Spett.le Redazione, leggo la vostra rivista nella sala di lettura del nostro convento – sono una religiosa – e volevo sottoporvi una breve domanda. Ho la grazia di avere – anche se in modo un po’ saltuario, dati i suoi impegni apostolici – un bravo confessore che mi sprona sui sentieri della santità. Ma un colloquio, tra i tanti, è stato illuminante: l’essenza della santità è l’obbedienza, intesa nel suo senso più ampio. Compiere la Volontà di Dio, nella misura in cui ci è possibile conoscerla – poiché essa si manifesta a volte chiaramente altre volte in modo più incerto –, è l’unica cosa che conta. A volte però mi sembra che ci siano altre cose più importanti, la carità per esempio [...]. (Suor G.)
La carità, ha ragione, è l’anima della vita cristiana, poiché solo la carità, ossia l’amore di Dio e l’amore del prossimo, realizza la più perfetta trasformazione dell’anima in Dio, dona all’anima la più grande affinità con Dio. Ma qual è l’atto principale della carità? È fare la Volontà di Dio, ossia volere il bene da Lui voluto e volerlo in quanto Lui lo vuole. Gesù ci ha lasciato questo insegnamento dicendo che ama Dio non colui che dice “Signore, Signore”, ma chi compie la Volontà del Padre che è nei Cieli. Ecco perché si può, a ragione, dire che l’essenza della santità è la carità e che il primato assoluto dell’esercizio della carità è l’obbedienza, ossia il compiere in ogni momento la Volontà del Padre così come è da noi conosciuta. Di qui la grazia di chi vive la vita consacrata: ogni istante la Regola lasciata dai Fondatori, il regolamento interno, la voce dei superiori guidano e permettono di conoscere la Volontà di Dio, cosa molto più difficile per chi vive nel mondo.