Come san Giovanni e san Pietro, da sempre il popolo cristiano è attirato dal Santo Sepolcro di Gerusalemme, il luogo storico dove venne deposto il corpo di Gesù e dove la morte venne sconfitta dalla sua Risurrezione. Penetriamo nella grandiosa Basilica per conoscere la storia di questo luogo santo che non ha cessato di recare gioiose notizie alle anime cristiane.
La corsa al Sepolcro
La Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo è il fondamento non solo della nostra Fede – di ciò che crediamo – ma della nostra vita di grazia, che è appunto una vita nuova in Cristo risorto, pertanto a giusto titolo l’apostolo san Paolo poteva dire: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,17). Da qui la necessità per ogni anima autenticamente cristiana di ritornare di tanto in tanto a questo fondamento della Fede, per considerarne nuovamente la solidità e costruire su di esso l’edificio della vita spirituale. È questa cioè l’esigenza spontaneamente cristiana di penetrare questo mistero tanto ineffabile e misterioso nella sua natura quanto indubbiamente reale e concreto nella sua storicità.
Questi due aspetti della Risurrezione sono ben rappresentati – secondo l’interpretazione di Giovanni Scoto Eriugena – dalla celebre corsa di san Pietro e san Giovanni verso il «sepolcro vuoto» (Gv 20,1-10): san Giovanni – la ragione umana – vi giunge per primo e guarda dall’esterno della grotta i veli per terra, ma non può penetrare nel mistero del sepolcro se non dopo che vi è entrato san Pietro, la fede. Anche questa da sola però non può comprendere il mistero e solo i due apostoli insieme – fede e ragione a braccetto – possono far esclamare all’Evangelista: «vide e credette» (Gv 20,8).
La Risurrezione è dunque un mistero che ci riguarda integralmente e armonizza vari aspetti della nostra esistenza: anima e corpo, naturale e soprannaturale, conoscenza per ragione e conoscenza per fede... solo la Risurrezione, in altre parole, dà senso a tutta la nostra vita e a tutto il nostro impegno di fede fino al martirio (cf. 1Cor 15,32). Quest’immediata corsa di san Pietro e san Giovanni verso il sepolcro al solo sentire le notizie portate dalla Maddalena, descrive proprio nel migliore dei modi il desiderio cristiano di vedere e di toccare tutta la concretezza storica del mistero cristiano, non per eliminarne l’aspetto trascendente ma per poterlo poi meglio penetrare nel suo significato spirituale.
Proprio come san Giovanni e san Pietro, da sempre il popolo cristiano è attirato dal Santo Sepolcro di Gerusalemme, il luogo fisico in cui il corpo di Gesù venne deposto e in cui, per la potenza dell’Altissimo, dopo tre giorni risuscitò. Non è questa certo una deviazione materialista e superstiziosa della genuina fede, bensì la spontanea esigenza della ragione umana illuminata dalla fede di ricercare i fondamenti storici e concreti della propria religione e di accostarsi con devozione ai luoghi sacralizzati dalla presenza del Verbo Incarnato. Questo anche allo scopo di conservarli con affetto per le generazioni future, affinché tutti fino alla fine del mondo possano constatare come la religione cristiana non sia un «vuoto raggiro ispirato dalle tradizioni umane» (Col 2,8).
Alla ricerca del Sepolcro
Nemmeno la controllata prosa del celebre storico Eusebio di Cesarea nella Vita di Costantino può occultare l’emozione che dovettero provare i cristiani nel IV secolo a ritrovare il sepolcro di Gesù. Erano da poco finiti i tempi della più dura persecuzione che la comunità cristiana dovette subire da parte dell’Impero Romano – cioè quella di Diocleziano – e da solo una decina di anni la tolleranza dell’Editto di Milano (313) di Costantino aveva permesso ai cristiani di tornare a respirare a pieni polmoni l’aria della società romana. L’Imperatore solo da un anno aveva esteso il suo dominio sulla parte orientale dell’Impero – a scapito dell’ex alleato Licinio – e già la sua sollecitudine, animata dalla santa madre Elena, lo aveva spinto a porre mano allo stato miserevole dei grandi monumenti cristiani della Terra Santa. Dopo la rivolta giudaica di Simone Bar-Kochba (132-135), infatti, l’imperatore Adriano – poco distinguendo tra cristiani ed ebrei – aveva raso al suolo tutti i luoghi di culto a Gerusalemme sostituendoli con templi pagani e cambiando persino la denominazione della città in Aelia Capitolina, cioè dedicata a Giove Capitolino. I cristiani – desiderosi di sottrarsi all’ira dei romani contro il furore nazionalistico giudaico – avevano addirittura lasciato in massa la Città Santa e nel corso dei secoli vi sarebbero tornati solo in maniera graduale.
I luoghi di culto cristiani, tracce della presenza e dell’azione redentrice di Gesù Cristo, che prima avevano potuto godere della cura della primitiva comunità, rimasero abbandonati e derelitti, e di essi ne rimaneva appena la memoria. Un solo segnale rimaneva in molti casi: si sapeva che quei luoghi tanto cari alla memoria cristiana dovevano essere in prossimità di quei templi pagani che l’imperatore Adriano aveva costruito per occultarli empiamente! In particolare il Santo Sepolcro, giaceva sepolto da un’enorme massa di terra e detriti con cui l’Imperatore aveva riempito i naturali avvallamenti di quel luogo extraurbano dove era avvenuta la crocifissione e sepoltura di Gesù, per poi costruire sopra l’artificiale spianata un osceno tempio a Venere che contaminò quel luogo santo con il sangue di inutili sacrifici e con oscene pratiche rituali in onore della lasciva divinità. Per questo Costantino, giunto a Gerusalemme, fece immediatamente abbattere questi templi usurpatori, disperdendo anche a molte miglia di distanza le loro rovine. Rimaneva però la grande questione: c’era davvero sotto la grande massa plurisecolare di terra e detriti il «luogo in cui l’avevano posto» (Mc 16,8)? Senza punto dubitare di ciò e «spinto da un certo divino ardore» – come dice lo stesso Eusebio – Costantino fece asportare tutta la massa di terra e detriti per riportare alla luce la grotta benedetta dove Nostro Signore vinse la morte con la sua gloriosa Risurrezione. Anzi l’intera vicenda del ritrovamento, come afferma il medesimo storico, «porta una certa somiglianza con la Risurrezione del Nostro Salvatore» in quanto «dopo essere stata sepolta nelle tenebre, tornava di nuovo alla luce, e a quanti andavano a vederla lasciava scorgere chiaramente la storia delle meraviglie ivi compiute, attestando con opere più sonore di ogni voce la Risurrezione del Salvatore». Il ritrovamento del Santo Sepolcro, riportando alla luce il luogo benedetto sepolto da due secoli, fu dunque quasi una nuova Resurrezione, o meglio una spinta a rinnovare nel proprio cuore tramite la fede gli effetti della Resurrezione di Cristo.
Nuovi dubbi...
Come è ben noto Costantino fece asportare la parte superiore della grotta per inquadrare il sepolcro stesso, e in particolare la roccia dove era stato deposto il corpo di Gesù (il “letto funerario”), in una piccola cappellina che costituiva il cuore del magnifico sacrario costruito per contenerla, la celebre Anastasis circolare. Nel corso dei secoli la struttura della Basilica cambiò parecchie volte – anche a causa delle turbolente vicissitudini storiche – ma la grotta del Santo Sepolcro rimase sempre il punto focale, vedendo di volta in volta ingrandita e abbellita l’edicola che la conteneva: un ultimo consistente intervento tra il XIV e il XVI secolo portò a ricoprire il letto funerario con una lastra di marmo che da secoli costituisce il luogo ove i pellegrini depositano i loro baci e le loro calde lacrime di gioia e di commozione.
Le molte vicende storiche – distruzioni e occupazioni – insieme alle incerte fonti storiche hanno fatto dubitare molti increduli che sotto i freddi marmi dell’edicola del Santo Sepolcro, assemblati in stile orientaleggiante, si celasse veramente la roccia del sepolcro di Cristo. Non sarà solamente – si domandavano in molti – un semplice memoriale del dogma cristiano della Risurrezione, senza alcun fondamento storico? Non sarà cioè un segno che basta per chi ha fede a esprimere i suoi sentimenti religiosi, senza necessità che vi sia qualcosa di storico alla base? Accanto a questi dubbi radicali, però, anche i più accorti archeologi non si aspettavano in realtà di trovare al di sotto dei marmi e in particolare della lastra di marmo del letto funerario, altro che dei reperti medievali. Infatti la distruzione integrale della Basilica sotto il califfo al-Hakim nel 1009 – fino a ridurre in pezzi la stessa edicola del Santo Sepolcro – la ricostruzione dell’imperatore bizantino Costantino Monomaco nel 1048 e quella crociata nel XII secolo sembravano implicare che anche la grotta della Risurrezione avesse subito la stessa sorte di distruzione e di ricostruzione. In altre parole non si poteva essere sicuri che l’attuale Santo Sepolcro fosse la grotta nella quale veramente Gesù era risorto, dato che anche questa era presumibilmente stata irrimediabilmente distrutta dal califfo d’Egitto.
...e nuove certezze
Ma non è così. Negli ultimi due anni le comunità cristiane che custodiscono la Basilica del Santo Sepolcro hanno trovato un accordo per permettere il necessario restauro dell’edicola, il cui stato era assai compromesso sia dal punto di vista estetico che da quello strutturale. I restauri condotti dal Politecnico di Atene sotto la guida dell’ingegnere Antonia Moropoulou – cristiana ortodossa – non si sono limitati a ridare splendore ai marmi o a introdurre espedienti per garantire la stabilità della struttura, ma hanno voluto anche indagare sulla consistenza storica di questo luogo santissimo. Oltre a trovare le pareti nord e sud della grotta sotto il marmo, la scoperta più grande ed emozionante è stata quella effettuata il mattino del 26 ottobre 2016. Per la prima volta da secoli il team di tecnici, archeologi e restauratori, alla presenza delle autorità religiose, ha scoperchiato la lastra di marmo del letto sepolcrale, per scoprire che essa poggia su un’altra lastra marmorea grigiastra, assai consumata e rotta a metà, con una croce di Lorena nel mezzo. Questa è fuor di dubbio la precedente lastra – altrettanto lunga che l’attuale ma larga quasi la metà – che poggia direttamente sulla roccia sepolcrale e che poi è stata ricoperta dalla nuova a causa della rottura.
Ciò che è invece “straordinario”, come ha commentato l’archeologo Martin Biddle, è che questa lastra non è affatto un manufatto medievale, bensì, studiando la malta che fa aderire il marmo al letto sepolcrale, si è potuto meglio datare la posa di questa: l’analisi ha dimostrato infatti che questa risale alla metà del IV secolo, ovvero approssimativamente all’epoca costantiniana. In altre parole questa lastra sottostante, che poggia direttamente sulla roccia, identifica il luogo ritrovato da Costantino nel 326, e dunque sotto l’esiguo strato di malta c’è effettivamente il letto sepolcrale che ha accolto il corpo di Gesù morto e, soprattutto, che ha assistito alla mirabile Risurrezione. Davanti a questa sensazionale scoperta la stessa dottoressa Moropoulou ha detto: «È questa la sacra roccia venerata da secoli ma solo oggi possiamo effettivamente vederla [...] l’umanità si è inginocchiata qui, di fronte alla tomba di Cristo. Ci siamo sentiti molto piccoli davanti a un luogo così sacro e carico di fede».
Un sepolcro vuoto per dei cuori pieni
I ricercatori hanno potuto quindi di nuovo arrivare alla roccia che ha toccato il corpo di Gesù morto e risorto, roccia coperta da quasi millesettecento anni, ovvero dalla posa della lastra marmorea del IV secolo. Secondo alcune indiscrezioni – prive di conferma ufficiale – i ricercatori hanno potuto notare strani fenomeni fisici: oltre a un dolce aroma che si sprigionava all’apertura della lastra, i sensibili apparecchi elettronici subivano anomalie se poste sopra la roccia sepolcrale, come se questa producesse perturbazioni elettromagnetiche. Il vaticanista Marco Tosatti ha accostato questi effetti all’ipotesi formulata da alcuni fisici che l’immagine della Sindone – il sacro lenzuolo che avvolgeva Gesù e che era a contatto con la roccia sepolcrale – si sia prodotta per un’improvvisa emanazione di intensa energia luminosa, quasi un’esplosione di luce dal suo interno. Se questa ipotesi fosse verificata, la Risurrezione, evento soprannaturale, avrebbe avuto anche una consistenza fisica ed energetica, che lascia traccia ancora oggi sulla Sindone e sullo stesso Sepolcro, quasi imbevuti di questa energia che promanano ancora, come fossero elementi radioattivi.
Eppure anche questi dettagli sensazionali perdono di importanza di fronte allo spettacolo della nuda roccia del sepolcro, che agli scienziati di oggi come agli operai del tempo di Costantino e come agli apostoli accorsi il giorno della Risurrezione si presenta in tutta la sua grezza semplicità. Il grande e devoto Chateubriand – in visita a Gerusalemme nel 1811 – poteva scrivere: «Rimasi quasi mezz’ora ginocchioni nella piccola stanza del Santo Sepolcro, cogli sguardi fissi sulla pietra, senza potermene distaccare». Un sepolcro vuoto e un letto scavato nella roccia per adagiarvi il corpo di un defunto: un antro di grezza pietra che però cattura le menti e scalda i cuori quasi anticipando la visione beatifica del Paradiso. Di fatti non è Cristo che i pellegrini vengono a cercare al sepolcro, bensì è il sepolcro vuoto che vanno a visitare, attestandoci che la Risurrezione è veramente avvenuta. A chiunque ancora oggi accorra al sepolcro, l’angelo del Signore rivolge le parole già dette alle tre Marie il Sabato Santo: «So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto» (Mt 28,6).
Che dire allora? Lasciamo di cercare il Cristo vivente per attardarci in una tomba vuota, «il luogo dove era stato deposto»? Giammai: il letto sepolcrale è la roccia su cui è fondata la nostra fede, ovvero la Risurrezione del Cristo come compimento della sua opera redentrice e come destino che attende tutta l’umanità rigenerata. Il sepolcro vuoto poi ci ricorda che Cristo non è lì, nel luogo dove vengono posti i morti, ma è risorto e vive nei cuori di tutti gli uomini in grazia, perché – come diceva Ratzinger – il Risorto «non si rivela alla curiosità ma all’amore» di coloro che lo cercano nel profondo del proprio cuore.