PASSIONE
“Oggi sarai con me in Paradiso”. La meravigliosa metamorfosi del buon ladrone /3
dal Numero 14 del 3 aprile 2022
di Don Eugenio Bernardi

Gesù, riserva anche a me la grande, la bella Parola della speranza cristiana! Tutto quello che promette il mondo è nulla di fronte a questa tua grande promessa: «Oggi sarai con me in Paradiso».

Il ladrone guarda Gesù

Il buon ladrone rivolge a Gesù un supremo appello: «Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno», o come dice il greco: «Jesu, memento mei cum veneris in regno tuo» (Lc 23,42). Il greco presenta dunque una sfumatura degna di nota. L’accento sulla fiducia è più spiccato (il ladrone usa il familiare «Gesù»); e la speranza nel trionfo futuro è più manifesta (il ladrone non dice che Gesù entrerà nel suo regno – ciò che sarebbe bene espresso con l’accusativo «in regnum tuum» ma che verrà nello splendore del suo regno, il che è espresso chiaramente dal dativo di possesso «in regno tuo»). L’intenzione dell’Evangelista, che sapeva maneggiare bene il greco, è fuor di dubbio. Sarebbe stato molto più regolare dire «in regnum tuum» anche nel greco. 

Il povero ladrone è tanto fermo nella sua speranza, è così sicuro dei grandi destini di Gesù, che già Lo vede in pieno possesso del suo regno nello splendore della sua gloria. E Gli domanda che si ricordi di lui. 

Chi vedeva precisamente, in Gesù, questo brigante convertito? 

Certo egli vedeva in Lui il Messia promesso. Non c’è dubbio che questo povero diavolo fosse un ebreo. Egli dunque partecipava alla speranza comune dei suoi compatrioti nel futuro Messia, che immaginava come un re terreno. Non possiamo attribuire a questo uomo del popolo, grossolano e incolto, una sapienza teologica più grande di quella dei dottori della legge. Ora i dottori della legge credevano che il Messia sarebbe stato un re terreno che avrebbe ricondotta sulla terra la felicità, la pace e la giustizia. Gli ebrei, pur credendo confusamente alla sopravvivenza dell’anima (cf. salmo 48: «Salva dagli inferi la mia vita»), non riuscivano tanto facilmente a rappresentarsi una felicità trascendente, e perciò si fermavano a concetti di una felicità sensibile e terrena (cf. Bonsirven: Il giudaismo palestinese al tempo di Gesù). 

Il buon ladrone sapeva dunque che Gesù sarebbe presto ritornato sulla terra, nello splendore d’una gloria mai vista e nel fulgore d’una potenza universale e irresistibile, e che avrebbe fondato un regno di felicità e di virtù: «regno di giustizia, di amore e di pace» (prefazio della Festa di Cristo Re). 

Ma il buon ladrone vedeva forse in Gesù qualche cosa di più che un semplice re. Non è possibile che il poveretto non abbia udito l’accusa che i capi della nazione portavano a gran voce contro di Lui al tribunale di Pilato: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è proclamato figlio di Dio» (Gv 19,7). Ora è supponibile che il ladrone credesse Gesù reo del gravissimo sacrilegio, consistente nella pretesa inaudita di spacciarsi indebitamente per Figlio di Dio? Questo non è affatto supponibile. Tutto il contegno del ladrone è contro questa ipotesi. Che se Gesù non aveva mentito presentandosi come Figlio di Dio, si poteva forse considerarLo come un semplice uomo? D’altro canto, le parole del ladrone non sono forse una vera professione di fede: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena?». L’infelice riconosce che lui e il suo compagno di dolori, che si dimena e impreca, sono condannati allo stesso supplizio di Dio. E chi è questo Dio se non Gesù che è lì crocifisso in mezzo a loro? 

Gesù guarda il ladrone

Non c’è dubbio che il buon ladrone crede alla divinità di Gesù e che le sue parole sulla croce equivalgono per chiarezza e forse superano per merito, quelle dette da Pietro a Cesarea di Galilea: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente!» (Mt 16,16)... 

Ora, che cosa risponderà Gesù all’appello supremo del condannato pentito? È quello che vogliamo sapere. 

Rivolgiamo dunque lo sguardo e tutta l’attenzione verso Gesù. Ed ecco che io vedo un Capo venerando, tutto sformato dalle percosse: i capelli scomposti, le sopracciglia arruffate, la barba in scompiglio. Su quel Volto adorabile sono andati a scaricarsi pugni e schiaffi, manrovesci e colpi di bastone: una tempesta. L’han colpito nella parte più nobile della Sua umanità: il Volto, specchio della Sua Anima e del Suo Cuore. I suoi lineamenti sono sfigurati, l’impronta di decoro e di bellezza è cancellata: «Non c’è in lui bellezza né splendore» (Is 53,2). Eppure, sotto il velo dei livori e delle ammaccature, del gonfiore sformante e del sangue, c’è ancora la traccia d’una antica e non ancora del tutto perduta bellezza. Si possono ancora riconoscere il Lui lo splendore dei lineamenti d’una impeccabile proporzione e d’una folgorante maestà. Non sono che tracce semicancellate dalla violenza d’un odio inaudito, tracce leggere e sbiadite che lasciano però indovinare la bellezza d’un tempo. 

Ma insieme con questa povera bellezza peritura delle proporzioni e delle linee, io scorgo in Lui un’altra bellezza che non si può definire. È la bellezza spirituale del Suo grande Cuore. È come un riflesso di bontà che irradia dal Suo Volto santo. È qualche cosa che mi colpisce e mi commuove. Io non so cosa sia, ma sento che, in quel Volto maltrattato e pesto, c’è tutto Lui. I suoi occhi, già pieni dell’orrore d’una visione mortifera di turpe efferatezza umana, lasciano trasparire una tenerezza materna. Lo riconosco, è proprio Lui: il Maestro buono (Mc 10,17). 

E io vedo quel Volto santo piegarsi lentamente da un lato. Vedo quegli occhi rivelanti una bontà senza simile, abbassarsi verso l’infelice crocifisso alla sua destra. Ah, quegli occhi si sono allontanati con disgusto dalla visione dei grandi della terra, di quelli che erano reputati felici, di quelli che detenevano il potere, e ora si rivolgono a questo relitto umano, a questo rifiuto dell’umanità, a questa spazzatura del mondo, che il mondo vede con orrore e che cercherà di togliere dalla vista al più presto per nasconderlo nel profondo della terra. 

E sento quella voce, alterata sì, ma sempre dolce e cara: quella voce, la voce fievole ma sicura del Maestro che dice: «Oggi, sarai con me in Paradiso» (Lc 23,43). Gesù eleva le speranze del povero morituro a un livello inaspettato: al di sopra della felicità terrena, al di sopra di un regno qualsiasi di delizie e di giustizia: è il regno dove Gesù stesso è il premio degli eletti. Lì, non ci sarà una felicità riservata per Iddio e una riservata per gli eletti, perché questi godranno della felicità di Dio stesso: «Entra nella gioia del tuo Signore». Lì, il buon ladrone sarà con Gesù e parteciperà alla gioia di Lui per sempre (sarai con me). «La vita vera è essere con Cristo, perciò dove c’è Cristo, ivi c’è vita, lì c’è il regno» (sant’Ambrogio). E il poveretto, alla luce della grande Parola, intuisce, indovina ed esulta. «Oggi sarai con me in Paradiso!»... 

 

Gesù, riserva anche a me la grande, la bella Parola della speranza cristiana. Tutto quello che promette il mondo è nulla di fronte a questa tua grande promessa: «Oggi sarai con me in Paradiso». Le grandezze umane, la cosiddetta felicità umana, tutte le mirabolanti prospettive di quaggiù sono fuochi di paglia, specchietti per le allodole, nient’altro. Smargiassate, risibili spacconate della nostra illusa sufficienza!... Gesù, Tu solo mi basti! Te solo io voglio!   

 

 

* tratto da: “La Passione di Gesù”

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