L’“Adorazione dei Magi” di Botticelli divenne musica per mano di Ottorino Respighi, che ne fece il movimento centrale del suo “Trittico botticelliano” per piccola orchestra nel quale l’arte del Pittore fiorentino è magistralmente evocata assieme alla retta dottrina sull’Incarnazione.
In questo Tempo di Natale siamo invitati ad adorare il Verbo divino, la seconda persona della Santissima Trinità, che da invisibile apparve visibilmente nella nostra carne, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta (cf. Praefatio II de Nativitate Domini).
Eppure fa breccia nel nostro mondo la concezione del «Cristo come Gesù di Nazareth, uomo, non Dio incarnato. Una volta incarnato, Gesù cessa di essere un Dio e diventa fino alla sua morte sulla croce un uomo» (1). Parole che ribadiscono sottilmente quanto fu affermato dal cardinale Carlo Maria Martini: «La Resurrezione del Cristo non è un miracolo. Il Dio che attraverso il Figlio ha assunto natura umana, dopo la morte sulla croce riassume la sua natura divina e immortale» (2).
Grazie a Dio, sia Sandro Botticelli (1445-1510), uno dei più singolari pittori del Rinascimento italiano, sia Ottorino Respighi (1879-1936), il compositore delle pagine orchestrali che meglio trasmettono il colore e l’atmosfera di Roma, non sono contaminati dai suddetti errori ed eresie e ci fanno il graditissimo dono dell’Adorazione dei Magi.
Ci riferiamo a una pala d’altare (ora alla Galleria degli Uffizi a Firenze) dipinta dal Pittore fiorentino verso il 1475 per una cappella di Santa Maria Novella a Firenze, dove, sullo sfondo di antiche rovine: «Si vede tanto affetto nel primo vecchio, che baciando il piede di Nostro Signore, e struggendosi di tenerezza, benissimo dimostra avere conseguita la fine del lunghissimo suo viaggio. E la figura di questo re è il proprio ritratto di Cosimo vecchio de’ Medici, di quanti a’ dì nostri se ne ritrovano, il più vivo e più naturale. Il secondo, che è Giuliano de’ Medici, padre di papa Clemente VII, si vede che intensissimo con l’animo divotamente rende riverenza a quel putto, e gli assegna il presente suo. Il terzo che, inginocchiato egli ancora, pare che adorandolo gli renda grazie e lo confessi il vero Messia, è Giovanni figliolo di Cosimo.
Né si può descrivere la bellezza che Sandro mostrò nelle teste che vi si veggono; le quali con diverse attitudini son girate, quale in faccia, quali in profilo, quale in mezzo occhio, e qual chinata, ed in più altre maniere e diversità d’arie di giovani, di vecchi, con tutte quelle stravaganze che possono far conoscere la perfezione del suo magistero; avendo egli distinto le corti di tre re di maniera, che e’ si comprende quali siano i servidori dell’uno e quelli dell’altro: opera certo mirabilissima, e per colorito, per disegno e per componimento ridotta sì bella, che ogni artefice ne resta oggi meravigliato» (3).
E infatti ne resta meravigliato anche «il maestro Respighi, il più aristocratico dei nostri compositori, il più geniale dei nostri sinfonisti», come lo definisce Ada Negri (4), al punto da farne il movimento centrale del suo Trittico botticelliano per piccola orchestra, composto nel 1927. In un’atmosfera orientaleggiante, il movimento dei personaggi è ben reso da continui cambiamenti di ritmo e transizioni dalla modalità alla tonalità; i colori delicati, lirici del Botticelli sono ben evocati da un organico strumentale ridotto, rispetto a quello dei celebri poemi sinfonici di Respighi (flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba, triangolo, campanelli, celesta, arpa, pianoforte e archi). Cogliamo la profondità del Natale − quello secondo il Vangelo, che la fede ci aiuta in qualche modo a comprendere, ossia la venuta di Cristo nel mondo, l’Incarnazione del Verbo di Dio, non altre stravaganze − grazie a due noti motivi.
Il primo, Veni, Emmauel, eseguito − quasi un organo − da flauto e fagotto a distanza di due ottave, è un bellissimo inno d’Avvento francese del XV secolo, che ha maggior fama nei paesi anglosassoni, dove si canta O Come o come Emmanuel, piuttosto che in Italia. Il testo delle strofe si basa sulle Antifone O, cioè le sette antifone maggiori dell’Avvento che si cantano ai Vespri tra il 17 e il 23 dicembre e iniziano tutte con il vocativo «O» (O Sapientia, O Adonai, O Radix Jesse, O Clavis David, O Oriens, O Rex gentium, O Emmanuel); le parole del ritornello preparano al Natale: «Rallegrati, Rallegrati! L’Emmanuele nascerà per te, o Israele».
Un episodio dall’atmosfera orientaleggiante, con frammenti della melopea con cui è iniziata l’Adorazione, ci porta verso Tu scendi dalle stelle, il secondo canto natalizio qui incluso, scritto a Nola nel dicembre 1754 da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa. Tale melodia ora quasi emerge tra i doni orientali recati dai Magi e rimane «fino ad oggi, quando ancora la possiamo sentire cantare fin nelle più remote parrocchie, il simbolo italiano del Natale» (5). In questo modo Respighi italianizza ingegnosamente il Natale, come fa Botticelli nella sua tempera su tavola, dove i Magi, che rappresentano tutte le genti a cui il Signore si manifesta, giungono a Betlemme dall’Italia invece che dall’Oriente per rendere omaggio al Re dei Giudei (cf. Mt 2,1-2).
Se ci rattrista il fatto che all’interno dell’unica Chiesa Cattolica una religione neo-modernista oggi voglia esistere insieme a quella tradizionale, ci consola l’Adorazione dei Magi di Respighi.
NOTE
1) E. Scalfari ne La Repubblica dell’8 ottobre 2019.
2) Cardinal Martini in E. Scalfari, Il Dio unico e la società moderna, Einaudi 2019, p. 24.
3) G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti, vol. III, Sansoni, Firenze 1878, pp. 315-316.
4) Cf. P. Maurizi, Ettore Patrizi, Ada Negri e la musica, Morlacchi, Perugia 2007, p. 41.
5) G. Pestelli, Le Sonate di Domenico Scarlatti, Giappichelli, Torino 1967, p. 205.