anima gli procuravano dolori ancora più profondi delle ferite del corpo: «Prima dei chiodi alle mani ed ai piedi, l’anima era già crocifissa», ricordava ai suoi direttori. La croce che, come un cireneo, portava per espiare le colpe del popolo di Dio, si componeva di dolore corporale con le malattie e le stimmate; ma concerneva anche una estenuante flagellazione dell’anima con le vessazioni diaboliche, le incomprensioni, le persecuzioni da lui tutte pazientemente sopportate ed offerte. I segni della Passione nel corpo di padre Pio riattualizzano, come in una sorta di sacro memoriale, le sofferenze e la morte redentrice del Salvatore. Non avvenimenti dovuti al caso o ad una serie di circostanze più o meno fortuite, esse sono al contrario il sigillo di tutta la missione di Cristo. Il mistero della sofferenza nella vita di padre Pio va letto essenzialmente in prospettiva cristologica e soteriologica, in quell’orizzonte cioè che disvela un autentico valore nella sofferenza, in quanto carica della “capacità redentiva”; ma è Cristo Crocifisso e Risorto cha ha dato alla sofferenza umana questa potenzialità radicale, dandole altresì un senso, un volto, un significato. Il patimento, dopo l’Incarnazione redentrice di Gesù Cristo, non sarà mai più segno dell’abbandono di Dio ma della partecipazione e comunione al grande mistero della redenzione da Lui attuata.
Il primo volume dell’Epistolario del Padre attesta con chiarezza la sua vocazione alla sofferenza vicaria mentre egli andava progressivamente disponendosi all’accettazione del volere divino. In una lettera del 29 luglio 1910 si legge: «Parmi di racconsolarmi ed incoraggiarmi a sempre più correre nella via della croce. Soffro è vero, ma intanto non mi dolgo perché Gesù così vuole» (Epistolario I, p. 193). Degno di nota è anche uno scritto indirizzato al suo direttore spirituale, padre Agostino da San Marco in Lamis, in data 20 settembre 1912: «Egli [Cristo, n.d.r.] si sceglie delle anime e tra queste, contro ogni mio demerito, ha scelto anche la mia per essere aiutato nel grande negozio dell’umana salvezza. E quanto più queste anime soffrono senza verun conforto tanto più si alleggeriscono i dolori del buon Gesù» (Epistolario I, p. 304). Nel testo citato, padre Pio parla di aiuto dato al Cristo «nel grande negozio dell’umana salvezza» e la sua partecipazione ai di Lui dolori. È, in effetti, la “testimonianza autoconfessata” della chiamata del Signore, a lui rivolta, alla sofferenza vicaria.
In un’altra lettera del 27 agosto del 1918 indirizzata a padre Pio da padre Benedetto (a quel tempo suo direttore spirituale) si parla di una vera e propria missione a corredimere. Nel tentativo di offrire una spiegazione teologica della mistica grazia della trasverberazione del cuore di cui padre Pio era da poco stato insignito, il padre Benedetto afferma: «Tutto quello che avviene in voi è effetto di amore, è prova, è vocazione a corredimere, e quindi è fonte di gloria [...]. Il fatto della ferita compie la passione vostra come compì quella dell’amato sulla croce» (Epistolario I, pp. 1068-1069). L’autore della lettera, parlando di vocazione a corredimere, palesa il senso cristologico e soteriologico – a cui prima si accennava – delle esperienze dolorose vissute dal Frate di Pietrelcina, di una vocazione a conformarsi in modo singolare al Cristo Crocifisso a beneficio dei fratelli; l’esperienza della trasverberazione assume, senz’altro, un valore prolettico in relazione a quanto si verificherà un mese dopo circa, quando la conformità crocifissa verrà suggellata dalle stimmate visibili alle mani, ai piedi ed al costato. Con la partecipazione dolorosa alla Passione dell’Amato sulla croce, padre Pio per grazia divina si associava alla stessa missione del Redentore. Il misterioso personaggio della trasverberazione e della stimmatizzazione, di cui parla padre Pio nelle sue lettere, è lo stesso Cristo. È per l’appunto questo Amante crocifisso Colui che sceglie il giovane sacerdote come sua vittima di amore e di dolore. Questa immedesimazione al Cristo Crocifisso, così, ben più che semplice imitazione di Gesù, è piuttosto principio efficace di collaborazione attiva alla Redenzione, flusso vivo del Sangue di Cristo: «Padre Pio, dunque, come primo sacerdote stimmatizzato che la storia della Chiesa registri, è stato chiamato a cooperare con Cristo alla redenzione del genere umano, contribuendo, con la sua vita e con lo svolgimento del suo ministero sacerdotale, ad applicare alle anime i meriti della vita, passione, morte e risurrezione di Cristo».
E giungiamo, finalmente, al culmine dell’itinerario corredentivo di padre Pio, laddove è svelato un ulteriore prodigio nella già prodigiosa e meravigliosa vocazione del Santo cappuccino. Un fatto sorprendente che si pone come vertice e compimento della vocazione oblativa del Santo cappuccino. Sarà mons. Piero Galeone a svelare quello che sembra uno dei più grandi misteri mai registrati dall’agiografia cristiana, che sortisce effetti meravigliosi in questi ultimi tempi e di cui la nostra generazione è testimone: «Padre Pio non si è limitato a lasciarci il suo sconvolgente esempio, la sua missione non è finita il giorno della sua nascita al cielo, il 23 settembre 1968. Monsignor Pietro Galeone [...] ha rivelato un segreto che lascia senza parole: “Padre Pio mi rivelò di aver chiesto a Gesù e di aver ottenuto non solo di essere vittima perfetta, ma anche vittima perenne, cioè di continuare a rimanere vittima nei suoi figli, allo scopo di prolungare la sua missione di corredentore con Cristo sino alla fine del mondo. Egli mi ha detto e confermato di aver avuto dal Signore la missione di essere vittima e padre di vittime sino all’ultimo giorno [...]”». Le conseguenze di una simile rivelazione non possono che essere grandiose. Si è letto qualcosa che suona come la garanzia che, in qualche modo, ci sarà fino alla fine del mondo qualche vittima, qualcuno che si immolerà per riparare, per scongiurare, per impetrare; ci sarà sempre qualche parafulmine interposto da Dio tra l’umanità peccatrice e la Giustizia divina…
Il grande e santo papa Pio X sul cui conto padre Pio diceva non essere salito mai uno più grande sul trono di Pietro, con cui ebbe profondi legami di ordine spirituale e che morirà proprio offrendosi vittima per scongiurare la Grande guerra, esortava i sacerdoti a “offrirsi vittime” e definendo ciò come “grande ufficio della pietà cristiana”. Il che vuol significare che — lungi dall’essere un’ascesi intimistica — proprio questo sacrificio di sé, assimilando a Cristo, permette al Signore di operare più efficacemente sulla terra. Ben più di quanto ottengono tutte le azioni umane e i progetti e le iniziative: «Questa “arma”, apparentemente povera e insignificante, l’arma del proprio corpo e del proprio cuore, l’arma dei poveri, dei piccoli e dei semplici, è – secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa – quella in cui più si manifesta la potenza di Dio, specialmente nel tempo della grande prova e della grande apostasia».
È l’offerta compiuta da padre Pio e dai Pastorelli di Fatima, sulla scorta del messaggio della Bianca Signora. È ancora il messaggio che si prolunga e che arriva, oggi, alle anime generose che vogliano assumersi il compito di fare da parafulmini della divina giustizia. C’è dunque una speranza. Alla fine il Bene dovrà trionfare.
di Fra’ Pietro Pio M. Pedalino, Il Settimanale di Padre Pio, N. 15/2022