RELIGIONE
La rivincita del soprannaturale
dal Numero 6 del 10 febbraio 2013
di Lorenzo Bertocchi

Nuovi spazi vengono aperti per la metafisica e per il Soprannaturale. Le stesse scienze naturali sembrano averne bisogno per risolvere alcune contraddizioni di carattere logico e metodologico.

Nell’articolo precedente (n° 4/2013) abbiamo stabilito che i miracoli sono possibili, conclusione che una ragione aperta al reale raggiunge nel momento in cui scopre l’esistenza di un Fondamento Soprannaturale. Eppure c’è da chiedersi come mai l’esistenza di tale fondamento sia accessibile con ragionamenti che la grande maggioranza delle persone non ha più modo, né tendenza, a fare.
    Innanzitutto va detto che questa presunta incapacità è piuttosto recente. Prima dell’epoca moderna la gran parte delle persone poteva attingere il proprio bagaglio culturale da fonti sane, sia di filosofi, che di mistici, i quali, per autorità riconosciuta e Tradizione, trasferivano le certezze fondamentali a tutto il popolo. La via al Soprannaturale era indicata e apprezzata, ciò garantiva quella coesione sociale che poi è stata gravemente ferita proprio dall’attacco al principio di autorità e alla Tradizione. Infatti, sulla spinta di quello che abbiamo definito il “dogma centrale della modernità” – il cogito cartesiano – si è progressivamente fatta strada la mentalità per cui si dovrebbe arrivare alla verità da soli, oppure farne a meno. Ciò si è fatto sentire in tutti i campi del sapere e anche nel vivere pratico.
    A questo proposito scrive C. S. Lewis: «Una società in cui la massa rimane semplice e i saggi non vengono più ascoltati può solo raggiungere la superficialità, la bassezza, la bruttezza, e alla fine l’estinzione» . Da questo punto di vista possiamo dire che per una vita sociale armonica è urgente recuperare un sano riconoscimento del principio di autorità e un pieno significato della sapienza.
    Purtroppo oggi sembra che i saggi non siano più saggi: il soprannaturale è uscito dal bagaglio di molti sapienti, non perché sia un fatto astruso, o da iper-uranio filosofico, ma in quanto gli stessi sapienti si sono volutamente distratti. Con l’avvento della scienza moderna e i suoi strabilianti risultati (anche tecnologici), la distrazione delle menti rispetto al Fatto Primo Soprannaturale è diventata una consuetudine: ci si è concentrati su questioni specifiche, sulla conoscenza della natura e ad averne padronanza. Anche la filosofia si è inebriata del metodo scientifico, trascinata da un entusiasmo che voleva estendere il metodo anche allo studio dell’uomo e della società.
    In realtà abbiamo visto che il riconoscimento del soprannaturale è come l’aria che respiriamo, cioè un fatto evidente e connaturale al nostro modo di essere, talmente connaturale che finiamo facilmente per dimenticarlo, così come accade per il nostro respiro.
    Oggi però stiamo assistendo ad una rivincita del Soprannaturale che proviene direttamente da quelle scienze naturali che lo avevano rinnegato; infatti, per risolvere alcune contraddizioni di carattere logico e metodologico, ne reclamano sempre più l’importanza. È dall’interno delle scienze che avanza una richiesta di fondamento, il problema è che la filosofia moderna sembra non essere più attrezzata per dare risposte di questo tipo e, purtroppo, anche nel versante religioso non sempre si è pronti a dare indicazioni che dovrebbero essere di propria stretta competenza. Potremmo dire che gli autentici seguaci di Galileo stanno tornando dalle parti del card. Bellarmino o, più precisamente, dalle parti di un’autentica metafisica. Insomma, a ben guardare sembra che ciò che era stato buttato dalla finestra rientri dalla porta principale.
    Questi nuovi spazi per la metafisica si aprono in special modo se guardiamo la cosiddetta “crisi dei fondamenti” della matematica avvenuta nel secolo XIX, le istanze che derivano dalla teoria della “complessità”, specialmente nel campo della biologia e della fisica, ma anche il tema del rapporto mente-corpo e l’ambito delle scienze informatiche. In un certo senso si può affermare che è stata la scienza, quella vera, a decretare la morte dello scientismo, ma questa considerazione ancora non ha raggiunto la mentalità comune che rimane ancorata ad una visione scientista della realtà.
    Tutto questo – spiega il prof. Alberto Strumia – consiste «in un ampliamento della scienza matematizzata verso un’ontologia che non si limiti alla “quantità” e alla “relazione tra quantità”, per divenire maggiormente capace di cogliere e rispettare la “natura” delle cose e dell’uomo, fino a riconoscerne la dipendenza dal Creatore, come principio di completezza e garanzia di coerenza di tutta la realtà e di tutta la umana conoscenza» .
    Per accennare ad un esempio basti pensare alle leggi che interpretano il comportamento delle molecole le quali non riescono a spiegare tutte le proprietà dell’uomo, che pure è fatto di molecole. L’uomo, infatti, si presenta come un sistema che è più della somma delle parti che lo compongono, cioè ha della “informazioni” nuove rispetto a quelle contenute nelle singole parti (pensiamo ad esempio alla coscienza, alla intelligenza o ai sentimenti). In molti casi quindi il “tutto” non è riconducibile alla somma delle “parti”, ma risulta caratterizzarsi da un principio che determina l’unità come un tutto, una “natura” che si perde quando le singole parti vengono a separarsi. Emerge allora la necessità di comporre teorie scientifiche che sappiano fare spazio a questo genere di principi; ad esempio possiamo riferirci ad una sorta di “informazione-forma” che richiama molto da vicino quella aristotelico-tomista.
    Sempre più le scienze devono saper integrare nel loro linguaggio anche questo tipo di aspetti “metafisici” della realtà che non sono riducibili alla sola quantità e alla relazione tra quantità. In buona sostanza quindi si impone il ritorno ad una razionalità unitaria e aperta, capace cioè di reintegrare pienamente nell’ambito del razionale anche l’indagine metafisica intesa come analisi sull’intero della realtà. Questo è il presupposto per una intelligenza che sappia riconoscere i miracoli come «segni certissimi della divina Rivelazione» (DH 3009), ed è questo che abbiamo cercato di mostrare in questi primi sette articoli.
    Mi rendo conto che il tema non è dei più semplici, ma si tratta del più grande ostacolo che dobbiamo rimuovere per poterci riappropriare non solo dei miracoli, bensì di quella ragione credente che è complementare ad una fede ragionante.

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