PADRE PIO
Padre Pio confessore... uno sguardo nel suo mondo interiore
dal Numero 7 del 17 febbraio 2019
di Suor M. Immacolata Savanelli, FI

Personalmente immerso in un «buio» spirituale che paragonava ad un’«alta notte», padre Pio sapeva offrire luce, pace e discernimento sicuro a migliaia di anime che lo ricercavano in confessione, soccorrendo tutti con «amore cordiale, paterno e pastorale».

Nel guardare alla figura di padre Pio confessore non ci si vuole fermare solo ad analizzare quanto questo sacerdote stimmatizzato insegnasse o come si comportasse in confessionale, ma si è spinti a voler capire qualcosa di ciò che lui sperimentava interiormente mentre amministrava il sacramento della Penitenza. Si cercherà, dunque, per comprendere la sua metodologia, di presentare ciò che questo confessore “portava dentro”. Per fare ciò, indispensabile è l’ausilio della corrispondenza epistolare del Santo con i suoi direttori spirituali. Ebbene, nell’esame di tale carteggio, innanzitutto, è da sottolineare che, quando il Santo iniziò a dedicarsi al sacramento della Confessione, non navigava tra le consolazioni spirituali. Oltre al demonio che lo tormentava con fortissime tentazioni (1), egli era immerso in un «buio» (Ep. I, p. 759, lettera a padre Benedetto dell’8 marzo 1916) tale che gli era impossibile «discernere ciò che è buono da ciò che non è buono». Inoltre, percepiva in tale luce tenebrosa l’obbrobrio del peccato e si sentiva pertanto «un reietto del Signore» (Ep. I, p. 780, lettera a padre Agostino del 13 maggio 1916), poiché, come scrisse a padre Benedetto, «tutti i miei peccati sono messi al nudo e l’anima non vede altro se non questa sua malizia, portata a sì alto grado e nello stesso tempo si vede chiaramente del tutto in modo assoluto sì difforme da quella unione con Dio, a cui ella di continuo aspira [...]. A tutto questo vada aggiunto il risveglio delle passioni tutte, ad eccezione di una sola» (Ep. I, p. 758, lettera a padre Benedetto dell’8 marzo 1916). Padre Pio confessore, dunque, «si sentiva penosamente peccatore» (2). L’avverbio “penosamente”, ben traduce quel dolore che provava non tanto nel vedersi peccatore, quanto nel sentirsi misticamente attratto potentemente da Dio e nello stesso tempo vedersi impossibilitato ad unirsi a Lui per la sua difformità (cf. Ep. I, p. 758). Se già nel 1915 la cognizione della propria «indegnità e deformità interiore» (Ep. I, p. 646, lettera a padre Benedetto del 10 settembre 1915) era «tanto orribile» da fargli sperimentare dolori di morte, sicuramente questa sofferenza si sarà acuita con il suo inoltrarsi sempre più in questa notte spirituale. Il biografo Fernando da Riese Pio X è giunto alla conclusione che «la tribolazione di sentirsi immerso nella colpa» (3) – per la quale questo “ricercato” confessore, temeva di non poter più neppure confessare – «nei disegni di Dio» era legata proprio al suo compito di confessore e serviva per pagare «di perso¬ na il perdono e la grazia che avrebbe trasmesso ai penitenti». Per i peccatori egli si era offerto vittima (cf. Ep. I, 206 lettera a padre Benedetto del 29 novembre 1910) e il Signore aveva accettato la sua offerta, perché lo aveva scelto per essere aiutato nel grande negozio dell’umana redenzione (cf. ivi, p. 304, lettera a padre Agostino del 20 settembre 1912). Il suo sentirsi respinto da Dio faceva parte della «pedagogia divina. Per educare il proprio ministro alla comprensione e alla misericordia, Dio lo pose di fronte ai suoi peccati, pure immaginari» (4). Un’altra sofferenza, definita «spina [...] conficcata in mezzo del [...] cuore» (Ep. III, pp. 851, lettera ad Antonietta Vona del 30 marzo 1918) accompagnava questo confessore: la consapevolezza di non essere in grado di condurre in modo appropriato le anime sulle vie di Dio. Ecco quanto scrive a tal proposito ad una figlia spirituale nella primavera del 1918, prima della stimmatizzazione visibile: «Io non so poi come regolare le anime che Gesù mi manda. Per alcune ci sarebbe bisogno davvero di luce soprannaturale ed io ignoro se ne sono privo o no e vado quasi a tentoni, regolandomi ora con un po’ di dottrina pallida e fredda appresa sui libri, ora dalla dura esperienza ed ora dagli sprazzi di luce che vengono dall’alto. Chi sa che queste povere anime non abbiano a soffrire per colpa mia!» (Ep. p. 311, lettera a Maria Gargani del 28 marzo 1918). Oltre ad indicare questa nuova pena, qui padre Pio svela anche il metodo da lui seguito: «Si regola con lo studio della “dottrina pallida e fredda appresa sui libri”. È l’approccio razionale!» (5); «si appoggia sulla propria esperienza (approccio esperienziale); e per finire con “degli sprazzi di luce che vengono dall’alto”, ed è l’approccio carismatico e pneumatologico». Unica consolazione nell’imperversare di questa prova, a paragone della quale per lui «mille morti le più strazianti costituirebbero ben poca cosa» (Ep. III, p. 1024, lettera a Girolama Longo del 15 aprile 1918), era il pensiero che non cercava lui le anime che si recavano a San Giovanni Rotondo. Tale consapevolezza, insieme alla sua buona intenzione e al continuo ricorso al lume divino, era l’unico conforto che risollevava il suo spirito (cf. Ep. III, pp. 851-852, lettera ad Antonietta Vona del 30 marzo 1918). A padre Benedetto, infatti, qualche anno dopo, scrive sull’argomento: «Spero che Gesù non solo vorrà illuminarmi nel guidare le anime, che lui mi affida, sostenermi e confortarmi nelle contrarietà, ma supplirà lui stesso alla mia deficienza» Ep. I, p. 1227, lettera a padre Benedetto del 7 maggio 1921). Nonostante il confessore si trovasse in un buio tale che per descriverlo usa l’espressione «nel più fitto di un’alta notte» (Ep. I, p. 752, lettera a padre Agostino del 27 febbraio 1916) e vivesse una prova che, per il dubbio di offendere Dio, era come un «chiodo che [...] schianta il cuore e [...] buca il cervello» (Ep. I, p. 1260, lettera a padre Benedetto del 3 febbraio 1922), donava, però, al penitente che si accostava al suo confessionale luce e pace. Si può dunque affermare che, oltre al dolore per i propri peccati, padre Pio contribuiva alla redenzione dei fratelli che il Signore gli affidava anche con questa sofferenza relativa al disimpegno del suo ministero. Il timore che aveva nel condurre le anime sulle vie di Dio era una prova divina e non derivava, inoltre, da ignoranza su come superarla. A padre Agostino, infatti, che soffrì per la stessa prova, diede una soluzione chiara e decisa. Gli scrisse, infatti: «O padre, il mio cuore vi desidera tutti i beni del cielo, specie un gran coraggio che sia interamente in Dio, il quale, per la sua infinita bontà, sostiene voi e in voi la carica, che il cielo vi ha imposto. [...] O padre mio, diciamo anche noi: il Signore carica e discarica, poiché quando egli impone una croce ad uno dei suoi eletti, lo fortifica talmente, che sopportando il peso con essa, egli ne è sollevato. Potete voi forse dubitare che un sì buon padre, come lo è il nostro Dio, vi abbia destinato padre spirituale di cotesti nostri poveri fratelli senza darvi sovrabbondante miele per poter sollevare le loro sofferenze? Di ciò non è lecito il dubitarne; ma state attento alle poche parole che il mio cuore dice al vostro. Non vi è nulla che possa e che faccia disseccare il latte ed il miele della carità, quanto il rammarico, le afflizioni, le malinconie. Vivete quindi in una santa gioia tra cotesti figli della patria: mostrate loro conforto spirituale, buono e di un grazioso aspetto, affinché vi accorrano con allegrezza. Non dico, mio caro padre, che voi siate adulatore, ma dolce, soave, amabile. Insomma amate con un amore cordiale, paterno e pastorale cotesti poveri sventurati del secolo ed avrete fatto il tutto; e sarete tutto a tutti, padre a ciascuno, e soccorrevole a tutti. Questa sola condizione è sufficiente. Spero che il Signore, il quale vi ha destinato pel vantaggio di molti, vi somministrerà aiuto, forza, coraggio ed amore che vi abbisogneranno» (Ep. I, pp. 973-975, lettera a padre Agostino del 15 dicembre 1917).
Il sentiero tracciato da padre Pio a padre Agostino per uscire da una tale prova spirituale è semplice: non dubitare della «speciale assistenza di Dio» nel disimpegno del ministero sacerdotale e vivere, perciò, «in una santa gioia», perché «il rammarico, le afflizioni e le malinconie» non servono ad altro che a «disseccare il latte e il miele della carità». Nello stesso tempo, però, liberato l’animo da queste inutili apprensioni, non manca di indicare a padre Agostino l’unica cosa necessaria che deve fare: «Amare con amore cordiale, paterno e pastorale». Fatto ciò, padre Agostino può essere tranquillo di aver fatto «il tutto», divenendo in tal modo «tutto a tutti, padre a ciascuno, e soccorrevole a tutti».
Questo stralcio dell’Epistolario, oltre a mettere in luce lo stridente contrasto tra i dubbi e le perplessità in cui padre Pio si dibatteva e la soluzione data a padre Agostino, delinea anche il ritratto di padre Pio, veramente «tutto a tutti, padre a ciascuno e soccorrevole a tutti», che presenteremo nel prossimo numero.  


NOTE
1) Cf. Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Postulazione Generale dei Cappuccini, Roma 1975, pp. 97-98.
2) Ivi, p. 209.
3) Ivi, p. 207.
4) Ivi, p. 209. 
5) L. Lavecchia, L’itinerario di fede di padre Pio da Pietrelcina nell’Epistolario, Tesi dottorale in teologia morale discussa presso l’Università Lateranense, Edizioni «Padre Pio da Pietrelcina», San Giovanni Rotondo 2004, p. 225.

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