Il motore della nostra preghiera non può essere il sentimento e il gusto del momento. Bisogna imparare a pregare, scegliendo in modo risoluto di intraprendere l’arduo e splendido itinerario dell’orazione, attingendo alle “fonti” dalle quali scaturisce la preghiera cristiana.
Il secondo capitolo del Catechismo della Chiesa Cattolica è significativamente intitolato la “Tradizione della preghiera” ed è una splendida sintesi di come approcciarsi ed entrare nello splendido e avvincente mistero della preghiera cristiana. Dopo un piccolo prologo, il capitolo si snoda in tre articoli che, partendo dalle “sorgenti della preghiera”, mostra il “cammino della preghiera” per concludere con la presentazione dei maestri e delle guide della preghiera e i luoghi per essa più consoni e indicati.
Fondamentale è il monito e l’esortazione con cui si apre questa sezione: «La preghiera non si riduce allo spontaneo manifestarsi di un impulso interiore: per pregare, bisogna volerlo. Non basta neppure sapere quel che le Scritture rivelano sulla preghiera: è necessario anche imparare a pregare. È attraverso una trasmissione vivente (la santa Tradizione) che lo Spirito Santo insegna a pregare ai figli di Dio, nella Chiesa che crede e che prega» (n. 2650). Per pregare bisogna dunque anzitutto volerlo. La preghiera non può e non deve essere lasciata al sentimento o all’emozione del momento, al “mi sento” o “non mi sento”, “mi va” o “non mi va”. Eppure è quanto mai frequente, anche tra non pochi fedeli cattolici, sentire frasi del tipo “prego quando mi sento”, “vado a Messa quando mi sento”, ecc. La preghiera è un cammino stupendo e avvincente, ma non può essere improvvisato, né lasciato al caso, né sperare che germogli e fruttifichi tra i flutti instabili e incerti quali quelli dell’emotività. È un atto della volontà che sceglie di percorrere questo itinerario che porterà certamente ad una «profonda comprensione delle realtà spirituali» (n. 2651) di cui si fa esperienza e conoscenza diretta e personale proprio nella preghiera stessa, che è cosa che si impara a fare a due sole condizioni: volontà ferma e risoluta di intraprendere l’avvincente cammino della preghiera e costanza e perseveranza di proseguirlo a costo di qualunque sacrificio e nonostante qualunque difficoltà, senza scoraggiarsi, tentennare e, soprattutto, senza voltarsi indietro.
In questo viaggio abbiamo anzitutto un grande alleato interiore, a cui poco si pensa e che in realtà è il motore e l’ispiratore della preghiera cristiana: lo Spirito Santo (cf. n. 2652). Una vita di grazia custodita e ben vissuta (attraverso la ricezione fruttuosa e frequente dei Sacramenti che si possono ripetere, ossia la Penitenza e l’Eucaristia) è la prima condizione essenziale perché il cammino della preghiera sia intrapreso con frutto. Lo Spirito, come promesso da Gesù, aiuta innanzitutto a comprendere il significato profondo delle Scritture e, in particolare, delle parole di Gesù (cf. Gv 14,26). La preghiera non è anzitutto (e forse nemmeno principalmente) moltiplicare tante parole da dire a Dio, ma imparare ad ascoltarlo; e questo si fa anzitutto attingendo alla fonte primaria di conoscenza di ciò che Dio pensa e vuole e ciò si trova nella Parola di Dio scritta. La Parola di Dio – che è dunque ben a ragione la prima sorgente della preghiera cristiana – va letta e meditata, e per comprenderla e ben meditarla occorre l’aiuto dello Spirito Santo e anche la forza della preghiera stessa che, bussando al Cuore di Dio, troverà luce per comprendere e capacità di meditare e contemplare (cf. nn. 2653-2654).
Oltre alla Parola di Dio, la stessa Liturgia della Chiesa è una grandissima fonte di preghiera, se vissuta in maniera viva, partecipe, consapevole e attiva nel suo svolgersi, ma anche dopo la sua celebrazione, come il Catechismo esplicitamente invita a fare (n. 2655). Come non vedere in questa esortazione un richiamo ad una pratica importantissima – oggi quasi universalmente obsoleta – quale il ringraziamento dopo la Santa Messa in cui si è ricevuta la Santa Eucaristia? Come non approfittare di quel tempo in cui Dio in persona è sostanzialmente vivo e presente dentro di noi, per adorarlo, ringraziarlo, amarlo, parlargli, lodarlo, chiedergli qualunque cosa di cui si avesse bisogno? Quale occasione persa (oltre che atto di oggettiva e deplorevole irriverenza) è il trascurare o l’omettere un atto di preghiera così importante?
La terza fonte “divina” della preghiera è la vita di ogni giorno, in cui Dio misteriosamente e incessantemente ci parla e, conseguentemente, ci chiede l’impegno di imparare a decodificare le sue misteriose ma realissime parole che Egli delicatamente rivolge al nostro cuore attraverso eventi e situazioni più svariate: «Noi impariamo a pregare in momenti particolari, quando ascoltiamo la Parola del Signore e quando partecipiamo al suo mistero pasquale; ma è in ogni tempo, nelle vicende di ogni giorno, che ci viene dato il suo Spirito perché faccia sgorgare la preghiera. L’insegnamento di Gesù sulla preghiera al Padre nostro è nella medesima linea di quello sulla provvidenza: il tempo è nelle mani del Padre; è nel presente che lo incontriamo: né ieri né domani, ma oggi: “Ascoltate oggi la sua voce: Non indurite il cuore” (Sal 95,8). Pregare negli avvenimenti di ogni giorno e di ogni istante è uno dei segreti del Regno rivelati ai “piccoli”, ai servi di Cristo, ai poveri delle beatitudini» (nn. 2659-2660).