FEDE E CULTURA
Atteggiamento democristiano: un conto è l’equilibrio, altro la moderazione
dal Numero 26 del 28 giugno 2020
di Corrado Gnerre

La spinta alla “moderazione”, geneticamente propria della DC e sempre più accentuata negli anni, ha favorito la secolarizzazione dell’Italia più di quanto non fossero riusciti a fare gli avversari della Fede. Questo è quanto emerge passando l’ideologia democristiana al vaglio della storia.

Le parole equilibrio e moderazione sono simili ma non uguali. Se vengono utilizzate in politica esprimono atteggiamenti molto diversi.

Partiamo dalla parola equilibrio. Per chi vuol far politica cristianamente, questa parola fa riferimento alla possibilità di modellare la società (che è l’oggetto dell’attività politica) secondo i princìpi della Verità, rispettando la giusta autonomia tra ciò che è temporale e ciò che è religioso.

La seconda parola (moderazione) fa riferimento in politica ad un’altra possibilità: quella di saper stemperare i princìpi per rendere possibile un fare politica quanto più libero da qualsiasi vincolo ideale. Smorzare i vincoli ideali perché convinti che sarebbero più un ostacolo che un aiuto all’azione politica.

Ci spieghiamo meglio. Moderare vuol dire in un certo senso “sedare”, “spegnere”, “ridurre”. Equilibrare, invece, non rimanda a nessun tentativo di riduzione, quanto alla capacità di saper trovare una soluzione possibile tra due o più posizioni. Tutt’al più l’equilibrio implica un adattamento, non uno spegnimento della propria carica ideale.

Questa premessa è importante anche per capire cosa è stata e cosa è l’ideologia democristiana nell’ambito dell’azione politica.

Prendendo spunto dalla comparazione che abbiamo appena fatta, si può dire che l’ideologia democristiana si pone non nell’ambito della virtù dell’equilibrio quanto dell’atteggiamento di moderazione. Da qui l’ambiguità di fondo di questa ideologia.

Il filosofo a cui solitamente il democristianismo (permetteteci questo termine) fa riferimento è il francese Jacques Maritain (1882-1973), famoso per il suo desiderio di individuare una “terza via”.

Maritain aveva una fissazione: la modernità non è ciò che il pensiero cristiano ne aveva detto fino ad allora, ma una categoria essenzialmente positiva. Il pensiero cristiano aveva insegnato la necessità di distinguere tra progresso, che è di per sé positivo, e modernità, categoria negativa perché si fonda sulla pretesa di rendere l’uomo completamente autosufficiente; da qui l’avversione della modernità stessa per il Cristianesimo che si fonda invece sulla natura creaturale dell’uomo. Ma Maritain non era d’accordo con tutto questo e disse che se la modernità se la prendeva con la Chiesa non era per colpa sua, bensì perché la Chiesa non aveva saputo aprirsi alla modernità stessa.

Partendo da questa convinzione, arrivò a dire che la storia sarebbe stata sempre e comunque progresso, che la meta verso la quale l’umanità si indirizzava sarebbe stata certamente positiva. E quale sarebbe stata questa meta? Una “nuova cristianità”... ma attenzione! Non più sacrale e gerarchica, bensì “laica”, liberale, democratica e pluralista. Il tutto condito con una “fratellanza universale”, per Maritain superiore a quella cristiana.

Da qui anche la sua convinzione che il socialcomunismo non fosse un’ideologia «intrinsecamente perversa», secondo la nota definizione di papa Pio XI, ma una sorta di “eresia cristiana impazzita”, essenzialmente buona, ma guastata solo dalla professione di ateismo.

Maritain influì sul democristianismo italiano soprattutto attraverso le figure di Lazzati, La Pira e Moro. Proprio quest’ultimo, a proposito dei vincoli ideali che costituirebbero ostacolo all’azione politica, disse in un suo discorso pronunciato il 20 luglio del 1975 riferendosi alla DC: «La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere nel riserbo della coscienza alcune valutazioni rigorose, alcune posizioni di principio che erano proprie della nostra esperienza in una fase diversa della vita sociale, ma che fanno ora ostacolo alla facilità di contatto con le masse e alla cooperazione politica».

Ora, a parte il fatto che la “profezia” di Maritain si è rivelata una vera e propria “bufala”... e di “nuova” o “nuovissima cristianità” neanche l’ombra; a parte questo, dicevamo, resta il fatto che Maritain ha influito sul democristianismo accentuando la carica di “moderazione” che l’ideologia democristiana già possedeva nel suo DNA.

Lo dimostra ciò che ha saputo fare la Democrazia Cristiana in Italia e non solo in Italia. Di esempi se ne potrebbero fare tantissimi.

Ci limitiamo a dire (scusate se è poco!) che l’ideologia democristiana ha dato un contributo notevole alla scristianizzazione dell’Italia. E senza tradire il suo spirito, anzi! Come abbiamo detto, il democristianismo ha sempre auspicato una “cristianità” paradossalmente “non cristiana”.

Fin dal 1967 il noto filosofo cattolico Augusto Del Noce, che aveva militato e continuerà in seguito a militare nella DC, scriveva: «Guardiamoci intorno: in Italia, i democristiani sono da venti anni al governo [scriveva nel ’67!]: eppure per molta parte dei giovani la parola Dio è letteralmente senza senso; non si tratta neppure per loro di prendere posizione, rispetto alla religione, né pro, né contro». E venti anni dopo, poco prima di morire, ribadì: «[...] una secolarizzazione così piena non era riuscita né ai giacobini, né ai massoni, né ai comunisti». E Francesco Cossiga, condividendo appieno il ruolo della DC negli anni precedenti, scriveva nel 1992: «La DC ha meriti storici grandissimi nell’aver saputo rinunciare alla sua specificità ideologica, ideale e programmatica [ecco la “moderazione” di cui parlavo prima]: le leggi sul divorzio e sull’aborto sono state tutte firmate da Capi di Stato e da ministri democristiani che giustamente, in quel momento, hanno privilegiato l’unità politica a favore della democrazia, della libertà e dell’indipendenza, per esercitare una grande funzione nazionale di raccolta dei cittadini».

Dunque, la Legge che introdusse l’aborto in Italia porta la firma di un buon numero di ministri democristiani fra cui anche quella dell’allora Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, che, per giustificarsi, ebbe a dire che firmò per evitare la perdita della Presidenza del Consiglio alla DC! Cosa che avvenne ugualmente di lì a qualche anno, in un sistema elettorale, come quello di un tempo, in cui le crisi di governo erano più frequenti delle piogge d’autunno. E pensate che in Parlamento una maggioranza antiabortista c’era eccome, ma la DC, che ha sempre guardato a sinistra come se soffrisse di torcicollo verso destra, si ostinò a rifiutare i voti dell’allora MSI.

Ci consta che, con il senno di poi, Andreotti si sia pentito di quella firma... bene così, ma quanto diverso quell’atteggiamento rispetto a ciò che farà una decina di anni dopo il re del Belgio, Baldovino, lui sì non democristiano, che non volle firmare la Legge di legalizzazione dell’aborto dicendo di sentirsi re non solo di chi si sarebbe potuto difendere da solo, ma soprattutto di chi non avrebbe potuto avere questa possibilità, come i bimbi nel grembo delle mamme. Disse che sarebbe stato disposto ad abdicare ma che mai avrebbe firmato quella Legge. La soluzione fu poi trovata dai deputati del Parlamento belga che non volevano rischiare la poltrona con nuove elezioni: sospesero il Re per un giorno e fecero passare la Legge. Baldovino, ne uscì da Re! Da vero Re... e non da moderato, perché sui princìpi non si modera affatto!

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits