Un decreto provvidenziale colloca la Nascita di Gesù Cristo a ridosso del solstizio d’inverno. Con l’evento fisico della “rinascita” del Sole, anche l’ordine della creazione pare celebrare ed esprimere il Natale di Cristo: la nascita della vera Luce e la sua vittoria sulle tenebre.
Non c’è incubo peggiore di non vedere il Sole sorgere al mattino. Il Sole è la vita per la Terra: per le piante, per gli animali, per l’uomo stesso che non potrebbe fare a meno del suo calore. Se non ci fosse il Sole in cielo la temperatura della Terra scenderebbe a -270° sotto zero: diventerebbe ben presto un pianeta ricoperto di ghiacci perenni ed ogni forma di vita cesserebbe di esistere racchiusa in una bara di cristallo. Per questo motivo l’umanità ha sempre considerato l’astro del giorno come una “divinità” essenziale per la vita, in alcune civiltà si offrivano sacrifici umani per ingraziarsi quest’idolo così potente che regola l’alternarsi delle stagioni ed il ciclo delle piogge. Possiamo così comprendere lo stato d’animo degli antichi abitatori del Pianeta nell’osservare come intorno alla fine dell’autunno le giornate comincino ad accorciarsi e le notti ad allungarsi: è come se le tenebre tenessero sempre più in ostaggio la stella della vita e quasi la costringessero in una morsa di buio. Il fenomeno, perfettamente naturale, raggiunge il suo culmine nella notte tra il 21 ed il 22 di dicembre: si tratta del solstizio d’inverno. A partire da questa data le giornate tornano ad allungarsi, e – sembrerebbe un controsenso – inizia l’inverno. È il giorno in cui la durata delle ore diurne è minima, e quella delle ore notturne massima. Oggi sappiamo perché accade questo: tutto dipende dall’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al piano di rivoluzione della Terra (cioè il piano che contiene l’orbita della Terra intorno al Sole: l’asse è inclinato di circa 23,5°). Nel giorno del solstizio d’inverno l’inclinazione della Terra rispetto al Sole fa sì che i raggi arrivino all’emisfero nord con il massimo dell’inclinazione, indeboliti e per un minor tempo. Il contrario succede nel solstizio d’estate, il 21 giugno: il sole appare alto nel cielo e le temperature sono estive mentre per chi osserva ogni anno il movimento apparente del Sole rispetto all’orizzonte, la giornata del solstizio di inverno è quella in cui l’arco descritto dal Sole è più basso. La parola “solstizio” viene dal latino solstitium, composto da sol (Sole) e da un derivato di sist?re (fermarsi). Il solstizio è quindi, fin dall’antichità, il momento in cui il Sole “si ferma”.
Gli antichi contemplavano il cielo e ne scrutavano i movimenti animati da un timore reverenziale, ma ne coglievano la prospettiva trascendente molto di più di quanto accade oggi, nell’era della scienza e della tecnologia. Al pari e forse anche più di altri popoli i Romani (molto superstiziosi) celebravano l’importante festa del “dio Sole”: dal 17 al 21 di dicembre c’erano i “Saturnali” mentre la festa vera e propria del Sol Invictus coincideva col 25. Il festeggiato era una versione latinizzata del dio greco Dioniso indicato col nome di Mithra. Entrambi greci e latini si erano ispirati a Mitra, il dio iraniano dei misteri, dell’amicizia e dell’ordine cosmico. Dalla Persia il culto di Mitra si diffuse in tutta l’Asia Minore e la Mesopotamia, poi anche nell’impero romano per la prima volta con l’imperatore Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222) ma soprattutto durante il regno di Aureliano. La madre dell’Imperatore, ardente seguace del Sol Invictus, fece costruire un tempio al Sole e fondò una casta sacerdotale allo scopo di attribuire maggiore ufficialità al culto dell’astro dispensatore di vita. Questa era – per così dire – la temperie spirituale che caratterizzava Roma duemila anni fa: un paganesimo superstizioso molto decadente.
Nel frattempo però in Palestina era nato Gesù, il Cristianesimo e la Chiesa muovevano i loro primi passi sotto la sferza spietata delle persecuzioni. Nel Colosseo veniva sparso il sangue di centinaia di martiri prima che l’imperatore Costantino dichiarasse tolleranza verso il Cristianesimo. Molte eresie erano fiorite nei primi secoli e attentavano in modo subdolo alla Verità della natura umana e divina del Redentore (1) ed allora la Chiesa proprio per ribadire e rafforzare la Fede in Gesù vero Dio e vero Uomo ed anche per imprimere bene nel deposito della Fede la realtà dell’Incarnazione decise di celebrare la festa della nascita del Redentore.
Molti hanno avanzato l’ipotesi (abbastanza triviale) che la Chiesa cristiana abbia scelto la data del 25 dicembre come giorno di nascita del Cristo semplicemente per “cristianizzare” una festa pagana abbastanza sentita dalle masse popolari, ma si tratta di una visione riduttiva. C’è invece un legame allegorico, simbolico e provvidenziale che lega l’Avvento di Gesù alla vittoria del Sole sulle tenebre.
In un magnifico articolo di papa Benedetto XVI quando era ancora il card. Joseph Ratzinger (Natale. Quando tramontarono gli dèi e sorse il sole di Dio), egli riafferma il vero legame tra il Sol Invictus e il Natale: «Molto presto i cristiani rivendicarono per loro il 25 dicembre, il giorno natale della luce invitta, e lo celebrarono come Natale di Cristo, come giorno in cui essi avevano trovato la vera luce del mondo». Nel Vangelo di san Giovanni si legge infatti: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), quindi una meravigliosa coincidenza, certamente disposta da un decreto provvidenziale, colloca la Nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, a ridosso dell’appuntamento annuale con il solstizio di inverno. La rievocazione dell’evento centrale della Storia della Salvezza è incastonato e quasi incentrato nei giorni singolarissimi della vittoria del Sole sulle tenebre. Nostro Signore dice di se stesso: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Il profeta Malachia lo definisce «sole di giustizia» (Ml 3,19) che sorge con raggi benefici e questo è l’annuncio dirompente della cristianità. Il Papa continua: «Essi [i cristiani] dissero ai pagani: il sole è buono e noi ci ral¬ legriamo non meno di voi per la sua continua vittoria, ma il sole non possiede alcuna forza da se stesso. Può esistere e aver forza solo perché Dio lo ha creato. Esso ci parla quindi della vera luce, di Dio. È il vero Dio che si deve celebrare, la sorgente originaria di ogni luce, non la sua opera, che non avrebbe alcuna forza da sola». Dunque il cielo astronomico ci rimanda e ci rannoda al Cielo Spirituale, l’evento fisico allude e precorre di secoli l’evento trascendente e meta-fisico che è centrale per la Storia della Salvezza. La collocazione spazio-temporale del Santo Natale ci rassicura sulla Vittoria del Bene sul male: «Io lo so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!» (Gb 19,25) sebbene (e forse nonostante) tutto sembri gemere sotto il tallone del principe di questo mondo: «Regna la sensazione che le forze oscure aumentano, che il bene è impotente. Alla vista del mondo, ci coglie d’improvviso quel sentimento che, in passato, le persone dovettero provare quando, in autunno e inverno, il sole sembrava combattere la sua agonia. Vincerà, il sole, questa battaglia? Il bene otterrà senso e forza nel mondo? Nella stalla di Betlemme ci è offerto il segno che ci fa rispondere lieti: sì. Infatti, questo Bambino – il Figlio unigenito di Dio – è posto come segno e garanzia che, nella storia del mondo, l’ultima parola spetta a Dio, a Lui che è la verità e l’amore. Questo è il senso vero del Natale: è il “giorno in cui nasce la luce invitta”, il solstizio d’inverno della storia mondiale. In mezzo all’altalena di questa storia ci è data la certezza che la luce non morirà, ma tiene già nelle sue mani la vittoria finale. Il Natale allontana da noi la seconda, più grande angoscia, che nessuna fisica può disperdere, la paura per l’uomo e dell’uomo stesso. Noi possediamo la certezza divina che la luce ha già vinto nella profondità occulta della storia e che tutti i progressi del male nel mondo, per grandi che essi siano, non possono assolutamente cambiare le cose. Il solstizio invernale della storia si è irrevocabilmente verificato con la nascita del bambino di Betlemme» (ibidem). In questa nostra epoca che porta in sé le piaghe infette dell’ateismo, dello scientismo, del relativismo morale, del neo paganesimo imperante, che annaspa soggiogata non più dalla dittatura del comunismo ma da quella del consumismo, sicché il Natale è divenuto l’appuntamento annuale con la spesa forsennata e la corsa agli acquisti, se rivolgessimo il nostro sguardo al cielo notturno vedremmo uno spettacolo silenzioso, solenne e affascinante: la notte si è abbreviata, le tenebre svaniscono... un’alba radiosa si affaccia all’orizzonte. Un Bambino regale col suo vagito dimesso ci dimostra che l’Ultima Parola è quella di Dio.
NOTA
1) Occorsero ben quattro concili ecumenici per difendere e chiarire la vera dottrina sul Verbo: Nicea (325).