Una visione profondamente cristiana del mondo e della storia attraversa come in filigrana i capolavori di Tolkien, plasmando personaggi, luoghi e vicende. Mediante le sue opere, l’Autore ci introduce al senso dell’avventura, intesa come una chiamata al bene che il cuore generoso dell’uomo non deve rifiutare. Di questo parliamo lungo il cammino con Tolkien.
«Bilbo era a un punto cruciale della sua vita,
ma non lo sapeva. Si mise in tasca l’anello
quasi senza pensarci».
Tolkien ci ha raccontato la paura di Bilbo Baggins che, nello sfuggire ai terribili Orchi, era caduto in un tunnel misterioso e oscuro e aveva iniziato a conoscere da vicino la tentazione del male, da solo, nelle tenebre: «Bilbo si sedette sul pavimento freddo abbandonandosi alla più completa disperazione». Egli fu rinfrancato dall’aver ritrovato, cercando a tastoni nel buio, un po’ di bene, ciò a cui era affezionato e a cui pensava di dover rinunciare: la sua cara pipa e un po’ di tabacco. Anche la spada che aveva sottratto agli stolidi Uomini Neri riluceva pallida e offuscata davanti ai suoi occhi e anche questo lo rincuorava: era una lama forgiata a Gondolin per le guerre contro gli Orchi. Tolkien quindi ci ha fatto gustare lo spirito di un sano Hobbit, Bilbo Baggins, cioè di colui che sa rimettersi (potremmo dire “cristianamente in piedi”) dopo una rovinosa caduta: «Gli Hobbit si possono muovere molto silenziosamente. E rimettersi in modo fantastico da cadute e contusioni». Rimane davvero straordinaria la descrizione della caducità terrena, espressa nell’assenza di luce, di aria: potremmo quasi dire che Tolkien ci ha fatto intravedere (e temere) un anticipo di inferno; il tutto contrapposto alle caverne arieggiate, semplici e colorate degli Hobbit.
In questo tetro luogo, viscido e umido, Bilbo poteva ora incontrare un suo simile, uno Hobbit degenerato e guastato dal peccato e dal fascino iniquo dell’anello: Gollum. Tolkien ha voluto farci notare (anche fisicamente) la devastazione del peccato: «Qui, nel profondo, presso l’acqua scura, viveva il vecchio Gollum, un essere piccolo e viscido, scuro come l’oscurità stessa, eccezion fatta per due grandi occhi rotondi e pallidi nel viso scarno». Mi sono sempre chiesto: perché Tolkien, dinanzi alla vecchiaia ed al marciume di Gollum, ha voluto farci osservare la bellezza dei suoi due occhi grandi e rotondi? Credo semplicemente perché cogliessimo la bellezza originaria di una creatura deturpata dal peccato e perché potessimo sfuggire alla tentazione dell’anello del potere e del Maligno. Com’era stato possibile cadere così in basso? Com’era possibile che con questi begli occhi, fatti per contemplare il Cielo ed il creato, si guardasse alle sole cose terrene, alle illusioni di un potere fittizio che trascinava verso il baratro della perdizione eterna? Ecco cosa rappresentava Gollum agli occhi di Tolkien: la deformazione orribile fisica e spirituale del peccato. Gollum era stato bello agli occhi del Creatore e quegli occhi, a immagine divina, attestavano che Dio fece ogni cosa bella ma anche che il Maligno avrebbe potuto sciupare quel meraviglioso disegno originario. Rimaneva un barlume di luce in Gollum, una fievole fiammella di speranza che talvolta traluceva in quelle tenebre dello spirito: qualcosa a cui un semplice e umile Hobbit, come Bilbo prima e come Frodo poi, sembravano appellarsi. Gollum, uno Hobbit come loro, corrotto a tal punto da non esistere che per se stesso e per quel terrificante anello che Bilbo, inconsapevolmente, si era messo in tasca. L’incedere ingobbito e a carponi di Gollum sintetizzava lo strisciare del serpente, così come i sussurri e i sibili con tante “s” sibilline: «Che cosa sssarà, tesssoro mio?». Il traviamento morale e spirituale di Gollum era condensato da Tolkien nelle espressioni mascherate del bene: «Benedicici e aspergici, tesssoro mio!». Questa era l’amara vita di Gollum e ciò che aveva riservato per lui l’anello, portandolo alla dannazione. Da buon cattolico, Tolkien ha voluto riproporci quel brano evangelico: «Dov’è il tuo tesoro lì è il tuo cuore» perché ne verificassimo, nella condizione di Gollum, l’esattezza. Rimanga da monito anche ai nostri giorni quanto l’aver sostituito “Dio Uno e Trino” con il “dio quattrino” abbia portato a tali miserevoli scenari. A quel vero tesoro dell’amore divino non possiamo anteporre alcun anello, alcun tesssoro!
«Gli Hobbit hanno una riserva di saggezza e di proverbi di cui gli uomini, per lo più, non hanno mai sentito parlare o di cui si sono dimenticati da molto tempo».
Tolkien faceva riferimento a quella tradizione orale che aveva appreso, da bambino, sulle ginocchia della madre e che rimproverava agli uomini di aver smarrito o trascurato. Prima dell’incontro con Gollum, una creatura caduta e abbassatasi al compromesso con il male, il periglioso percorso di Bilbo Baggins veniva descritto all’interno di un tunnel in discesa, proprio per farci sperimentare anche fisicamente quella situazione disagevole in prossimità del peccato: «Pareva che il tunnel non avesse mai fine. Bilbo sapeva solo che continuava a scendere costantemente sempre nella stessa direzione». La via del male costituiva un’apparente comoda strada... verso l’inferno! La miseria spirituale di Gollum era sintetizzata dallo squallore di una vita desolata, preoccupata isolatamente di difendere quel suo perverso tesssoro: «Gollum aveva una barchetta e silenziosamente andava in giro sul lago; perché di un lago si trattava, profondo e mortalmente freddo». La perdita dell’anima rendeva fredda, come la morte, la figura di Gollum. Tutto sembrava, agli occhi di Bilbo, estremamente viscido, sdrucciolevole e molto pericoloso.
Quel povero Hobbit pervertito di nome Gollum (il cui curioso appellativo derivava da un orribile rumore di gola) era talmente schiavo del suo tesssoro da rimanerci incatenato: che dipendenza terribile incuteva quell’anello, che tristezza quella vita gettata via a quel modo. In quel dannato isolamento un barlume di intelligenza talvolta gli sopravveniva: «Porre gli enigmi e talvolta scioglierli era stato l’unico gioco cui avesse mai giocato con altre buffe creature che sedevano nelle loro caverne in un passato lontano lontano, prima di perdere tutti i suoi amici e di essere scacciato via, solo, e di scendere furtivamente nelle tenebre, sotto le montagne». In Gollum si trovava così l’esatto capovolgimento di quel saggio modo di dire: «Chi trova un amico trova un tesoro». Nel custodire avidamente quel perfido tesssoro dell’anello aveva perso infatti tutti gli amici. L’incontro tra Gollum e Bilbo, dopo i primi momenti esplorativi di entrambi, era stato indirizzato su un piano intellettivo e mnemonico, a suon di botta e risposta di indovinelli. In mezzo ad una sfilza di interrogativi via via più difficili, Tolkien non si risparmiava di far intravedere un possibile raggio di luce, un lumicino fievole di speranza nelle tenebre della miserevole vita di Gollum, uno squarcio di sana memoria prima della caduta peccaminosa: «Gollum riportò a galla ricordi di tempi lontani, quando viveva con la nonna in una caverna sull’argine di un fiume». Lui, così deviato, così corroso dall’anello maligno, non riusciva però più a sopportare a lungo ciò che era stato prima: «Questo tipo di enigmi che riguardavano le cose normali e comuni della vita terrena lo stancavano molto». Si attenevano comunque, sia Bilbo sia Gollum, alle regole del gioco pattuite, dovendo, nel caso avesse vinto Bilbo (come realmente accadde) permettergli di guadagnare l’uscita tramite la via indicata da Gollum: «Bilbo sapeva che il gioco degli enigmi era sacro ed estremamente antico, e che perfino le creature più malvagie avevano timore di imbrogliare quando ci giocavano». L’affezione morbosa che vincolava Gollum e lo aveva abbruttito in quel modo spregevole era una cosa sola, un unico pensiero nella sua mente: un anello d’oro, un anello prezioso, un tesoro, un anello magico che, infilato al dito, rendeva invisibili: «All’inizio Gollum lo portava al dito, finché il dito gli si stancò; poi lo conservò in un sacchetto a contatto della pelle, finché la pelle non gli si irritò; e ora di solito lo teneva nascosto in un buco nella roccia sul suo isolotto, e tornava sempre indietro a guardarlo». Ora questo anello che aveva reso schiavo Gollum si trovava nella tasca dell’ignaro Bilbo Baggins.
continua