Carissimi, permettetemi di sottoporvi un quesito che mi assilla da qualche tempo. Ho sempre sentito che l’uomo “viatore” sulla terra può conoscere Dio solo mediante la fede ed è libero di accogliere Dio o meno. Per l’uomo di oggi, ma forse di sempre, è estremamente difficile seguire Dio, di cui non fa esperienza, e sarebbe molto più facile se Egli manifestasse la sua gloria e la sua potenza a tutti. Mi è stato detto, però, che in questo modo l’uomo non sarebbe libero. Ed è qui che non capisco. Adamo ed Eva non erano beati e non vedevano Dio e non erano in piena comunione con Lui? Eppure sono stati liberi ed hanno compiuto il peccato originale. Il libero arbitrio, quindi, non verrebbe meno se tutti potessimo conoscere Dio come i nostri Progenitori, anzi mi sembra che tutti potremmo fare una scelta più “vera” e più “giusta”. Vi ringrazio. (Daniele T.)
Caro Daniele, l’insegnamento comune della teologia cattolica afferma che Adamo ed Eva furono creati in grazia e con la fede, quindi non contemplavano la divina essenza, cioè la gloria di Dio. Avevano certamente una conoscenza di Dio più chiara e profonda della nostra, in quanto non erano ancora soggetti alle conseguenze del peccato originale, il quale è di grande ostacolo alla conoscenza del soprannaturale, oscurando il nostro intelletto e trattenendolo, per così dire, nel naturale. «L’uomo nel paradiso terrestre – spiega san Tommaso d’Aquino – era beato, ma non di quella perfetta beatitudine, nella quale doveva essere trasferito, e che consiste nella visione dell’essenza divina; conduceva però “in una certa misura una vita beata”, come dice sant’Agostino, in quanto godeva di una certa integrità e perfezione naturale» (Somma teologica, I, 94, 1 ad 1). San Tommaso illustra bene la questione e risponde al quesito posto: «Considerando la condizione ordinaria della vita del primo uomo, dobbiamo dire che egli non poteva vedere Dio per essenza, se non forse durante quel rapimento, in cui “Dio mandò un sonno profondo ad Adamo” (Gen 2,21). Ed eccone la ragione. L’essenza divina si identifica con la beatitudine, quindi l’intelletto di chi la contempla sta a Dio, come l’uomo alla felicità. Ora, è evidente che nessun uomo può con la sua volontà rinunziare alla beatitudine; perché l’uomo, naturalmente e necessariamente, ricerca la felicità e fugge l’infelicità. Nessuno quindi, che veda Dio per essenza, può allontanarsi volontariamente da Dio, cioè peccare. Perciò tutti coloro che vedono Dio per essenza sono così confermati nell’amore di Dio da non poter più peccare. Ma siccome Adamo peccò, è chiaro che non vedeva Dio per essenza» (ivi, I, 94, 1).
Si deve concludere che anche la conoscenza di Adamo ed Eva era una conoscenza nella fede, benché più perfetta ed elevata della nostra, e la loro cognizione di Dio era, al dire del Dottore angelico, intermedia tra quella dello stato attuale (dell’uomo decaduto) e quella della patria celeste (dei beati comprensori). Il paradiso in cui erano stati posti i nostri Progenitori era pur sempre un paradiso terrestre ed anche la loro era una vita terrena, segnata dal carattere della prova. In questa vita terrena non si possono rompere i veli del mistero, si pensi per esempio all’esperienza di Mosè che chiese a Dio di poter vedere «la sua gloria» e Dio rispose: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. [...]. Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (Es 33,18-20). La visione dell’essenza di Dio è riservata ai santi del Paradiso ed è il premio della loro fedeltà. Tuttavia, mediante la crescita nella fede, le insondabili profondità del mistero divino possono essere penetrate dall’anima santa con un’esperienza tanto chiara ed intima che si avvicina molto alla visione intuitiva. È quello che intende san Tommaso quando dice: «In questa vita, purificato l’occhio dello spirito mediante il dono dell’intelletto, si può in un certo senso vedere Dio» (ivi, II-II, 69, 2 ad 3). Questa è la conoscenza che di Dio hanno, per esempio, i mistici alle ultime esperienze, che è comunque una conoscenza che si realizza “nello specchio” della fede e non ancora “nel faccia a faccia” della visione beatifica: «Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor 13,12).