«Quando si discosta dal disegno di Dio creatore, l’uomo provoca un disordine che inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Se l’uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace». Parole di san Giovanni Paolo II che inquadrano meglio di tante altre il problema ecologico.
Diciamo la verità, nessuno pare essersi accorto che la bandiera della buona battaglia in difesa della natura e del nostro habitat venga innalzata, paradossalmente, proprio da quegli ambienti e da quelle persone che meno sarebbero legittimate ad appropriarsene:
- quegli scientisti e quei tecnocrati che con la loro fede illimitata nella scienza, diventata una vera e propria ideologia, nel progresso e nella tecnica, hanno messo in moto un meccanismo di tipo faustiano che difficilmente essi stessi riescono a controllare e che molto probabilmente non saranno nemmeno in grado di arrestare;
- quegli “esperti” economici e quei leader politici, che sono i principali fautori di un sistema che ha fatto – come ricordava anche Giovanni Paolo II nella sua enciclica Sollecitudo rei socialis – del consumismo selvaggio e del profitto ad ogni costo il proprio verbo indiscusso.
Mentre bisognerebbe, finalmente, rendersi conto che la vera causa del disastro ecologico ed ambientale va individuata e ricercata proprio in quella mentalità utilitaristica ed edonistica che, purtroppo, molta parte della cultura moderna ha contribuito a diffondere, indicando come ultimo fine dell’uomo solamente il benessere materiale ed il piacere individuale.
Così anche, una volta per tutte, andrebbe chiarito che «il disastro ecologico si profila e si afferma nel mondo occidentale – come ebbe a dire in una memorabile omelia il cardinale Giacomo Biffi, ad Assisi, in Santa Maria degli Angeli – quando, smarrito il senso di Dio e della universale Signoria di Cristo, la natura è apparsa come una casa senza padrone, esposta alla rapina di tutti, indifesa di fronte alla incontrollata volontà di dominio di chi ritiene di non aver nessuno sopra di sé a cui rendere conto dei suoi atti e delle sue pretese insaziabili». E che non potranno essere le soluzioni tecniche ed i provvedimenti tampone a farci invertire la marcia, come rilevava anche Giovanni Paolo II. Ieri ed oggi.
All’inizio del 1990 il Santo Padre lanciò il suo appello per la «Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato», andando direttamente al cuore del problema ecologico che, come andiamo dicendo da sempre, è, innanzitutto, un problema di carattere morale.
«In un mondo sempre più interdipendente la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato non possono che essere il frutto dell’impegno di tutti nel perseguire insieme il bene comune», perché, continuava il Papa, «il mondo è stato creato per tutti e non per pochi».
È, in effetti, il discorso di sempre quello che fece Giovanni Paolo II e che propose non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà.
Partendo dall’antropologia cristiana e dalla concezione tradizionale dell’uomo, inteso come microcosmo organizzato secondo un ordine, che non può essere alterato senza rompere anche l’equilibrio del macrocosmo anch’esso ordinato secondo una Razionalità Superiore, il Pontefice partiva dalla caduta di Adamo ed Eva e dalla loro ribellione, per stabilire il momento di rottura di quell’equilibrio individuale e cosmico.
«Adamo ed Eva avrebbero dovuto esercitare il loro dominio sulla terra con saggezza e con amore. Essi, invece, con il loro peccato distrussero l’armonia esistente, ponendosi deliberatamente contro il disegno del Creatore. Ciò portò non solo all’alienazione dell’uomo da se stesso, alla morte e al fratricidio, ma anche ad una certa ribellione della terra nei suoi confronti».
E, poi, riproponendo l’insegnamento tradizione della Chiesa, che diventò un vero e proprio leit-motiv di tutte le sue encicliche, ricordava che: «Quando si discosta dal disegno di Dio creatore, l’uomo provoca un disordine che inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Se l’uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace».
Per cui dovrebbe essere evidente che «un’idonea soluzione non può consistere semplicemente in una migliore gestione, o in un uso meno irrazionale delle risorse della terra. Pur riconoscendo l’utilità pratica di simili misure, sembra necessario risalire alle origini e affrontare nel suo insieme la profonda crisi morale, di cui il degrado ambientale è uno degli aspetti preoccupanti».
Del resto, basta andare ad indagare sulle vere cause del problema, per rendersene conto. Un’applicazione indiscriminata dei progressi scientifici e tecnologici, promossa e derivante da una mentalità scientista, utilitaristica, edonistica, a lungo andare ha prodotto effetti così negativi da compromettere quei benefici che pure la scienza e la tecnologia hanno arrecato all’umanità.
La mancanza di rispetto per la vita ha consentito che prevalessero le ragioni della produzione e del profitto sulla dignità dell’uomo e sul bene delle singole persone e di intere popolazioni e così, nel nome del progresso e del benessere, delicati equilibri dell’ecosistema sono stati alterati con distruzioni indiscriminate di intere specie animali e vegetali e con lo sconvolgimento di vasti territori.
E poiché chi ha determinato tutto questo sono stati singoli gruppi, imprese e potentati economici, Stati ed Organizzazioni internazionali, è necessario che tutti si convincano che l’unica norma ispiratrice di un sano progresso economico, industriale e scientifico sta innanzitutto nel rispetto per la vita e la dignità della persona umana.
Ma anche questo non sarà sufficiente. Infatti «la società odierna non troverà soluzione al problema ecologico, se non rivedrà seriamente il suo stile di vita. In molte parti del mondo essa è incline all’edonismo ed al consumismo e resta indifferente ai danni che ne derivano. Come ho già osservato – disse Giovanni Paolo II – la gravità della situazione ecologica rivela quanto sia profonda la crisi morale dell’uomo. Se manca il senso del valore della persona e della vita umana, ci si disinteressa degli altri e della terra. L’austerità, la temperanza, l’autodisciplina e lo spirito di sacrificio devono informare la vita di ogni giorno, affinché non si sia costretti da parte di tutti a subire conseguenze negative della noncuranza dei pochi».
Si tratta, appunto, di raffreddare quella che è stata definita la strategia del desiderio.
Ma per tentare di fare questo sarebbe urgente lanciare una vera e propria offensiva di carattere pedagogico, che non ha nulla a che fare con il cosiddetto ambientalismo verde, che richiami l’umanità alla responsabilità, alla difficile e dura responsabilità verso se stessi, verso gli altri, verso tutti gli esseri viventi e verso la terra e l’ambiente che ci circonda.
Partendo, cioè, dalla famiglia, prima e naturale educatrice, per arrivare alla scuola, alle associazioni, ai governi, alla stessa Chiesa Cattolica, un’azione educativa dovrà essere compiuta ad ogni livello, andando oltre ogni sentimentalismo ed ogni velleitarismo, ma rifiutando anche ogni arcaico ritorno al paradiso terrestre e soprattutto l’odierna ideologia della “decrescita felice”.
Nell’universo, sulla terra, nell’uomo, esiste un ordine che deve essere rispettato e l’uomo con il suo libero arbitrio ha la grande responsabilità verso se stesso e verso le generazioni future di conservare questo ordine, pena il caos dentro e fuori di sé, pena la distruzione del pianeta e del genere umano.