I FIORETTI
Padre Pio e il mistero della sofferenza vicaria /1
dal Numero 14 del 3 aprile 2022

San Pio da Pietrelcina, santo portentoso e dono della divina Provvidenza, è stato uno dei casi più eclatanti e “potenti” di anime immolate per la salvezza degli uomini. E mai come in questo tempo storico di devastazione teoretica e morale in cui gli uomini corrono rovinosamente sulla strada della perdizione, la carità soprannaturale di questi uomini è assolutamente necessaria. 

Padre Pio cominciava ufficialmente la sua missione di corredentore e di vittima espiatrice a un anno esatto dagli eventi di Fatima con l’impressione delle stimmate visibili, il 20 settembre 1918: «Perché padre Pio ricevette nel 1918 le stimmate visibili (che lui non voleva) cosa che fece di lui un segno pubblico e che scatenò quel grande movimento di conversione? [...]. Perché quell’offerta propiziatoria della vittima fu il seme piantato nel momento iniziale del più colossale cataclisma spirituale della storia cristiana. C’entra [...] la Prima Guerra mondiale, la grande catastrofe da cui tutto si scatenò (le ideologie del male, tutti i totalitarismi con i loro genocidi), la Seconda Guerra mondiale, quelle persecuzioni contro la Chiesa mai viste prima nella storia e c’entra la gravissima crisi della Chiesa, l’immane apostasia del nostro tempo, l’apocalittico crollo del sacerdozio. L’offerta di padre Pio e la risposta celeste delle stimmate sono misteriosamente legate anche a Fatima, evento soprannaturale di enorme portata profetica. E infatti accade, anch’esso, nel cuore della grande guerra e preannuncia tutto ciò che abbiamo appena evocato». 

Il Santo frate cappuccino, si sa, nutriva una profonda devozione per il mistero di Fatima. Una delle ragioni principali era di certo quel messaggio corredentivo proposto dalla Vergine Santissima e incarnato dai tre veggenti che trasmisero, con la loro vita ancor più che con le loro parole, l’urgente appello da Lei consegnato al mondo poco più di cento anni fa. Mirabile, in particolare, come i due piccoli santi fratellini Marto siano stati in grado di incarnare il messaggio corredentivo di Fatima dando a tutti un esempio di prima qualità: «San Francesco e santa Giacinta [...] sono andati davvero all’essenziale, facendosi vittime con Gesù Vittima, agnellini immolati con “l’Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Li muoveva una carità gigante e mai sazia di offrire e soffrire per amore di Gesù e Maria per la salvezza dei peccatori, per riparare i peccati [...]. Questa carità sacrificale è carità che non inganna e non illude gli altri né si prende gioco di Dio, perché è la stessa carità di Cristo sofferente e morente per noi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). In questo senso, questa carità sacrificale è il più fruttuoso “amore per i poveri” del mondo perché non ubriaca nell’illusione di salvarli dai mali sociali e dai disagi economici (ricordava il Signore: “I poveri li avrete sempre con voi”: Gv 12,8) ma, per mistero soprannaturale, realizza una “vicaria spirituale” tramite la preghiera e la sofferenza per cui i veri amanti di Dio e delle anime liberano tanti loro fratelli dal peccato e dalle fiamme dell’Inferno».

È quanto esprimeva papa Benedetto XVI nel 2010 a Fatima con pregnanti parole: «Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?” (Memorie di Suor Lucia, I, p. 162)».

Questa medesima richiesta, in modo sorprendente, il Signore l’avrebbe rivolta al santo Frate di Pietrelcina. Nel suo best-seller Il segreto di Padre Pio, il saggista Antonio Socci faceva questa significativa riflessione: «La cosa veramente sconvolgente, indicibile, è la sofferenza vicaria, l’esistenza di vittime che silenziosamente, da tutti ignorate, si caricano di sofferenze per pagare colpe altrui, espiano per tutti, liberando anche tante anime del Purgatorio. Questa opera è l’unico, grande movimento di liberazione, l’unica vera “teologia della liberazione” che renda felici delle moltitudini e che non provochi tragedie». E altrove ribadiva il pensiero: «è questa “sostituzione vicaria” che sconvolge, il fatto cioè che una persona possa volontariamente espiare le colpe di molti e prendere su di sé le loro sofferenze per guarirli». Un grande mistero, davvero, quello della sofferenza vicaria. È, infatti, sorprendente notare come, nei suoi messaggi al mondo (di cui Fatima potrebbe costituire la sintesi e il “progetto architettonico” che viene poi dettagliato in apparizioni e messaggi più recenti), la Vergine Maria stia, ormai da tempo, estendendo la sua richiesta di immolazione e di offerta a tante anime che, all’apparenza, non hanno nulla di speciale eppure ad esse Ella chiede un’eroica autoimmolazione per placare l’ira del Giudice divino. Queste anime elette svolgono, così, la delicata e provvidenziale funzione di “parafulmini” della giustizia divina pagando di persona perché il popolo sia risparmiato.

Nota con sagacia il saggista Saverio Gaeta in un suo recente libro: «Se il nostro pianeta non si è ancora dissolto nell’autodistruzione nucleare o per una catastrofica calamità naturale è soltanto grazie alle anime-vittima: per la maggior parte donne, umili e semplicissime, che si sono offerte al Signore e hanno preso su di sé le drammatiche sofferenze che altrimenti sarebbero già toccate all’intera umanità». Si tratta di esseri umani come tutti noi, eppure diversi da noi per l’eroismo con cui hanno liberamente scelto di caricarsi del dolore del mondo. Offerta mossa da carità sconfinata perché la sofferenza spiace e costa alla natura che tende, per sé, alla tranquillità dell’anima e dei sensi. Questa dinamica di lotta, esemplata su quella stessa ingaggiata dal Salvatore e testimoniata dai Santi Vangeli, è esperienza comune delle anime-vittima.

È noto quanto duro fu per il Signore caricarsi del peso del peccato dell’umanità con tutte le sofferenze che comportava la sua Incarnazione redentiva. L’atrocità della lotta del Salvatore è registrata dagli Evangelisti soprattutto in occasione della sua preghiera nell’orto degli Ulivi, nell’imminenza della Passione: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26,39). Ma alla fine l’amore di Cristo fu più grande e il Buon Pastore diede la sua vita in riscatto di molti: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (2Pt 2,20). Benedetto XVI, circa la preghiera di Cristo nel Getsemani, annota: «Le due parti della preghiera di Gesù appaiono come la contrapposizione di due volontà: c’è la “volontà naturale” dell’uomo Gesù, che recalcitra di fronte all’aspetto mostruoso e distruttivo dell’avvenimento e vorrebbe chiedere che il calice “passi oltre”; e c’è la “volontà del Figlio”, che si abbandona totalmente alla volontà del Padre». La “realtà salvifica” sta nel fatto che «nel giardino [...] Gesù ha accettato fino in fondo la volontà del Padre, l’ha fatta sua e così ha capovolto la storia».

Una di queste anime-vittima è stata la mistica tedesca Teresa Neumann, vissuta tra il 1898 e il 1962 che, a partire dal 1926, si limitò ad ingerire quotidianamente l’Ostia consacrata senza più nutrirsi con cibi o bevande, al punto che durante la Seconda Guerra mondiale i nazisti non le assegnarono l’indispensabile tessera annonaria per l’acquisto degli alimenti. Il suo biografo Fritz Gerlich trascrisse il dialogo che ebbero circa le pene di espiazione: «“Il Salvatore è giusto, perciò deve punire. Egli però è anche buono, perciò vuol aiutare. Il peccato commesso deve essere punito, ma se un altro vuole assumere la pena, la giustizia viene rispettata e il Salvatore può esplicare la sua bontà”. Questo discorso mi indusse a chiederle quale rapporto avesse lei con il dolore. Credevo, infatti, di aver osservato che ne avesse paura e si sforzasse di sopportarlo solo con grande forza d’animo e per obbedienza alla disposizione divina che le aveva imposto questa croce. Lei rispose alla mia domanda: “Il dolore non può piacere. Non piace neanche a me. Nessun essere vivente ama soffrire e io sono un essere vivente come gli altri. Amo però il volere del Signore e quando Lui mi manda una sofferenza l’accetto perché Lui lo vuole. Ma il dolore non mi piace”».

Non fu di certo diverso per padre Pio: «Padre Pio non ama la croce per se stessa. Nessuno può amare la sofferenza per se stessa. L’istinto naturale fa respingere la sofferenza con impulso netto ed immediato. Anche l’istinto di conservazione entra subito in azione per respingere ciò che attenta al benessere dell’uomo. Qual è il motivo, allora, per cui padre Pio ha amato la croce, l’ha voluta, l’ha fatta propria con una passione spinta fino alla predilezione per la sofferenza? La risposta è questa: “L’amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù”. Padre Pio ha scoperto il valore della croce, la sua importanza, la sua preziosità. Dal momento che Gesù si è addossato la croce, dalla nascita nella stalla di Betlemme alla morte sulla croce del Calvario, c’è da credere che la croce abbia un valore, un grande valore [...]. La croce sulle spalle di Gesù diventa amore redentivo, amore che ripara, amore che salva e santifica. È proprio con la croce, per mezzo della croce, sulla croce, che Gesù ci ha salvato e ci ha ridonato la vita divina, perduta con il peccato dei nostri Progenitori e con i nostri peccati di ogni giorno [...]. Padre Pio ha contemplato con passione e ardore Gesù crocifisso, tutto “piaga d’amore”, e non ha resistito all’attrazione di quell’amore bruciante, perdendosi nelle piaghe del Crocifisso fino al punto di sentirsele riprodurre al vivo, trafiggenti e sanguinose nel proprio corpo. Croce, piaghe, sangue: sono realtà d’amore che salva e santifica, che purifica e trasfigura, che redime ed innalza verso il Cielo. Per questo Gesù crocifisso è Gesù Amore. Per questo padre Pio ha voluto diventare, come afferma Paolo VI, “rappresentante stampato delle stigmate di Nostro Signore”». (continua)

 

di Fra’ Pietro Pio M. Pedalino, Il Settimanale di Padre Pio, N. 14/2022

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