Oltre alla via dolorosa che Padre Pio ha percorso sotto lo sguardo di molti, c’è stata una via dolorosa che ha percorso da solo: la più alta partecipazione del Santo alla Passione di Cristo fu l’acuto martirio interiore che provava nel sentirsi peccatore e rigettato da Dio...
Dopo aver riportato tutto quanto è possibile leggere sul fenomeno della stimmatizzazione di Padre Pio, resta ora il considerare ciò che essa ha significato per il Santo. Ancora una volta bisognerà prendere in mano la corrispondenza epistolare tra Padre Pio e i suoi direttori spirituali, sebbene egli scriva che si trovi «nell’assoluta impossibilità» (Ep. I, p. 1112) di esprimersi. Nella lettera a padre Agostino del 12 gennaio 1919 riferisce: «L’infinito amore nell’immensità della sua forza ha conquiso finalmente la durezza dell’anima mia, e mi veggo annullato e ridotto all’impotenza. Egli si va riversando tutto nel piccolo vaso di questa creatura, la quale soffre un martirio indicibile e si sente incapace a portare il peso di quest’amore immenso. [...]. Gli amplessi del diletto che [...] si succedono a grande profusione e direi quasi senza posa e senza misura e risparmi non valgono ad estinguere in lei l’acuto martirio di sentirsi incapace a portare il peso di un amore infinito» (Ep. I, pp. 1112-1113). Questo acuto martirio è per lui peggiore della stessa morte, divorato com’è «da una forza misteriosa, intima e penetrante» (Ep. I, pp. 1105-1106) che lo «tiene sempre in dolce, ma dolorosissimo deliquio».
Vivendo la “maledizione della croce”
Sebbene, però, Padre Pio sperimenti dentro di sé tale sofferenza, è chiaro, da quanto scrive, che le stimmate sono state per lui altamente santificanti, essendo segno esteriore della sovrabbondanza dell’amore di Dio, riversato nella sua anima. Esse, poi, non hanno avuto solo una ripercussione personale. Oltre a questo «aspetto individuale» (1), le stimmate «racchiudono una ben precisa missione all’interno del popolo di Dio». Nell’identificazione a Cristo crocifisso, infatti, Padre Pio partecipa anche «alla maledizione della croce», perché «rivestito, come Cristo, dei panni del peccatore, sente su di sé tutte le conseguenze di quella condanna». Egli è «vittima per la comunità dei credenti». Padre Pio non solo soffre per il dolore fisico delle stimmate, ma anche perché vede su di sé l’obbrobrio del peccato e sperimenta l’abbandono di Dio. Questo aspetto della stimmatizzazione è stato individuato in quello «strazio dell’anima» (Ep. I, p. 1095) derivante dall’«operazione senza posa» di quel personaggio indicato da Padre Pio subito dopo la descrizione della sua stimmatizzazione che lo ha fatto esclamare: «Mio Dio! È giusto il castigo e retto il tuo giudizio, ma usami al fine misericordia. “Domine – ti dirò sempre col tuo profeta –: Domine, ne in furore tuo arguas me, neque in ira tua corripias me!” [Sal 6,2]». Tale strazio è stato provato anche successivamente dal Santo ed è stato, perciò, in seguito ulteriormente specificato. In una missiva del 13 novembre 1918 si trova scritto: «La mia mostruosità apparisce ributtante ai miei occhi istessi, come a quelli di Dio purezza, e di ogni uomo; io mi aborro e mi odio; specialmente dal non saperne il modo come uscire da questa mostruosità. [...]. Sono ridotto al punto da sembrarmi che la tentazione di disperazione di me stesso si sia già incorporata e che io già disperi. Sono assediato da ogni punto, costretto da mille istanze a cercare affannosamente e disperatamente colui che crudelmente ferì e continua ad impiagare senza mai farsi vedere, contraddetto in ogni modo, chiuso per ogni lato, tentato per ogni verso, impossessato totalmente da altrui potere, sinistro o buono, io non il so: mi dimeno impotente nella ricerca del sommo bene, ma che!... ogni ricerca riesce vana» (Ep. I, p. 1096).
In questa situazione, vedendo sulla sua fronte il «marchio del rigetto di Dio» (Ep. I, p. 1098), Padre Pio paragona la sua sofferenza alla morte: «Padre mio, vivo morto, è vero, da tempo, ma trascinavo i giorni quando l’opera devastatrice non era così al completo, tutti gli agenti non erano accorsi a prestar l’opera loro... ma ora che la prova sta per toccare la sua cima, sono ridotto al punto che l’animo angosciato e soverchiato si è riversato stanco su di sé, e come abbandonato a se stesso, non più ha lena a volere, perché oppresso dalle tante disfatte nella ricerca del sommo bene che non riesce a ritrovarlo [...]. Posto in questo stato, che è continuo, l’animo si vede solo, isolato da tutto e rigettato per la propria malizia dalla faccia del suo Dio. In questo stato si sente il bisogno di ritirarsi da ogni ambiente esterno e ritirarsi nel silenzio e nella quiete. Ma perché fugge la compagnia degli altri? L’anima porta con sé la convinzione che gli astanti abbiano a leggere sulla sua fronte il marchio del rigetto che Dio di lei ne ha fatto. Ma un altro strazio ancora; ritiratasi l’anima nel suo silenzio e per un più forte impulso che ella sente di ricercare Dio, si agita ancora di più in questa affannosa ricerca e non riuscendo se non vana la sua ricerca, si ripiega sopra di se stessa e sentesi impietrire il cuore per il dolore, ed il corpo agghiacciato ed irrigidito perché il dolore che esperimenta nell’anima se lo sente anche riversare sul corpo, che agghiacciandogli il sangue e gli agghiaccia anche le membra. [...]. Deh! padre mio, come debbo fare? mi sento proprio morire, non sento quasi più la forza di vivere. La mia crocifissione continua ancora; nell’agonia si è entrato da tempo e dessa si va facendo sempre più straziante» (Ep. I, pp. 1097-1098).
“La mia crocifissione continua ancora”
Il Santo ha «una ferita interiore, nel profondo della sua anima» (2), che già prima della stimmatizzazione lo faceva vivere da morto. È stato osservato, pertanto, che «oltre alla via dolorosa che Padre Pio percorre sotto lo sguardo di molti, c’è una via dolorosa che percorre da solo [...]. Lo stimmatizzato del Gargano sale il Calvario e ci vive le ore della passione [...] nel buio della notte oscura. [...]. È questa la sua stimmatizzazione incruenta» (3). La descrizione più significativa a tal riguardo è quella della lettera del 27 luglio a padre Benedetto (cf. Ep. I, p. 1053). In sintesi si può affermare che Padre Pio, nello sperimentare la sua malvagità da una parte e dall’altra il giusto abbandono di Dio per la «divina giustizia giustamente adirata» (Ep. I, p. 1050) contro di lui, vive come morto. Dio, infatti, è la sua vita e nello sperimentare il suo abbandono si sente morto, «un cadavere già in putrefazione» (Ep. I, p. 1051). Dopo la stimmatizzazione visibile egli prova ancor più tutto quanto si è appena descritto tanto che, nella lettera del 20 dicembre 1918, prima di indicare l’operazione del misterioso personaggio scrive, come si è ricordato, che si sente «morire di mille morti in ogni istante» (Ep. I, p. 1105). La partecipazione più alta e spirituale di Padre Pio alla Passione di Cristo per la salvezza dei fratelli è, dunque, l’acuto martirio che il Santo provava nel sentirsi peccatore e reietto da Dio. A nulla erano a lui di giovamento le assicurazioni dei suoi direttori spirituali, i quali ritenevano che la deformità che in lui vedeva era «potenziale e non attuale» (Ep. I, p. 1099), come pure che l’abbandono che provava non era «né di giustizia punitiva, né di giustizia preservativa» (Ep. I, p. 1058), ma «una crocifissione dell’amore» (Ep. I, p. 1057). Una crocifissione che lo portava come Gesù sulla croce a gridare il “Quare me dereliquisti?” (“Perché mi hai abbandonato?”, Sal 21; cf. Ep. I, p. 1051). Tale domanda non poteva avere – come gli scrive padre Benedetto – «altra risposta che quella della morte decretata sul Calvario e che nessun gemito poté rimuovere, poiché se non moriva la vita, sarebbe vissuta la morte» (Ep. I, p. 1057). Per questo padre Benedetto esorta il Santo: «Non dire quindi “o vita o morte”, ma piuttosto “voglio vivere morendo”, affinché dalla morte venga la vita che non muore e aiuti la vita a risuscitare i morti [...]. State alle mie dichiarazioni e non abbiate fretta di scendere dalla croce ove Gesù Cristo vi vuole associato all’opera sua» (Ep. I, pp. 1058-1059).
Nel buio del Golgota
Si può comprendere, dunque, il valore corredentivo della “notte” spirituale, che faceva sperimentare a Padre Pio l’abbandono di Dio, giusta conseguenza per coloro che si sono liberamente e consapevolmente allontanati da Lui con il peccato. Essa viene letta, perciò, nell’«economia della passio Christi» (4), nella quale il Santo è ormai innestato. Fernando da Riese Pio X, riportando e commentando il discorso tenuto a Genova dal cardinale Siri in occasione del IV anniversario del transito di Padre Pio, a tal proposito, ricorda che come «in Gesù, la vera ragione della Passione, l’atto maggiore della redenzione, la parte più grande del martirio stette nella [sua] anima umana» (5), così fu nel Santo del Gargano. In Gesù apparvero esternamente «gli insulti, i dileggi, le percosse, le trafitture dei chiodi. Tuttavia la sofferenza più profonda e più redentrice era quella nascosta, quella interiore. Prima dei chiodi alle mani e ai piedi, l’anima di Gesù era già crocifissa». Lo stesso si può dire di Padre Pio: «Non mancò la Passione esteriore», ma «tale Passione esigette sofferenze soprattutto interne. La sua anima conobbe la notte oscura [...] come l’ebbe nostro Signore Gesù Cristo nell’orto del Getsemani [...]. L’agonia nell’orto di Nostro Signore rappresenta il punto più profondo dell’esperienza spirituale intima del Padre Pio».
Il nostro Santo era ben compreso del significato della sua situazione spirituale, tanto che, come si può leggere nello stralcio della lettera del 13 novembre 1918 riportato sopra, egli definisce questo stato «la mia crocifissione», ma tale consapevolezza non gli era di giovamento. Unico sollievo sembra essere la rassegnazione a questa condizione di abbandono. La stimmate di Padre Pio furono, pertanto, non solo per la sofferenza fisica, «il mezzo più idoneo e più importante per l’attuazione di questo programma di corredenzione» (6), che costituì «la missione di Padre Pio». Anzi, dopo questa particolare divina esperienza, il Lotti afferma che il Santo comprese «il senso profondo della sua missione» (7), e si nota «nella direzione spirituale il suo desiderio di coinvolgere le anime in questo progetto» di corredenzione.
Il valore pastorale delle sue piaghe
La stimmatizzazione del 20 settembre 1918, inoltre, «va vista [...] come [...] socializzazione del mistero che in lui si andava compiendo e assume tutte le caratteristiche di una investitura» (8). In effetti, «col dono delle stimmate si assiste ad un passaggio nell’itinerario mistico di Padre Pio: dalla dimensione intima e personale a quella ecclesiale e ministeriale, dall’intra all’extra epifanico cristologico» (9). Considerando che dopo il fenomeno della stimmatizzazione, Padre Pio iniziò un intenso periodo di attività ministeriale per quel «ininterrotto flusso di persone a San Giovanni Rotondo in cerca del “sacerdote stimmatizzato”», si può affermare, che esso ha avuto anche «valore pastorale», poiché ha esercitato «un forte richiamo sulle masse di fedeli in cerca di segni tangibili della presenza del Cristo nella storia».
Importante anche per la stimmatizzazione, come lo è stato per la trasverberazione, il contesto sacramentale nel quale è avvenuta. Le stimmate, infatti, sono «legate alla celebrazione» (10) eucaristica: Padre Pio le ha ricevute durante il ringraziamento alla Santa Messa e diventano perciò «espressione visibile del mistero che si compie sull’altare»; mistero conosciuto perché «speri mentato attraverso il simbolismo sacramentale» (11). Tale fenomeno mistico può essere considerato anche segno di come questo Santo viveva l’Eucaristia ed espressione della sua offerta vittimale. La stimmatizzazione fa, dunque, di Padre Pio «una mistagogia». L’espressione: «Io mi glorificherò in te», detta dal Signore al Santo durante una delle estasi di Venafro, può quindi considerarsi realizzata con la stimmatizzazione di Padre Pio, con la quale il corpo del Santo è divenuto «luogo della sua manifestazione, ma anche strumento privilegiato per la sua glorificazione attraverso l’umile servizio di chi non vive che per lui» (12). Proprio «attraverso l’Eucaristia e la Confessione [...], Padre Pio comunica, consegna e celebra in pienezza il mistero di Dio» (13). Proprio perché manifestazione di Dio le stimmate sono per Padre Pio, come lui stesso le definisce, «le mie vergogne» (Ep. I, p. 452). Questa espressione del Santo è stata, infatti, così spiegata dal padre Lotti: Padre Pio prova «vergogna proprio perché [...] percepisce che con esse il suo corpo diventa luogo della manifestazione di Dio, ma nello stesso tempo esse appaiono come la denuncia della sua povertà creaturale, a fronte di un amore gratuito e misericordioso di Dio». Il corpo di questo Santo, dunque, non appartiene più a lui, è «un corpo dato, offerto affinché in esso il Signore possa manifestarsi» (14).
NOTE
1) L. Lotti, L’Epistolario di Padre Pio. Una lettura mistagogica, San Giovanni Rotondo 2006, p. 318.
2) Ivi, p. 341.
3) Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Roma 1975, p. 168.
4) L. Lavecchia, L’itinerario di fede di Padre Pio da Pietrelcina nell’Epistolario, San Giovanni Rotondo 2004, p. 43.
5) Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, pp. 180-181.
6) G. Di Flumeri, Considerazioni teologiche sulle stimmate di Padre Pio, in Studi su Padre Pio III/1 (2002), pp. 68-69.
7) L. Lotti, L’Epistolario di Padre Pio. Una lettura mistagogica, p. 416.
8) Ivi, p. 318.
9) L. Lavecchia, L’itinerario di fede di Padre Pio da Pietrelcina nell’Epistolario, p. 185.
10) L. Lotti, L’Epistolario di Padre Pio. Una lettura mistagogica, p. 320.
11) Ivi, p. 319.
12) Ivi, p. 451.
13) Ivi, p. 455.
14) Ivi, p. 452.